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L’apprendista

di Angela Borghi

Il racconto della domenica

Se io fossi un angelo chissà cosa farei, alto biondo invisibile che bello che sarei

Il fruscio delle vesti gli provocava brividi di apprensione. Ogni cento anni camminava a testa bassa fino al centro del consesso fatto di occhi trasparenti e voci severe. Si aggiustava di nascosto le piccole ali che, nonostante i fallimenti, spuntavano sul dorso. Non bastavano neppure a sollevarsi da terra un metro.
Anche in questa sessione di giudizio sarebbe stato bocciato, lo sapeva. Lo aspettava un altro lungo secolo da apprendista.
Eppure aveva fatto di tutto per superare le prove nel mondo degli umani. Quel mondo imperfetto, disordinato e ingiusto ma che il suo cuore amava così tanto. Si sentiva vicino a quegli uomini e donne imperfetti, disordinati e ingiusti. Ai loro amori e ai loro disastri, ai suoni armoniosi o sguaiati, agli odori anche i più grevi, a quella vita.
Si schiarì la voce per iniziare il resoconto delle buone azioni intraprese, o tentate, dei gesti di protezione che un vero angelo custode avrebbe compiuto con lieve naturalezza ma che in lui risultavano goffi ed erano costellati di risultati mediocri.
Parlò del bambino che si era avventurato solo per strada, allontanandosi dalla vista della madre, del delinquente da fermare dopo una rapina, dell’innamorato che voleva ritrovare l’amata, e di tanti altri. Ma gli angeli giudicanti lo fissavano con occhi onniscienti e quindi aggiunse che, per evitare che venisse investito, aveva spinto e perso nel bosco per ore il bambino, che l’auto dei gendarmi lanciata dal suo soffio troppo veloce all’inseguimento del rapinatore si era incidentata, che l’innamorato aveva riconquistato l’amata ma la donna lo tradiva e lo aveva reso infelice.
Alla fine si sentiva trapassato da lame affilate e non sopportava il suono delle candide teste che si scuotevano con disapprovazione. Teneva il capo basso, il bagliore dei visi lo accecava.
Sapeva quello che gli avrebbero detto, anche questa volta.
Sei troppo vicino al loro pensiero e al loro cuore. Gli angeli non hanno lacrime di compassione. Volano alti per comprendere tutto e non pasticciano con le emozioni. Resterai un apprendista.
Mentre si ritirava con la veste pesante e i riccioli afflosciati dalla delusione sussurrò: non sarò mai come loro, non ne sono capace. Poi gridò: non voglio essere come loro.
L’eco di questo nuovo pensiero disturbò, per un attimo, le voci limpide dei cori angelici ma poi li superò e galleggiò sempre più potente, in su, fino a essere udito nelle sfere celesti.

Ispirato alla canzone Se io fossi un angelo – Lucio Dalla, 1985

Racconto di Angela Borghi, immagine: particolare di Giotto-Cappella degli Scrovegni

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Pubblicato il 31 Ottobre 2021
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