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Nella sede USCA di Parabiago, da dove parte l’assistenza domiciliare per i malati Covid

Ogni giorno quattro medici Usca sono in servizio per l'Unità Speciale di Continuità Assistenziale e si occupano delle visite a domicilio dei pazienti Covid e dei casi sospetti

Usca- Unità Speciale Continuità Assistenziali di Parabiago

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Entrano nelle case dei pazienti malati di Covid del territorio degli ospedali dell’Asst Ovest Milanese (ad eccezione di Abbiategrasso). Ascoltano le paure delle persone che da giorni si trovano in isolamento, cercano di tranquillizzarle e curarle prescrivendo farmaci oppure indicando la via del ricovero, non sempre è accettata da chi sta male. È un lavoro prezioso quello dei quattro medici dell’Unità Speciale di Continuità Assistenziale di Parabiago, professionisti che visitano ogni giorno dai 30 ai 50 malati Covid o casi sospetti. I loro nomi sono Lucrezia, Giacomo, Federica e Marco, tutti medici trentenni che esercitano la professione da un paio di anni. Alcuni di loro hanno già prestato il loro servizio a domicilio durante il lockdown di marzo e aprile, per altri è la prima esperienza con i pazienti Covid.

La sede dell’Usca locale si trova in via Spallanzani a Parabiago: qui ci sono gli uffici da dove partono i medici inviati da Ats ai pazienti che necessitano assistenza a Legnano e in tutti i comuni dell’Alto Milanese, del Magentino e del Castanese. Il servizio non è attivabile dal singolo cittadino, è il medico che (attraverso Ats) fornisce ai professionisti dell’Usca il nominativo e l’indirizzo del paziente da seguire a domicilio. «Attraverso il triage telefonico, dove si ascolta con attenzione il malato, capiamo quali sono i casi che necessitano l’attivazione di una visita domiciliare – precisa Lucrezia -. Cerchiamo di non lasciare in attesa nessuno».

«La visita – spiega Marco – consiste in un esame obiettivo, nell’auscultazione polmonare e del torace, nella misurazione della pressione e soprattutto della saturazione, che è la discriminante per dirci se la situazione è gestibile da casa e non ha bisogno di ulteriori accertamenti. Possiamo anche eseguire i tamponi molecolari, soprattutto per chi è allettato e non è trasportabile, ma cerchiamo di dare priorità alle visite».

La tensione è alta per i medici, che si trovano davanti situazioni difficili e in alcuni casi hanno anche dovuto assistere al decesso di un paziente. «Questo territorio è fortemente colpito e la situazione è peggiore rispetto a marzo – sottolinea Giacomo -, paragonabile a quella vissuta nelle zone di Lodi e Bergamo in primavera. Il virus continua a diffondersi e il sistema sanitario continua a essere al limite». Ogni turnazione vede in servizio quattro medici suddivisi in coppie per le uscite. I dispositivi vengono indossati fuori dalla porta di casa del malato: «Con l’aiuto di un collega indossiamo due paia di guanti, i soprascarpe, una tuta bianca, un camice con chiusura posteriore, una visiera, due mascherine e infine una cuffia – spiega Marco -. Il momento più delicato, però, è quello della svestizione».

Nonostante siano irriconoscibili i malati sentono il contatto umano: le Usca, in questo periodo d’incertezza, sono diventate una presenza rassicurante: «Entriamo nelle loro case e li ascoltiamo – racconta Federica -. Spesso i pazienti e le famiglie ci ringraziano per il servizio che svolgiamo proprio perché si sono sentiti abbandonati dal sistema. Diamo una prognosi, cerchiamo di definire i confini della malattia, di capire se è curabile a casa o necessita di ricovero in ospedale. A volte dobbiamo accettare la scelta dei pazienti che preferiscono essere curati a casa. Sono tante le persone che incontriamo e di cui non sapremo mai il decorso clinico: ci restano il ricordo e la consapevolezza di aver fatto il nostro lavoro al meglio».

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Pubblicato il 19 Novembre 2020
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