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Omicidio Ravasio, in aula le fragilità del marito della “mantide”: “Non ha mai trovato una sua dimensione”

La difesa di Trifone ha portato in aula lo psichiatra che ha fatto da consulente alla difesa per la perizia, arrivato a conclusioni diverse da quelle dei periti incaricati dalla Corte d'Assise

tribunale busto arsizio

A fine aprile la perizia disposta dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio aveva messo nero su bianco la capacità di intendere e di volere di Marcello Trifone, il marito di Adilma Pereira Carneiro, la cosiddetta “mantide di Parabiago”, a processo insieme a lei e ad altri sei imputati per l’omicidio di Fabio Ravasio. Sei mesi dopo, durante l’udienza di lunedì 20 ottobre, la difesa dell’uomo ha riacceso i riflettori sulla questione portando in aula lo psichiatra che ha fatto da consulente alla difesa per la perizia, arrivato a conclusioni diverse da quelle dei periti incaricati dalla Corte d’Assise.

In aula lo psichiatra ha parlato di una «storia estremamente significativa e rilevante» riferendosi al passato del marito della “mantide”, ricordando come l’uomo abbia poi trascorso «i primi tempi di vita in un orfanotrofio», fino all’adozione da parte di «una famiglia assolutamente per bene e molto agiata». Secondo quanto riferito in aula dal professionista, però, nel nuovo contesto, però, Trifone, non sarebbe mai davvero riuscito ad inserirsi, così come non sarebbe mai riuscito a ritagliarsi un ruolo di peso nell’azienda di famiglia. Quello con Adilma Pereira Carneiro, peraltro, è stato il suo secondo matrimonio, dopo il naufragio delle prime nozze cui sarebbe seguita anche l’interruzione dei rapporti con il figlio.

Quanto basta, per il consulente della difesa, per parlare di «una persona che non è riuscita ad entrare attivamente nel mondo», che ha finito per «appoggiarsi sempre all’altro» senza «trovare una propria dimensione». Quadro che dal punto di vista clinico ha portato lo psichiatra ad ipotizzare «una condizione di struttura post traumatica» con «una scissione tra gli elementi cognitivi, di pensiero, e gli aspetti affettivi che conducono alla volontà», con il risultato che il professionista a valle della consulenza non ha messo in discussione la capacità di intendere, ma quella di volere. In questo senso per Cornaggia deporrebbe anche l’«assenza di un movente» da parte di Trifone, che porterebbe a parlare di un’azione «non guidata da una scelta fatta su delle opzioni» ma motivata da ragioni «delegato ad altro fuori di sé».

La perizia disposta dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio, invece, aveva concluso che «Marcello Trifone non è affetto da disturbo psichiatrico ascrivibile alla più accreditata e recente nosografia psichiatrica. È un soggetto che al momento del fatto è quindi da ritenersi capace di intendere di volere».

Omicidio Ravasio. L’ultimo marito vivente della mantide di Parabiago è capace di intendere e di volere

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 20 Ottobre 2025
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