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Giornata delle vittime da covid: dalla Medicina di Legnano il ricordo dei momenti più difficili della pandemia

In occasione della Giornata nazionale in memoria di tutte le vittime dell'epidemia da coronavirus, la testimonianza di Roberta, operatrice sanitaria della Medicina dell'Ospedale di Legnano

Medicina Covid Legnano

L’emergenza sanitaria sta per arrivare alle sue battute finali. Ma i segni che questa pandemia ha lasciato in ognuno di noi sono indelebili. Lo sa bene il personale sanitario che, per due anni, ha combattuto in prima linea contro il coronavirus. In occasione della Giornata nazionale in memoria di tutte le vittime dell’epidemia, Roberta, operatrice sanitaria della Medicina dell’Ospedale di Legnano, con emozione, ci porta la sua testimonianza

«Quando prendevi servizio al mattino, sul foglio di consegna i nomi dei pazienti erano cambiati anche durante la notte, non dimessi ma deceduti – ricorda Roberta -. E il letto non rimaneva libero neppure un’ora, il tempo della sanificazione e altro ricovero. Siamo arrivati a gestire 17 caschi in contemporanea, quando in tempi “normali” la medicina ne gestisce massimo tre o quattro su 36. Un rumore sordo, costante, interrotto solo dai beep dei monitor».

La paura di contagiare i proprio famigliari, il timore di dover curare un parente o un collega. E poi la stanchezza e la tensione che ogni giorno si facevano sentire sempre di più. «Ci siamo sempre aiutati tra noi per far fronte alla fatica – racconta Roberta -. Tanta fatica… troppa fatica. Niente riposi. Ore su ore. Settimane infinite. Famiglie intere ricoverate, nelle parti comuni. L’ospedale appariva deserto, spettrale. Un giorno sono scesa al pronto soccorso Covid e non ho riconosciuto l’uscita: anche il passaggio era stato occupato dalle  barelle con i pazienti. Una visione spiazzante. E poi le ambulanze in fila sulla rampa di accesso, le sirene e i lampeggianti blu».

Roberta ricorda quando le bombole di ossigeno erano la merce più preziosa. «Quante ne avrò sollevate, non so. So solo che pesavano e tanto: ci sarà sempre la mia spalla lesionata a ricordarmelo». E poi l’isolamento del malato lontano dai famigliari, impotenti a casa. Momenti drammatici in cui il personale sanitario ha più volte cercato di andare al di là della propria professione, superando i limiti di maschere e tute anti-Covid, per non lasciar soli i pazienti. L‘unico contatto con i parenti era attraverso il cellulare con «le videochiamate e… purtroppo per qualcuno sono stati gli ultimi momenti di contatto con i proprio famigliari – così Roberta -. Momenti strazianti. In mezzo a tutto questo, per fortuna, la soddisfazione di riaccompagnare le persone guarite sulla porta del reparto dove avevamo un arcobaleno disegnato da un bimbo della scuola elementare con la scritta “Andrà tutto bene”. Qui il cuore si riempiva di speranza e forza».

A ricordare quei momenti anche il mondo del soccorso che con i suoi operatori è entrato nelle case delle persone. Come spiegano dalla Croce Bianca di Legnano sono stati «due anni che ci hanno messo a dura prova». Tra accorgimenti sanitari e contatti diretti con il dolore delle famiglie e la paura. «Nessuno di noi ha mollato». La pandemia ha mostrato comunque un lato positivo, secondo i soccoritori: «È cresciuta la consapevolezza tra le persone. C’è una maggior presa in considerazione del mondo del soccorso e sanitario. Le persone si sono avvicinate a noi. Non a caso i nostri volontari sono aumentati. Purtroppo, l’ignoranza non è scomparsa: c’è e si fa sentire anche nei confronti del vaccino che in vece si è rivelato un’arma vincente contro questa pandemia».

Gea Somazzi
gea.somazzi@legnanonews.com
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Pubblicato il 18 Marzo 2022
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