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San Giorgio, il presidente ANPI ricorda Eugenia Colombo Matera e la strage di Lasa

Il presidente ANPI di San Giorgio ricorda Eugenia Colombo Matera, ostetrica comunale a Lasa, con un brano tratto da "San Giorgio su Legnano non dimentica la sua storia"

Generica 2020

Il presidente della sezione ANPI di San Giorgio su Legnano, Roberto Mezzenzana, ricorda Eugenia Colombo Matera, ostetrica comunale a Lasa, cui la sorella Cornelia ha dedicato un pensiero durante gli incontri con Andreina Mezzenzana per la stesura della ricerca “San Giorgio su Legnano non dimentica la sua storia – Dalla fine della prima alla fine della seconda guerra mondiale”.

Eugenia Colombo Matera «era ostetrica comunale a Lasa, un piccolo paese in provincia di Bolzano, rinomato per le cave da cui si ricava ancora oggi un pregiato marmo bianco. Trascorse il periodo del secondo conflitto mondiale in quelle terre, dove la diffidenza verso gli “italiani” era piuttosto radicata. Eugenia, tuttavia, seppe conquistare stima, fiducia e benevolenza presso la popolazione locale, tanto che ad un certo punto, non fu più chiamata con l’appellativo di “levatrice italiana”, ma con l’espressione equivalente “frau Hebamme”. Dopo l’8 settembre del 1943, tutto precipitò nel caos e nella paura e seguirono giorni in cui l’amicizia tedesca si trasformò in odio e rabbia verso i pochi residenti italiani. Fu addirittura chiamata “traditora”, ma la frau (signora) che, qualche giorno prima l’aveva così mortificata, la volle accanto a sé nel momento del parto che fu lungo e travagliato non solo per la madre, ma soprattutto per la neonata, nata con due giri di funicolo intorno al collo. Eugenia le praticò la respirazione artificiale e una serie di manovre per assicurare la vita a quel corpicino. Alla fine la bambina fu salva!».

«Negli anni seguenti, nella sua casa ospitò repubblichini, soldati italiani, soldati russi, considerati uomini senza fede in Dio, che dimostrarono, invece, grande rispetto nei confronti di un’icona con l’immagine della Madonna: tutte le volte che desideravano fumare si allontanavano dal quadretto e uscivano sul pianerottolo. Mia sorella non fece mai distinzione di nazionalità e di lingue. Secondo lei gli uomini erano tutti uguali, tutti figli di Dio. La notte tra il 2 e il 3 maggio 1945, a guerra ormai finita, Lasa visse terribili ore di paura: nel paesino si verificò una strage attuata dalle forze armate tedesche come rappresaglia contro un medico italiano ritenuto un partigiano, perché era stato imprudente nel sostenere alcune dichiarazioni su Hitler, e un gruppo di undici operai italiani. Erano uomini innocenti che tornavano alle loro case ignari della sorte che li attendeva. Uno di loro si salvò: quando i tedeschi spararono, sbagliarono bersaglio, ma lui cadde ugualmente fingendosi morto. Quando fu sicuro che gli assassini si erano allontanati, corse a dare l’allarme. La mattina seguente nessuno ebbe il coraggio di dare sepoltura cristiana a quei corpi martoriati, esposti al sole e al vento. Questo triste compito fu svolto dai nostri soldati italiani che giunsero a Lasa il 5 maggio. Sul luogo dell’eccidio, per ricordare alle future generazioni l’ira e la violenza nazista, venne collocata una stele di marmo con incisi i nomi degli undici assassinati. Una mattina venne trovata a terra in pezzi, era stata abbattuta. Dopo pochi giorni, però, venne eretta una doppia stele, legata nell’interno con fili di rame, che era impossibile demolire. Il maggio del 1945 avrebbe dovuto essere un mese di gioia per quel paesino che, invece, venne invaso da infinita tristezza».

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Pubblicato il 03 Maggio 2021
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