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“Zero termico a 5000 metri? Non è una novità ma il cambiamento climatico lo rende troppo frequente”

L'anticiclone africano che investe il paese porta temperature elevate anche sulle Alpi.Il professor Guglielmin tra i massimi esperti di ghiacci ci spiega perché è un dato preoccupante

mauro guglielmin

L’ondata di caldo africano che accompagnerà il nostro paese nei prossimi giorni porterà lo zero termico a quota 5000 metri. Un “effetto sahara” in vetta che peggiorerà il già delicato stato di salute dei nostri ghiacciai.

« Non è certamente la prima volta che si registrano queste temperature – spiega  il professor Mauro Guglielmin, docente di geografia fisica e geomorfologia dell’Università dell’Insubria e uno dei maggiori studiosi dello scioglimento del permafrost  – La notizia sta nella frequenza con cui si ripetono questi fenomeni. È come un campanello che è già suonato e che ora diventa più insistente».

Il cambiamento climatico è ormai in atto: « Non è proprio più il caso di dubitarne. Non è che, siccome quest’anno ha fatto meno caldo e ci sono state più precipitazioni, possiamo credere che non esista. I fenomeni temporaleschi del luglio scorso hanno avuto una violenza maggiore. I venti che si trasformano in trombe d’aria ci sono già stati, ma è la loro frequenza a farci preoccupare».

Il professor Guglielmin è reduce dall’ennesimo viaggio sulle Alpi per verificare lo stato dei ghiacci e del permafrost: «Rispetto allo scorso anno devo dire che si trovano in condizioni migliori. Questo perché ci sono state nevicate abbondanti tra aprile e giugno. La temperatura è stata abbastanza rigida, con il ciclone africano che non si è mai spinto fino a quelle latitudini. Ma lo stato di salute dei ghiacci è ammalorato a causa di condizioni che si protraggono senza che qualcuno inverta la rotta».

Mauro Guglielmin

Il professor Guglielmin è impegnato anche in Alaska dove l’Università dell’Insubria ha aperto una sede di ricerca: «Stiamo studiando gli effetti del cambiamento climatico, la qualità del permafrost e la quantità di metano che viene immessa nell’aria a causa dello scioglimento dello strato di ghiaccio. Il problema è globale ma le soluzioni devono iniziare a essere anche individuali, senza attendere il grande progetto. Non parliamo solo di anidride carbonica ma anche di urbanizzazione, gestione delle foreste, circolarità dell’agricoltura,  sistemi sostenibili a tutela dell’ambiente che ci circonda. E anche dell’economia».

L’Italia si sta muovendo a livello scientifico: « Come Università dell’Insubria siamo parte di un grosso progetto con i fondi del PNRR che mira a valutare lo stato di salute del paese. Il nostro ateneo cura tre focus: due sulla sismicità con il professor Michetti mentre io devo avviare un monitoraggio sulle aree dove c’è permafrost e capirne le condizioni, così da mappare le fragilità della nostra montagna».

Proprio in questi giorni alcuni episodi di cronaca hanno acceso i riflettori sul tema: « Quello che è successo sul Monte Legnone, dove si è staccato un pezzo di roccia, non riguarda il permafrost. Credo che nemmeno la colata di fango che ha travolto Bardonecchia sia collegabile, ma non conosco il punto dove c’è stato il distacco. È chiaro, però, che, sciogliendosi il permafrost  episodi franosi superficiali possono succedere. Lo scioglimento è un fenomeno molto grave, di cui rischiamo di vedere effetti molto pesanti nei prossimi 10/15 anni quando il processo diventerà più vasto e profondo».

Il professor Guglielmin non vuole fare allarmismi ma invita a non negare il cambiamento climatico in atto: « Quello che sta succedendo è ormai molto chiaro».

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Pubblicato il 19 Agosto 2023
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