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Giorno della Memoria oppure oblio della memoria?

L'invito di Rosa Romano: "Ampliamo i confini dell'Olocausto ai giorni nostri, perché le morti di ieri sono uguali a quelli di oggi"...

Riceviamo e pubblichiamo con piacere queste considerazioni di Rosa Romano, esponente di primo piano del Volontariato locale, in relazione alla giornata odierna dedicata a livello internazionale alla commemorazione delle vittime dell'Olocausto.


Anche quest’anno, come è ormai consuetudine, si celebra il giorno della MEMORIA.

Nello spazio di una settimana a Legnano, medaglia di bronzo al valor militare, ANPI, scuole, associazioni, tornano simbolicamente a quel 27 gennaio 1945 (quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa entrarono ad Auschwitz e scoprirono gli orrori del genocidio nazista), per rievocare le bruttura che uomini, all’apparenza normale, compirono contro altri uomini, “diversi” per razza, religione, colore. E sempre, qualunque sia lo strumento: un film, un libro, un dibattito, durante la cerimonia di rievocazione, cala un assordante silenzio, cassa di risonanza di un disgusto dell’anima e della mente. Perché è sconvolgente, incredibile e inenarrabile ciò che accadde in quegli anni nei lager.

Alcuni anni fa anch’io mi cimentai in un lavoro biografico, che fu rappresentato più volte da Radice Timbrica nel territorio del distretto legnanese. (il titolo era Partigiano tre volte nudo ed era la storia in parte vera, in parte immaginaria del partigiano Candido Poli e di un suo amore nel lager di Dacau). L’Onu aveva da qualche anno decretato la giornata mondiale della memoria e il fervore per la ricorrenza, intesa come momento di conoscenza e di condanna, aveva un che di apostolico. Ricordo la prima volta che il mio lavoro fu rappresentato. Nel buio della sala Ratti, avvolto dal respiro di un pubblico attento, mentre le attrici leggevano il testo, io colsi un sussulto di animi, un desiderio di approfondimento, condivisione e protezione che non avrei immaginato. E insieme, un non ben dichiarato sospiro di pentimento e liberazione. Quasi come se, di fronte a tali brutture, ciascuno di noi perdonasse a se stesso quella sottile spinta alla sopraffazione, trasmessaci da antichi antenati, di cui spesso sentiamo l'ingombro.

Anno dopo anno la celebrazione della memoria si ripete e rinnova. Cittadini emeriti insieme a studenti e testimoni, che purtroppo si vanno via via riducendo, hanno aggiunto nuove tessere alla ricostruzione di un puzzle infernale.

E tuttavia più la ricostruzione diventa precisa, più si allenta la curiosità e l'emozione delle persone.

La misura di tale indebolimento la danno i social network e la rete che, certo, non rappresentano un indicatore assoluto, ma rispecchiano le tendenze, i pensieri, gli atteggiamenti e i gusti delle persone che li frequentano. E queste persone della Memoria parlano poco, come se i fatti rievocati e narrati, fossero una storia lontana, vissuta da altri molti anni fa. Le ragioni sono sicuramente tante: una riguarda il "il tempo e l'assenza". Il tempo perché man mano che passano gli anni ci allontaniamo sempre più dalla realtà degli eventi e l'assenza, dovuta all’inevitabile e graduale scomparsa dei protagonisti, che scioglie il collante tra I fatti della storia e il nostro quotidiano vissuto.

Eppure la rievocazione non serve solo a onorare e ricordare le vittime del genocidio, ma a tener desta l’attenzione e l’orrore affinché si scongiuri un nuovo Olocausto.

Purtroppo, invece, da più parti si comincia a parlare di "nuovo Olocausto", riferendo il termine al genocidio che da anni si sta perpetrando in Medio Oriente e parte dell’Africa centrale a danno di intere comunità cristiane che, in quei luoghi, hanno vissuto in pace per secoli.

Associazioni umanitarie, Media, Rete e Social network denunciano periodicamente questa spirale di violenza che sembra non conoscere tregua. Ciò nonostante la strage continua.

E allora mi chiedo: perché non contestualizzare l'olocausto nazista e, allargandone i confini, riferirlo ai nostri giorni e alle popolazioni cristiane o comunque diverse, vittime sacrificali di una rinnovata animalesca bruttura? Perché, pur parlando di ieri ed esaltando la dignità di chi è stato vittima ingiusta di una follia distruttiva, non raccontare anche le stragi di oggi, che non sono una "cosa" diversa, ma al contrario legate da un filo sottile a quelle di ieri e rappresentano la inumana pazzia di coloro che esercitano il loro mortale potere su chi ha una religione diversa? Qualunque essa sia.

Forse, se facessimo questa coniugazione, affiancando alle torture di ieri quelle di oggi, in ciascuno di noi aumenterebbe il coinvolgimento, il senso di responsabilità e la consapevolezza che per difendere libertà e dignità occorre tenere accesa la lampada dell’attenzione e della partecipazione. Sempre. Anche quando crediamo che ciò che accade non ci riguardi. Perché le morti di ieri sono uguali a quelli di oggi.

Mi rendo conto che questa proposta può essere considerata un azzardo, ma la butto lì, anche solo per una riflessione.

Chiudo con Quasimodo e la sua poesia universale che, in onore dei morti di ieri, dedico ai morti africani e cristiani di oggi.

E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese

Rosa Romano

Redazione
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Pubblicato il 27 Gennaio 2015
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