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All’ASST Rhodense eseguiti 200 impianti di protesi all’anca con la tecnica mininvasiva di Direct Anterior Approch

Per Carlo Cardile, direttore dell’Ortopedia dell’ASST Rhodense si tratta di un impianto "molto stabile e il sanguinamento è controllato. Grazie a queste caratteristiche, in alcuni casi, è possibile la dimissione nei primi giorni successivi all’intervento"

Generico 06 Oct 2025

La protesi all’anca, per trattare la patologia degenerativa artrosica, è uno degli interventi più diffusi in ambito ortopedico e consente al paziente un ottimo recupero funzionale. L’età media per chi è affetto da artrosi primitiva, ossia non determinata da altre patologie, si aggira intorno ai 70 anni. Caso differente è per chi si presenta all’osservazione con artrosi secondaria a patologie come la displasia congenita tipica dell’età infantile, fortunatamente sempre meno diffusa grazie ai programmi di screening precoce alla nascita, l’artrosi secondaria ad un trauma o a patologie reumatiche che abbassano l’età media. Le vie di accesso per impiantare una protesi di anca sono molteplici, la Mininvasiva Anteriore è quella che consente vantaggi indiscutibili.

Praticata già nell’800 dal chirurgo tedesco Carl Heuter, per il drenaggio di ascessi tubercolari, negli ultimi 15 anni è stata ripresa per l’impianto di protesi totale di anca. Consente di raggiungere la capsula articolare e quindi l’articolazione dell’anca senza distaccare i tendini e i muscoli adiacenti
all’articolazione passando in un intervallo muscolare che consente di divaricarli avendo cura di coagulare un gruppo di vasi sanguigni che tipicamente interseca il campo operatorio proprio prima di arrivare al piano articolare, per poi preparare acetabolo e femore e impiantare la protesi. «È molto stabile e il sanguinamento è controllato. Grazie a queste caratteristiche, in alcuni casi, è possibile la dimissione nei primi giorni successivi all’intervento – sottolinea Carlo Cardile, direttore dell’Ortopedia dell’ASST Rhodense – Il tempo chirurgico dopo la learning Curve, ossia il periodo necessario per il chirurgo e l’equipe operatoria per studiare la tecnica di intervento, ha la durata di circa 1 ora mentre la riabilitazione varia a seconda dell’età e delle condizioni generali del paziente stesso».

È chiaro che i giovani a distanza di poche ore dall’intervento possono già iniziare attivamente la fisioterapia e nel giro di un mese, riprendere le proprie attività.
«La via anteriore, o come definita dagli anglosassoni DAA – Direct Anterior Approach, permette meno perdite ematiche, una maggiore stabilità dell’impianto e precoce ripresa. Il fast track, o recupero precoce, è questo – aggiunge Cardile – ovviamente parliamo di persone senza grosse comorbilità. Lo
scorso anno abbiamo eseguito circa 200 interventi tra protesi di primo impianto e protesi su pazienti giunti al nostro pronto soccorso con frattura scomposta del collo del femore e anche in questi ultimi, caratterizzati da età avanzata e spesso patologie associate, i vantaggi nella ripresa sono stati evidenti. La buona riuscita degli interventi ha fatto in modo che i pazienti, dopo la riabilitazione, riprendessero le loro consuete attività. Al giorno d’oggi le persone sono sempre più informate circa le moderne tecniche mininvasive e vengono in ASST Rhodense, sia a Garbagnate che a Rho, oltre al percorso di follow up».

Ma quali sono i sintomi? «I campanelli di allarme che indirizzano verso una diagnosi di artrosi dell’anca sono il dolore a livello inguinale che si irradia anche lungo la porzione anteriore della coscia, che spesso si scambia per un dolore al ginocchio, la difficoltà a infilarsi le calze e la limitazione ai movimenti dell’anca. È in questi casi che occorre rivolgersi al chirurgo Ortopedico per una valutazione clinica ed eventuale prescrizione di una radiografia per porre corretta diagnosi e intraprendere con noi il percorso di cura».

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Pubblicato il 10 Ottobre 2025
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