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“Per tre volte ho incontrato l’orso nel bosco, e per tre volte è fuggito”

Filippo Zibordi, zoologo e autore del libro "L'uomo e l'orso possono convivere?", ci ricorda che i carnivori e predatori delle Alpi sono "messaggeri della biodiversità" e pertanto la nostra sopravvivenza dipende anche dalla loro

orso bruno

«Per tre volte ho incontrato l’orso nel bosco e per tre volte è fuggito». Filippo Zibordi è uno zoologo esperto di predatori, in particolare dei carnivori che popolano le Alpi. È originario di Tione in provincia di Trento e ha lavorato per oltre dieci anni al Parco naturale Adamello Brenta nell’ambito del progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino. «Io gli orsi li ho sopra casa mia – continua Zibordi – ma vederne uno così come vedere un lupo rimane un evento estremamente raro».

L’ORSO NON HA PREDATORI MA TEME L’UOMO

Vederlo a distanza ravvicinata è un evento ancora più raro e quando accade bisogna mettere in atto una serie di comportamenti per evitare una reazione dell’animale che può arrivare ad uccidere. Quest’ultima rimane un’eventualità rarissima, perché in montagna fanno più morti i fulmini e gli incidenti, che non gli orsi. Però può accadere, come è avvenuto nell’aprile dello scorso anno al runner aggredito e ucciso da un orso nei boschi di Caldes in Trentino.
«Bisogna far percepire la nostra presenza nel bosco– spiega lo zoologo – soprattutto se c’è scarsa visibilità. Quando corro sui sentieri sopra casa mia, faccio molto rumore, in particolare nei tratti dove ci sono cambi di pendenza che non mi permettono di vedere cosa c’è dopo. L’orso non ha predatori e le sue reazioni sono legate alla paura nei nostri confronti. Se noi gli arriviamo addosso improvvisamente il suo ipotalamo gli suggerisce tre possibilità: stare fermo, scappare se ne hanno la possibilità o reagire se hanno un’indole portata all’aggressione, a maggior ragione se hanno una preda o se si incontra di una madre con i cuccioli, come nel caso di JJ4 nelle due aggressioni nei confronti di persone».

Università varie
nella foto lo zoologo Filippo Zibordi

L’ORSO PERICOLOSO

Zibordi cita una ricerca di Giulia Bombieri, etologa del Muse (Museo delle scienze di Trento), secondo cui i due elementi che accomunano tutte le aggressioni fatte dagli orsi nel mondo sono: la velocità e il silenzio. «L’orso reagisce in modo aggressivo – spiega Zibordi – se inaspettatamente si trova addosso una persona di corsa o in bicicletta. Nel mondo le aggressioni sono pari a zero quando ci sono più persone che camminano nel bosco».
Gli orsi pericolosi vengono catturati e non sempre tra questi ultimi ci sono orsi che hanno compiuto un’aggressione. «L’orso pericoloso attua la reiterazione di un comportamento – spiega lo zoologo – Quando reagisce più volte allo stesso modo, aggredisce o segue le persone. Per esempio, M90, un orso che è stato abbattuto nella provincia di Trento, aveva seguito le persone diverse volte e per centinaia di metri, era stato segnalato dodici volte all’interno di centri abitati nei pressi dei cassonetti. Le squadre di emergenza avevano tentato una dissuasione prima con dardi rumorosi e poi con proiettili di gomma, ma senza esito. I suoi comportamenti non avevano ancora prodotto un’aggressione ma poteva accadere».

IL SENSO DEL LIMITE

Evidentemente M90 non aveva paura dell’uomo, anzi associava la sua presenza alla possibilità di trovare cibo che è spesso la causa della loro “dannosità”, nonostante la prevenzione fatta con i cani e le recinzioni elettrificate.
Rimane dunque una domanda: l’uomo e l’orso possono convivere? Un quesito che è anche il titolo del libro di Filippo Zibordi pubblicato dalle Edizioni Dedalo in cui si raccontano le nove specie alpine appartenenti all’ordine dei carnivori e presenti nel nostro ecosistema che  la lontra e lo sciacallo dorato. «I carnivori – scrive lo zoologo – sono dei nostri compagni di viaggio, ma dei compagni speciali, che ci fissano dai margini della foresta con occhi ipnotici per ricordarci che siamo a un bivio. Sono lì, come messaggeri simbolici della biodiversità e a ricordarcene l’importanza per la nostra stessa sopravivenza. E per ridarci, proprio a tale scopo , il senso del limite».

Redazione
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Pubblicato il 18 Aprile 2024
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