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10 settembre 1944 – Angelo Galliverti, il partigiano dimenticato

Luigi Botta ricorda Angelo Galliverti detto Tàcum, partigiano legnanese che combatté nella zona dell’Ossola

Il giorno e la storia - settembre

Luigi Botta ricorda Angelo Galliverti detto Tàcum

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Al Partito, allora in via Alberto da Giussano (ora Bingo), tutti lo chiamavano Tàcum. Ricordo di lui due episodi particolari che mi sono rimasti chiari nella memoria. Tàcum combatté da partigiano nella zona dell’Ossola pur essendo legnanese. Il perché non l’ho mai saputo e, purtroppo, mai glielo chiesi.

Un giorno mi chiese se volessi andare con lui a Domodossola per il decennale della Repubblica dell’Ossola, sorta il 10 settembre 1944 e riconquistata dai fascisti il 23 ottobre 1944. Partimmo presto sulla mia ISO (tipo Vespa) una domenica di settembre del ’54. Domodossola era colma di gente, partigiani con labari e bandiere, bandiere di partito ecc.  Tàcum trovò subito un gruppo di partigiani della zona che avevano fatto con lui la Resistenza. E lì cominciarono a scambiarsi ricordi.

Uno dei presenti, che era diventato sindaco non ricordo più di quale località, ricordò questo episodio: «Tàcum era al comando di una decina di partigiani che dovevano sorvegliare la linea ferroviaria che, attraverso Iselle e la Svizzera, portava in Germania. Come è noto, la Svizzera era neutrale e permetteva il transito ai treni militari germanici ma senza alcuna sosta in territorio svizzero. Era in arrivo un treno merci con materiali diretti in Germania, scortato da militari tedeschi in piedi sulle predelle di metallo che dividevano un carro dall’altro. Quando il treno giunse alla giusta distanza, Tàcum, come se avesse non una decina di uomini ma un esercito alle spalle, ordinò di sparare e di gridare. Lui per primo continuava a gridare “dai ca tàcum”, (dai che attacchiamo!) in dialetto legnanese. Intanto venivano chiamati i rinforzi. I partigiani fermarono il treno proprio all’imbocco di una galleria, ed arrestarono una ventina di militari tedeschi. Da quel momento tutto il gruppo cominciò a chiamarlo il Tàcum, nome che divenne il suo nome da partigiano.»

Uno dei presenti raccontò che Tàcum venne avvicinato lo stesso giorno da agenti svizzeri che gli proposero, dietro compenso, la consegna del convoglio che avrebbero sequestrato. Tàcum rifiutò e consegnò il treno al suo comandante. Tàcum in quel momento non disse nulla e, che mi risulti, non confermò mai questo particolare.

Verso metà mattinata andammo in stazione ad attendere l’arrivo di Ferruccio Parri che avrebbe commemorato il periodo della Repubblica dell’Ossola. Sceso del treno Parri si fermò un attimo ad osservare lo schieramento delle autorità che lo attendevano. Vide Tàcum tra i presenti, gli andò subito incontro e gli diede la mano. Parri diede la sua borsa in mano a me che ero accanto a Tàcum e lo abbracciò. Poi proseguì coi saluti. In corteo andammo in un teatro dove avvenne la manifestazione ufficiale. Anch’io per una mezz’ora sono stato il portaborse di un personaggio importante.

Verso le tredici ci fu un pasto frugale con tutti i partigiani. Poi i saluti. A quel punto Tàcum mi propose di andare in Svizzera per comperare sigarette e cioccolato. Gli dissi che era impossibile in quanto, allora, per andare in Svizzera occorreva il passaporto e nessuno di noi due l’aveva. Disse di non preoccuparsi e partimmo. Percorrendo una strada asfaltata tra curve e salite arrivammo ad un posto di frontiera svizzero con la strada sbarrata da stanghe del tipo passaggi a livello. La parte italiana non aveva alcun segno di presidio. Dal caseggiato uscirono tre agenti della polizia di frontiera seguiti da un graduato. Tàcum dal portafoglio estrasse una carta o un documento, Il graduato lo salutò militarmente e diede ordine di alzare le sbarre. Entrammo in Svizzera senza passaporto. Il fatto mi lasciò sconcertato.

Dopo il 25 aprile Angelo Galliverti (Tacum) riprese il suo posto alla Tosi. Un altro fatto mi è rimasto impresso. Una sera in via Alberto da Giussano si teneva nel salone grande strapieno di iscritti un’assemblea di partito. Relatore Carletto Venegoni allora deputato. A quel tempo il PCI, tra cellule di fabbrica e di strada contava un migliaio di aderenti. Terminata la relazione iniziarono gli interventi. Ad un certo punto prese la parola Tàcum che con veemenza rimproverò Venegoni perché veniva raramente a Legnano e zona, suo collegio elettorale. Terminò con queste precise parole: «Ricordati Venegoni che l’arena del parlamentare è la piazza!» Al termine Venegoni prese sottobraccio Tàcum e gli disse in dialetto «proprio tu fai un intervento di questo genere, tu che ben sai…» Si allontanarono ed io non seguii più le parole di Venegoni. Il fatto mi rimase impresso perché per tutti noi, giovani di allora, Carletto Venegoni era un’icona, solo da ammirare.

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Pubblicato il 10 Settembre 2020
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