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Omicidio Maltesi, parla Davide Fontana: “Non ho premeditato l’omicidio, darei la vita per cancellarlo”

Fontana, vicino di casa ed ex compagno di Carol Maltesi a processo per il suo omicidio, è stato interrogato davanti alla Corte d'Assise di Busto Arsizio

omicidio carol maltesi

Le prime fasi della conoscenza, la relazione, la fine del rapporto sentimentale e il prosieguo della vicinanza, poi la nuova relazione di Carol Maltesi con Salvatore Galdo e la gelosia del nuovo compagno, l’ultimo video – quello che è costato la vita alla donna – e i mesi successivi. Davide Fontana, il vicino di casa ed ex compagno della 26enne uccisa e fatta a pezzi in una casa di corte di Rescaldina a processo per il suo omicidio, non si è sottratto all’esame e lunedì 12 dicembre dal banco dei testi ha ripercorso davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio la sua relazione con la vittima dal primo all’ultimo giorno, fino ai tragici istanti della morte e ai tentativi di liberarsi del cadavere.

I due, come era già emerso durante le udienze che hanno visto sfilare sul banco degli imputati i Carabinieri che si sono occupati delle indagini, si erano conosciuti ad ottobre del 2020 e il rapporto era ben presto diventato stretto anche se in una prima fase si era trattato di incontri a pagamento. Poi la relazione tra Fontana, che aveva iniziato anche ad aiutare la 26enne a trovare nuovi clienti facendole credere di averlo già fatto per altre donne in passato, e Carol Maltesi era cambiata, la frequentazione si era fatta sempre più assidua fino a quando «mi sono innamorato di lei – ha raccontato l’imputato – e lei si è innamorata di me, ci siamo fidanzati».

Il legame, però, si sarebbe rivelato di breve durata, terminando qualche mese dopo il suo inizio perché la donna «voleva più libertà e voleva avere altri partner», fino all’incontro con Salvatore Galdo che lo stesso imputato pensava potesse essere «quello giusto» per Carol Maltesi e all’idea della donna di trasferirsi nel Veronese per stare vicina al figlio: «Ci ero rimasto male – ha raccontato Fontana durante l’esame del pubblico ministero e il controesame del suo stesso legale – ma sapevo che per lei la cosa giusta era stare vicina al figlio. Sicuramente l’avrei vista meno e avevo paura dell’abbandono, ma in realtà ci saremmo frequentati ancora, mi aveva anche chiesto di aiutarla per l’eventuale trasferimento».

Davide Fontana, incalzato dalla pubblica accusa e dal suo stesso legale, ha ripercorso anche gli ultimi istanti di vita della donna, legati ad un video richiesto dallo stesso Fontana con identità fittizie «per alimentare la gelosia di Galdo»: video dove la donna non solo era legata e imbavagliata con un cappuccio in testa, ma durante il quale era anche previsto che desse all’imputato il codice di accesso allo smartphone «sempre per giocare sulla gelosia» del fidanzato («Per divertimento, che è una parola bruttissima dopo tutto quello che è successo»), che in due occasioni secondo Fontana avrebbe controllato le chat tra l’imputato e la vittima dal telefono della donna.

omicidio carol maltesi

«Ho iniziato a colpirla leggermente con il martello come da accordi – ha spiegato Fontana -, poi è successo che ho iniziato a colpirla sulla testa. Ad un certo punto ho smesso, le ho alzato il cappuccio e mi sono reso conto di quello che avevo fatto: ho realizzato di averla uccisa. Lei non respirava più, mi è sembrato di vedere un movimento della gamba, non volevo che soffrisse allora sono sceso, ho preso un coltello e le ho tagliato la gola. Non so perché non ho chiamato le Forze dell’Ordine, avrei dovuto farlo subito».

Fontana, a quasi un anno di distanza dall’omicidio, ha peraltro ribadito di non sapersi spiegare nemmeno cosa lo spinse a inviarsi dal telefono di Carol Maltesi i messaggi con la richiesta di acquistare il congelatore dove poi avrebbe conservato il suo cadavere fatto a pezzi con un seghetto comprato il giorno successivo al delitto. Quello che l’imputato ha sottolineato, però, è di non aver mai fatto ricerche su come procedere allo smembramento del corpo e all’eviscerazione, operazioni che gli hanno richiesto in tutto «tre o quattro giorni».

In quel congelatore i resti di Carol Maltesi sarebbero poi rimasti fino al primo tentativo del suo assassino di liberarsene bruciandolo nel barbecue di un bad & brekfast del Varesotto: tentativo peraltro rivelatosi quasi subito fallimentare e seguito dall’abbandono del corpo a Borno («Non so perché ho scelto quel mese e quel giorno, non ce la facevo più a sostenere la situazione») dove poi è stato ritrovato e, grazie ai tatuaggi ancora visibili nonostante il tentativo di scarnificazione, identificato. Proprio a margine delle notizie di stampa sul ritrovamento e dell’inchiesta parallela del giornalista di BSNews.it Andrea Tortelli, peraltro, l’imputato avrebbe alla fine deciso di andare in caserma, dove secondo il suo racconto si sarebbe recato di sua volontà e non su sollecitazione dell’amica che lo accompagnò, come invece lei stessa aveva riferito nella sua testimonianza la scorsa settimana.

La confessione, però, non è arrivata subito, appena l’imputato ha raggiunto la Stazione dei Carabinieri di Rescaldina. «Volevo porre fine a questa storia, dire che il corpo ritrovato era quello di Carol, tornare a casa e suicidarmi», ha ammesso Fontana in aula, riconoscendo anche di non aver in un primo momento confessato di aver creato lui stesso una serie di profili fittizi con cui contattare la donna su OnlyFans per vergogna e di aver utilizzato il suo bancomat «per far credere che fosse ancora viva». Rispondendo ad una domanda diretta del presidente della Corte d’Assise Giuseppe Fazio – che è tornato anche sul tampone cui l’imputato si è sottoposto poche ore dopo l’omicidio e sulla scarnificazione -, Fontana ha anche ammesso di essersi reso conto dell’«incertezza» in cui il figlio della 26enne è rimasto per mesi.

«Sembra che io non provi emozioni per quello che è successo ma darei la vita per cancellare quello che ho fatto, se servisse a riportare in vita Carol morirei io stesso – ha concluso Fontana in aula -. Ho il cuore in frantumi e pieno di lacrime, mi sento vuoto: da un lato per me è come se fosse stata un’altra persona a fare questo a Carol, e dall’altro mi odio. Non ho mai premeditato l’omicidio, mai avrei potuto fare del male, non c’è nessun piano dietro a tutto questo: non lo dico per impietosire o cercare scusanti, la mia condanna più grande sarà la vergogna ma lotterò fino alla fine dei miei giorni per riabilitarmi come essere umano e per riparare se possibile».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 12 Dicembre 2022
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