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Cascina Mazzafame, 21 giugno 1944

Nel racconto di Renata Pasquetto, Anpi Legnano, l'episodio bellico, con protagonisti i partigiani legnanesi, che sarà ricordato domenica 8 alla Mazzafame...

Cascina Mazzafame, 21 giugno 1944

Era la sera del 21 giugno 1944: una quindicina di partigiani appartenenti alla 101^ Brigata Garibaldi “Giovanni Novara” GAP erano di passaggio alla Cascina Mazzafame, dove ora si trova il Maniero della contrada La Flora. Molti componenti del gruppo erano originari proprio di quella Cascina, compreso il loro comandante, il poco più che 21enne Samuele Turconi, detto “Sandro”. «Noi siamo arrivati alla Mazzafame – racconterà in seguito il Turconi – Erano le nove, nove e mezza. Abbiamo mangiato qualche cosa: quando arrivi a casa dei tuoi familiari qualche cosa salta fuori da mangiare».

Di solito si fermavano solo pochi minuti ma quella sera, forse più affamati del solito, indugiarono più a lungo, creando involontariamente l’occasione per una (probabilmente ben remunerata) delazione: «alle dieci, dieci e mezza… han cominciato a fare fuoco. Sono stati prima loro a sparare, che noi».

Più di 250, forse 300, militi armati avevano accerchiato la Cascina, la chiesetta, i campi, con un giro larghissimo che arrivava fino alla via Novara, ma «non furono solo i fascisti legnanesi ad attaccarci: ci attaccò la PAI (Polizia Africana Italiana), la Brigata Nera e la Decima MAS di Busto. Rastrellarono tutte le famiglie della Mazzafame e le radunarono vicino alla chiesa minacciandole di morte se non ci fossimo arresi». I fascisti per rappresaglia intendevano dar fuoco alla Cascina e fucilare gli abitanti, donne, bambini, anziani contadini, tra cui anche Carlo Clementi di 97 anni.

«Combattemmo strenuamente e quando alle undici di sera ci accorgemmo di essere stati circondati capimmo che per noi non c’era più nulla da fare. Decidemmo di non arrenderci comunque anche se le forze in campo erano decisamente a nostro sfavore e combattemmo furiosamente fino all’alba», finchè non ebbero quasi terminato le scarse munizioni. A differenza dei fascisti, quei partigiani erano infatti armati solo di una pistola e un paio di caricatori a testa. Un problema di tutte le formazioni partigiane sono sempre state le munizioni, sempre scarse, anche dove le armi erano abbondanti. Si sarebbe potuto capire se a sparare era un fascista oppure se era un partigiano anche se utilizzavano la stessa arma: la raffica aveva una durata lunghissima per i nazi-fascisti, che tendevano a svuotare il caricatore del mitra, brevissima, di pochi colpi, per i partigiani, che centellinavano con cura le munizioni. Nonostante ciò fra i militi vi erano stati una decina di feriti e due o tre morti mentre tra i partigiani erano feriti, ma gravemente, solo Nino Lepori, di Fagnano Olona, trapassato da una pallottola al torace e con un polmone perforato, e lo stesso Samuele Turconi, colpito da una sventagliata di mitra ad una gamba già poco prima della mezzanotte.

Verso l’alba il Turconi venne nuovamente ferito in modo grave da una mitragliata all’altra gamba che gli rese impossibile stare in piedi e di fronte alla minaccia di rappresaglia contro la popolazione decise di arrendersi, dando ordine ai suoi uomini di abbandonare la cascina e di mettersi in salvo. “Lasciami stare!” disse al Rizzoli che era lì vicino e voleva trascinarlo via: “Vai via con tutti! Vai via con tutti, entra nel bosco e… mena! Parchè chi… chi va mazzan tüti, eh!!! [e… scappa! Perché qui… qui vi ammazzano tutti, eh!!!]”.

