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Una “tranquilla notte di paura” in pronto soccorso a Legnano

Il racconto di una notte all'Ospedale di Legnano, tra la "trincea" della sala di attesa e il "fronte" del pronto soccorso

Legnano sanita

Per capire che l’Italia sta condannando a morte il suo sistema sanitario, basta passare una notte in pronto soccorso. Una notte in ps – e non in uno di quegli ospedali che non si esiterebbe a definire da “terzo mondo”, ma in un ospedale di eccellenza come quello di Legnano -, e alla prima intervista di un politico (di che colore non importa) che canta le lodi della sanità italiana viene subito in mente l’orchestra del Titanic, che continuò a suonare mentre il transatlantico affondava. E forse che il “transatlantico” ci sia anche in Parlamento non è una coincidenza.

Una notte, all’improvviso, sei dall’altra parte della barricata. Non stai più raccogliendo la testimonianza di qualcuno che è stato male, ha passato ore in sala di attesa e ora ha scelto la testata per cui scrivi per raccontare cosa è successo. Sei tu che stai male. E l’impatto con una “tranquilla notte di paura” in pronto soccorso è devastante. Fin dalla sala d’attesa, quando leggi sui monitor di quasi 50 pazienti già in trattamento mentre un’altra quarantina sono in attesa, vedi la coda allo sportello del triage – che quasi quasi sembra una trincea – e ti tremano un po’ i polsi perché capisci che sarà una notte lunga, nella migliore delle ipotesi.

Arriva il tuo turno, e basta entrare in pronto soccorso per capire che dalla trincea sei passato al fronte. Le barelle vanno a ruba come neanche i biglietti per ascoltare i Måneskin, e infatti le prime ore passano su una sedia. E già sei tra i “fortunati” che sono stati visitati senza fare anticamera. Medici, infermieri e operatori socio-sanitari non hanno un minuto – letteralmente un minuto – di tregua mentre schizzano come le palline dei flipper da uno all’altro di quei pazienti che, magari da ore, aspettano una parola per essere rassicurati. Lì dentro, tra codici verdi e defibrillatori, tra risonanze magnetiche e il lamento di chi purtroppo non è abbastanza lucido da sapere dove si trova, nessuno si ferma più a lungo che per una manciata di secondi.

Le facce sono segnate, questa notte non è un caso. Per chi lavora in pronto soccorso è una drammatica realtà quotidiana. Un sorriso, un momento di attenzione, uno sguardo rassicurante, però, nonostante tutto, non lo fanno mancare all’esercito di pazienti in attesa di notizie. Poi arriva il momento in cui le luci si abbassano un po’, quel momento in cui chi ce la fa prova a dormire qualche ora in barella in attesa della mattina. La sala di attesa si è svuotata o quasi, almeno per ora. Chi poteva essere dimesso, è stato rimandato a casa. Ma per medici e infermieri non è ancora tempo di fermarsi a bere un caffè e prendere fiato: ci sono ancora le scartoffie da compilare, le linee guida e i protocolli da controllare, i documenti da firmare, senza mai togliere l’orecchio dal bip dei monitor.

È andato davvero tutto bene, due anni più tardi di quando lo scrivevamo sugli striscioni appesi ai balconi? No, sembra di no.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 24 Novembre 2022
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