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“Uccisa sul pianerottolo di casa mia”: la drammatica testimonianza del femminicidio di Stefania Cancelliere

La testimonianza diretta della giornalista Valeria Arini

Generico 20 Nov 2023

Quella che vi raccontiamo è la testimonianza diretta di quello che io, Valeria Arini, giornalista di Legnanonews, ho vissuto in prima persona 12 anni fa. Ai tempi collaboravo per un’altra testata. Avevo scritto diversi pezzi di cronaca nera ma mai, come potete immaginare, mi era capitato di esserne testimone. In quel momento ho potuto solo chiamare la polizia e mettermi in salvo, mentre una donna veniva uccisa davanti ai miei occhi. La giornata contro la violenza sulle donne e il recente femminicidio di Giulia Cecchettin mi ha portato a raccontare quello che non ho mai raccontato in prima persona. Un racconto crudo; il dolore è tra le righe.


Sono seduta sulla mia scrivania. Davanti a me il pc e un articolo da scrivere in un pomeriggio tranquillo, come tanti altri. Non ricordo di quale argomento di cronaca mi stessi occupando quel giorno. Tutto passò in secondo piano. Giro la testa. Sento un urlo fortissimo. Mi sembra un bambino che piange. Poi le urla diventano sempre più forti. Intense. Angoscianti. Sono le 4 del pomeriggio e sono a casa da sola. Esco nel pianerottolo. Il pavimento di marmo è gelido, come freddi sono i corridoi di un palazzo dove i vicini non si incontrano spesso. Non esistono luoghi di incontro, solo di passaggio.

Mi avvicino alle scale d’ingresso e vedo quello che mai avrei voluto vedere. La mia mente si annebbia, non riconosce quello che pensa non potere mai accadere nella realtà. A terra vedo una donna, è scura. Solo in secondo tempo scoprirò che quel nero era il colore del sangue. Non rosso, ma nero e intenso. Davanti a lei un uomo. Ha un mattarello in mano. Lo impugna con forza e la colpisce,  nonostante la mia presenza. I ricordi di questi istanti sono meno nitidi. Si gira e mi guarda. Il suo sguardo è assente, folle. Mi fissa e io non posso fare altro che urlare e minacciare di chiamare la polizia.

Non capisco quello che sta succedendo. Penso a un ladro. Fuori dalla porta a vetri vedo un altro uomo. Urla e chiede di entrare. Voleva entrare per prestare soccorso. Ma io lo capii troppo tardi. (Quante volte mi sono chiesta che se avessi agito diversamente o se avessi aperto la porta a quel ragazzo, forse le cose sarebbero andate in un altro modo). Corro in casa e chiamo la polizia. Quando esco, la scena non è cambiata. Avviso di avere chiamato il 112, ma lo sguardo dell’uomo con il mattarello in mano non cambia. Mi guarda un’altra volta e inizio a correre sulle scale. Nessuno risponde alle mie chiamate. Il palazzo (che oggi, a distanza di 12 anni  sento più caldo e accogliente) sembra deserto. Al quarto piano l’accesso è chiuso. L’attico è servito dall’ascensore e nessuno può accedere al pianerottolo.

Chiamo il mio compagno, fatica a comprendere quello che sta accadendo nel palazzo dove vive da qualche mese. Dice di raggiungermi. Ma non c’è tempo. Quando torno al secondo piano una persona mi apre. Mi dice che la polizia è arrivata ma anche che le condizioni della donna sono disperate. La donna coperta di sangue era l’inquilina dell’attico. Non l’avevo quasi mai incontrata. L’ascensore la portava direttamente al garage. Coperta di sangue era ancora più difficile da riconoscere. L’uomo, con il matterello in mano, era l’inquilino del piano terra. Il mio vicino di casa. Un medico oculista, molto apprezzato nel suo ambiente. Una volta sola aveva bussato alla nostra porta, per chiedere un favore. Non ricordo quale. Erano separati, ma lui pur avendo già ricevuto un ordine di allontanamento aveva deciso di rimanere a vivere nello stesso palazzo della ex moglie, e dei tre figli di lei. Stefania si era trasferita da Parma a Legnano per seguire il marito. L’ossessione, violenta, dell’uomo diventato poi il suo ex marito, l’ha portata via per sempre.

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