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Dairago, 4 novembre: «Impariamo a lottare aspettando di tornare ad abbracciarci»

Il sindaco di Dairago, in un parallelo tra la Grande Guerra e la pandemia, ha sottolineato l'esigenza di imparare a soffrire e lottare aspettando il ritorno alla normalità

Celebrazioni 4 Novembre nel Legnanese

L’emergenza sanitaria non ferma le celebrazioni per la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate a Dairago: anche senza una manifestazione come quella che ci siamo abituati a conoscere negli anni passati, il paese non ha infatti rinunciato a commemorare il 4 novembre con la tradizionale deposizione della corona di alloro al Monumento ai Caduti.

«La prima guerra mondiale ha rappresentato per il mondo un bagno di tragico realismo – ha sottolineato il sindaco, Paola Rolfi -: le più potenti nazioni del mondo, infatti, da circa cinquant’anni non si combattevano sul suolo europeo e avevano vissuto questa epoca nell’agio delle novità tecnologiche e nell’illusione di un dominio della pace. All’improvviso, però, almeno due generazioni di uomini e di donne si trovarono impegnati in una guerra i cui reali obiettivi di potenza solo parzialmente venivano celati dalla retorica tardo-risorgimentale di un’unità d’Italia da completare».

La prima cittadina ha poi dato lettura delle parole di una giovane studentessa di 13 anni di Asti che ha provato a immedesimarsi nella tragedia della Grande Guerra, immaginando quali parole un soldato avrebbe rivolto alla madre in una lettera inviata dalla trincea: «Sono stufo, mia carissima e preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l’impossibile: morti a destra, morti a sinistra, morti dietro ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che è ormai perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare. […] Solamente ora, ahimè, capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo sulle gambe, il respiro dell’ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che grava sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura».

«Leggendo queste parole ho provato anche io a immedesimarmi nelle sensazioni che possono travolgere un soldato mentre si trovava in trincea e mi sono ritrovata a concordare con la giovane studentessa di Asti – ha aggiunto Rolfi -: il freddo, la precarietà, la paura devono essere stati sentimenti che hanno davvero avvolto all’improvviso la vita di quegli uomini e di quelle donne impegnati sul fronte. Tuttavia, ho provato anche a pensare a quale sensazione di gioia, di amore e di liberazione quegli stessi devono aver provato quando la guerra terminò, quando poterono tornare a casa: allora il freddo e la precarietà si tramutarono nel calore degli affetti familiari, la paura in volontà di non dimenticare mai chi lasciò la vita sul campo di battaglia. Quello che voglio sottolineare è proprio il desiderio umano di tornare ad una normale quotidianità dopo aver vissuto una tragedia. Mi permetto di dire che noi oggi stiamo vivendo una situazione non identica, ma per alcuni tratti simile a quella vissuta da quegli uomini e da quelle donne; anche noi, come loro, dobbiamo imparare a soffrire e a lottare insieme in attesa dell’ora felice in cui potremo tornare ad abbracciarci».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 08 Novembre 2020
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