Con le ultime pallottole Samuele Turconi riuscì a creare un breve fuoco di sbarramento proteggendo i suoi uomini nella fuga. Tra essi si salvò anche il 21enne vicecomandante della Brigata, Giuseppe Rossato, detto “Gelo”, che verrà poi catturato a fine novembre, su delazione, in piazza Redentore, torturato al “Circul di sciuri” in via Alberto da Giussano e al Carcere di San Martino, senza riuscire a farlo parlare, condannato a morte, incarcerato a San Vittore a Milano e fucilato per rappresaglia al Campo Sportivo Giuriati a Milano il 14 gennaio 1945.

«Alla fine – continua il Turconi – insieme ad altri due compagni ci arrendemmo. Un fascista mi puntò il fucile alla testa e minacciò di uccidermi sul posto; poi invece mandarono mio fratello con degli amici che mi trasportarono sino in via Novara dove i fascisti avevano fatto base. Ormai mi venivano meno le forze ma feci in tempo a sentire che avevano preso il Rizzi Pietro, il Bragè, il Casero. Mi caricarono su un automezzo militare ormai quasi morto ed insieme ad altri ci condussero alla caserma dei carabinieri di Busto Arsizio. Fortunatamente incontrai un maresciallo dei carabinieri veramente coraggioso che si oppose con tutte le sue forze a rinchiudermi in quelle condizioni in cella. Per me sarebbe stata la fine. Ho sentito ‘sto maresciallo che ha detto “Portatelo via! Via! Subito! Che questo sta morendo! Che io non voglio i morti in questa caserma!!!” E poi lì non ho capito più niente… I fascisti furono così obbligati a condurmi nell’ospedale della città dove i medici mi salvarono la vita per un soffio».

Samuele Turconi rimase in ospedale una ventina di giorni piantonato da militi armati, interrogato e torturato: «per impressionarmi, sotto il letto mi misero una cassa da morto. E dopo è venuta la sera fatale. E’ venuto il Montagnoli: “Eh, oggi ti facciamo la festa in piazza Santa Maria..!”». Angelo Montagnoli era il comandante delle Brigate Nere di Legnano, conosceva molto bene Samuele Turconi fin dall’infanzia e gli era perciò particolarmente ostile per la sua scelta antifascista. Era il 13 luglio quando «Angelo Montagnoli e il Negrini mi portarono con sarcasmo la bella notizia che molto presto sarei stato fucilato», alle 5 di mattina dell’indomani.

«La sera stessa mi mandarono un sacerdote per l’ultimo conforto e intorno alle 20 i fascisti, che mi piantonavano, mi avvertirono che c’era una visita per me. Un cretino di quelli mi dice: “Aaah, c’hai qua compagniaaa! C’è una signorina che ti vuole vedere!” Ed entra la Piera Pattani. Io non la conoscevo. La conoscevo di vista; sì, era dentro nei partigiani, però la conoscevo di vista. S’è buttata al collo abbracciata e mi ha… ho sentito che nella mia bocca entrava qualche cosa. C’è stato un disgraziato di quelli lì, c’ha dato… ha preso il fucile per la canna, c’ha dato tre vergate sulla schiena: credevo che era morta! Credevo che la Piera Pattani era morta!!! E invece… con i capelli l’hanno trascinata fuori da dove ero dentro io.

A un certo punto… cosa c’ho in bocca? Faccio finta di mettere la testa sotto le lenzuola e riesco a leggerlo: “TENTIAMO ALLE 10”. E alle dieci, dieci e dieci son arrivati. Con un’azione militare a cui partecipò tra gli altri anche Mauro Venegoni vennero e, immobilizzate le guardie, Guido Venegoni mi caricò sulla canna della bicicletta poiché le mie ferite non erano ancora rimarginate… Fui accompagnato a Legnano in via Novara nella casa della partigiana Alogisi Angela in Grassini dove poi fui curato dal dott. Tornadù, farmacista di via Novara. Rimasi da lei una decina di giorni e poi dovetti abbandonare il rifugio divenuto insicuro. Mi trasferirono allora a Prospiano anche se le mie condizioni non erano per niente buone. Faticavo a muovermi e rimasi nascosto nella casa privata del Sig. Colombo per parecchio tempo».

