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VERDI: NON SERVONO "MONCONI" DI PISTE CICLABILI, MA UN SERIO PROGETTO

4 Maggio 2010


Riceviamo e pubblichiamo:

Una opinione del sottoscritto sulle piste ciclabili parte da provata esperienza sia come ciclista (10.000 Km ogni anno) che come viaggiatore e cicloturista, per avere pedalato in varie nazioni europee. E’ sempre meglio che il nulla, soprattutto in aree già densamente sfruttate urbanisticamente, ma pochi metri di una stretta striscia colorata sull’asfalto con il disegno di una bicicletta rischiano di avere solo un significato simbolico, se non addirittura solo fini propagandistici.

Un amministratore cittadino non dovrebbe vantarsi di avere realizzato chilometri di piste ciclabili se queste sono formate da brevi monconi in aree periferiche e di per sé isolate. Come discusso ed illustrato da esperti anche in campo internazionale nel meritevole congresso “In Bici” sulla mobilità ciclabile promosso nel 2007 dall’ex assessore Pietro Mezzi per la provincia di Milano, le piste ciclabili devono rispondere a precise esigenze di sicurezza e fruibilità.

Un progetto ciclabile deve riconoscere l’importanza e la risorsa di un mezzo come la bicicletta in grado di competere con l’automobile: una pista ciclabile deve, naturalmente come il traffico normale, avere la precedenza se da una via principale incrocia una strada secondaria, e non essere ritenuta invece la bicicletta in sé un mezzo secondario rispetto al quale l’automobile deve comunque avere la precedenza. Sono tanti i casi di piste ciclabili appunto continuamente interrotte da ogni intersezione e potenzialmente pericolose.

Ricordiamo che un comune ciclista sportivo e allenato può tenere medie di percorrenza prossime ai 30 Km orari il che è già di per sé superiore al traffico cittadino nelle ore di punta.

Discorso simile per la questione delle rotonde, sempre più diffuse ma che creano difficoltà per la concezione delle piste ciclabili, a meno di volerle volutamente interrompere e volendo venir meno al principio di precedenza indipendentemente dal mezzo utilizzato.

E’ necessario altresì creare una opinione pubblica che riconosca il rispetto dei ciclisti, un aspetto culturale che si può costruire attraverso l’educazione ma anche mettendo a disposizione delle infrastrutture veramente efficienti e fruibili. Basti pensare al caso da me sperimentato della Danimarca, che vanta un traffico ciclistico quasi più intenso di quello automobilistico, dove esiste un preciso codice di comportamento da parte dei ciclisti: nessuno manca mai di segnalare a chiunque, anche sulle piste ciclabili, ogni intenzione di svolta, fermata, ostacolo o cambio di traiettoria.

Le piste ciclabili devono ovviamente essere rispettate e fatte rispettare: non raro vedere piste ciclabili magari insufficienti di per sé e per giunta utilizzate magari come parcheggio o area di scarico.

Stesso discorso purtroppo vale anche per i pedoni: se i ciclisti devono rispettare un certo codice sulla pista ciclabile, la stessa deve essere effettivamente distinta e riservata ai mezzi a due ruote e non considerata come un più ampio marciapiede. Incidenti e scontri fra ciclisti e fra ciclisti e pedoni in questi casi non sono purtroppo impossibili né rari.

E’ evidente che una pista ciclabile mal concepita e progettata, isolata da una rete di comunicazione e magari anche priva di manutenzione può apparire ad un utente addirittura più scomoda e più pericolosa della stessa strada aperta al traffico veicolare motorizzato, e il risultato non sarebbe certo incentivante all’uso delle due ruote come invece auspicabile.

Una dignità deve essere riconosciuta a chi condivide le stesse esigenze di movimento e le stesse vie di comunicazione ma sceglie di utilizzare un mezzo che per il bene di tutti risparmia spazio, emissioni inquinanti, consumi energetici.

Isacco Colombo
Verdi Legnano

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