A Busto Arsizio riconosciute le prime due mamme intenzionali: “La mano tremava più oggi che alla firma del mutuo”
Da venerdì 27 giugno Daniela Meneghelli e Valentina Candiani sono le prime mamme intenzionali ufficialmente riconosciute dal comune di Busto Arsizio dopo la storica sentenza della Corte Costituzionale

«Mi tremava la mano più oggi, che il giorno in cui ho firmato il mutuo». Daniela Meneghelli scherza – ma la voce è rotta per l’emozione – mentre racconta un momento a tutti gli effetti storico non solo per lei, ma anche per un’intera città: quello in cui venerdì 27 giugno è diventata, insieme all’amica Valentina Candiani, la prima mamma intenzionale ufficialmente riconosciuta dal comune di Busto Arsizio dopo la storica sentenza del 22 maggio della Corte Costituzionale. La Consulta, infatti, con quella sentenza ha stabilito che i figli nati in Italia da coppie di donne che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita all’estero possono essere riconosciuti legalmente come figli di entrambe le madri fin dalla nascita, senza necessità di procedimenti giudiziari successivi.
Valentina e Daniela sono due mamme tutto sommato “fortunate”, che fin qui non hanno mai avuto problemi né a scuola, né in ospedale, né in nessuno di quei contesti in cui qualcuno avrebbe potuto non riconoscerle come madri dei loro figli. Quella di oggi, però, è una svolta che aspettavano da tanto: sono passati 16 anni da quando Valentina in una clinica di Copenaghen ha firmato l’assunzione di responsabilità genitoriale per il figlio che la sua compagna avrebbe partorito grazie alla procreazione medicalmente assistita, solo uno in meno per Daniela.
E per arrivare alla firma di oggi, la strada è stata senza dubbio in salita. Le difficoltà in cui il comune è incorso per via del software che non permetteva di inserire Daniela e Valentina alla voce “padre” – che si spera da Roma modifichino quanto prima, dopo la sentenza della Corte Costituzionale – sono l’ultimo chilometro della loro personalissima maratona. Ma da oggi anche davanti alla legge sono a tutti gli effetti le madri dei loro figli.
«È stato un momento emotivamente molto forte – raccontano Valentina e Daniela -, una firma importantissima perché mancava solo il riconoscimento dello Stato. Ci siamo sempre presentate, a scuola e in ogni altro contesto, spiegando come stavano le cose e per fortuna abbiamo sempre incontrato persone di buon senso. Ora, però, non dipendiamo più dal buon senso degli altri, non dobbiamo più avere in testa il retropensiero di una posizione di disparità, né vivere quei momenti in cui partono paure irrazionali e ti si gela il sangue».
«Questo riconoscimento – aggiungono Daniela e Valentina – serve soprattutto per tutelare i nostri figli: noi, da adulte, abbiamo mandato giù tanti rospi, qualche volta abbiamo dovuto mostrare spalle più larghe di quelle che avevamo, ma la sentenza della Corte Costituzionale sancisce in primis il dovere genitoriale delle madri intenzionali con tutto quello che comporta in termini di garanzie rispetto all’istruzione, alla cura, all’educazione, al mantenimento di relazioni significative con le nostre famiglie».
E questo vale ancora di più per Daniela, che oggi è separata dalla sua ex compagna. Problemi tra le madri non ce ne sono mai stati, la relazione genitoriale è sempre stata serena e continua ad esserlo, ma per paradosso la fine del loro amore avrebbe potuto lasciare i figli in mezzo ad una strada e senza il suo sostegno economico, se Daniela non avesse scelto giorno dopo giorno di essere genitore, senza mai arretrare di un millimetro.
La sentenza della Corte Costituzionale
Con la sentenza 68 dello scorso 22 maggio, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 8 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (legge n.40/2004) nella parte in cui non prevede che il figlio nato in Italia da una donna che si è sottoposta alla procreazione medicalmente assistita all’estero sia riconosciuto come figlio anche della donna che ha espresso il consenso preventivo al ricorso alla tecnica e all’assunzione della responsabilità genitoriale. In soldoni, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere il figlio nato in Italia dalla procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero da una coppia di donne.
A chiamare in causa la Corte Costituzionale era stato il Tribunale di Lucca. La Consulta ha ritenuto che «l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore». Il divieto per la Corte viola l’articolo 2 della Costituzione «per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile», l’articolo 3 «per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale» e l’articolo 30 «perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli», come cura, educazione, istruzione, assistenza morale e rapporti con parenti e ascendenti di entrambi i rami genitoriali.
Per la Consulta «la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per generare un figlio» è un «impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi». La Corte Costituzionale, inoltre, ha considerato anche «la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale».
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