Una volta ristabilitosi Samuele Turconi tornò ad operare in qualità di comandante della sua 101^ Brigata Garibaldi GAP di Legnano-Mazzafame e Gorla Maggiore, al cui comando era stato invitato a novembre 1944 da Guido Venegoni, effettuando insieme con i suoi uomini in squadre quasi sempre di soli quattro elementi una serie infinita di audacissime azioni non solo a Legnano ma in tutta la Valle Olona, in accordo e su richiesta di Guido e Mauro Venegoni e del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Milano. Famose a Legnano sono state il deragliamento di un treno merci alla stazione (inizi marzo 1944), il sequestro per i partigiani di montagna di 4 (forse 5) quintali di burro alla Centrale del Latte di via Montenevoso (21 ottobre 1944) e l’attentato dinamitardo all’Albergo Mantegazza (4 o più probabilmente 5 novembre 1944), in seguito al quale Legnano fu tappezzata con manifesti recanti una fotografia di Samuele Turconi ed una forte taglia sulla sua testa.

L’11 dicembre 1944 una delazione portò al suo arresto durante un’azione delicata a Besnate (VA) in collaborazione con la Volante Servadei (una delle formazioni piemontesi di Cino Moscatelli): riconosciuto da un milite legnanese, il Turconi venne barbaramente torturato prima dalle Brigate Nere e poi dalle SS tutte le notti per 8-12 ore filate senza tregua né pietà fino all’alba del 25 dicembre. Non disse una parola. Incarcerato a San Vittore a Milano, condannato a morte per fucilazione con estrazione a sorte, nuovamente rintracciato dal Montagnoli il 21 aprile per essere tradotto a Legnano e fucilato in piazza San Magno l’indomani all’alba, il Turconi arrivò fortunosamente vivo al 24 aprile, quando alle 15 un secondino lo fece evadere. Tornò a piedi a Legnano, giungendovi all’alba del 25 aprile, appena in tempo per unirsi ai combattimenti dell’insurrezione a fianco di Alberto Tagliaferri della Carroccio, la formazione cattolica. Riprese il comando delle Brigate Garibaldi, contribuendo anche al blocco della famigerata Colonna Stamm a Busto Arsizio il 28 aprile, e rimase in carica alla caserma partigiana delle scuole Carducci di via XX Settembre fino alla definitiva smobilitazione militare avvenuta a metà giugno 1945. Poi tornò nell’ombra dell’anonimato e della quotidianità.

Sono questi alcuni dei tratti della vita di Samuele Turconi. Amante della libertà, della giustizia, fiero nel carattere ma umile e semplice nel ricordare la sua vita di partigiano. Questa la motivazione che lo spinse ad agire, soffrire e rischiare così tanto: «Ho semplicemente fatto il mio dovere di cittadino che ama la propria Patria perché non potevo vedere il nostro popolo schiavo di una dittatura che aveva tolto la libertà e imposto la guerra. Ho fatto quello che ho potuto senza nulla chiedere o pretendere in cambio, sostenuto dalla forza dei miei ideali e dall’esempio di tanti compagni di lotta.»

Renata Pasquetto, Anpi Legnano

Per saperne di più:

.VIDEO “La guerra del partigiano Sandro”: http://youtu.be/2B8MLJfs0Ho

.Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti, Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, edizioni Eo Ipso, Legnano, 2001. [presso Rete Bibliotecaria Provinciale di Varese (es. Castellanza) e Consorzio Sistema Bibliotecario Nord-Ovest Milano (es. Legnano)]

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Pubblicato il 07 Giugno 2014
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