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Centenario della fine della Grande Guerra: mostra Storico Filatelica

Mercoledì 7 novembre, inaugrazione di una mostra filatelica a Palazzo comunale

Siamo arrivati al centenario della fine della prima guerra mondiale: un percorso, iniziato il 24 maggio 2015 con i 100 anni dall'entrata in guerra, che ha catalizzato l’interesse non solo degli storici professionali, ma anche di numerose persone appassionate o interessate a tematiche legate alla Prima guerra mondiale.

La speranza è che tutto questo non sfumi rapidamente, perchè è importante parlare e discutere ancora del Primo conflitto mondiale poiché fu una guerra per molti aspetti del tutto nuova: fu la prima guerra industrializzata combattuta dalle maggiori potenze industriali del mondo; fu una guerra che provocò milioni di morti, cambiò in peggio la storia dell’Europa e del mondo perché dopo la fine del conflitto arrivò il fascismo in Italia, il nazismo in Germania e un mondo che corse verso il secondo conflitto. Non è per niente sbagliata l’idea, che sostengono molti storici, di una guerra europea e mondiale durata trent’anni (1914-1945) con vent’anni di pace precaria.

La Grande Guerra conobbe il primo genocidio della storia, quello degli armeni attuato dai turchi (1915-16). I campi di concentramento per i prigionieri di guerra anticiparono gli orrori dei lager della Seconda guerra mondiale. Il gas per annientare esseri umani fu usato prima sui campi di battaglia del ’15 e poi ad Auschwitz e in altri campi di sterminio nazisti.

La guerra che iniziò il 28 luglio 1914 (attacco austro-ungarico alla Serbia) chiuse idealmente il lungo Ottocento, dal Congresso di Vienna (1815) alla “Belle Epoque”. Rispetto ai genocidi, alle guerre mondiali, alle dittature, all’incubo atomico, l’Ottocento ci appare quasi come un’epoca di pace con poche guerre di carattere locale (per esempio l’indipendenza italiana) e con un basso numero di vittime, che non troverà paragoni in seguito.

Quindi è necessario studiare la Grande guerra come punto di svolta e spartiacque tra l’Ottocento “pacifico” e il Novecento dominato da un numero impressionante di guerre che hanno provocato alcune centinaia di milioni di vittime. In Italia, superata la prima fase bellica in cui le difficoltà dei rifornimenti e la restrizione dei commerci spiazzarono la produzione industriale, nel perdurare della guerra le ingenti commesse militari fecero crescere a due cifre i fatturati delle aziende, soprattutto delle fabbriche di armi e munizioni, dei cantieri navali e delle case produttrici di veicoli a motore e di aeroplani, ma anche di altri settori merceologici coinvolti nell’equipaggiamento dell’esercito.

Nell'apprendere la notizia dell'entrata in guerra, mentre gli studenti appoggiavano questa soluzione e molti partirono come volontari, gran parte della popolazione, contadini e operai, rimase insensibile all'intervento, anzi si pose negativamente verso il conflitto: “alla povera gente le guerre hanno portato sempre e solamente ulteriore miseria”.

Nel distretto industriale dell’Alto Milanese (di cui San Giorgio faceva parte sia con fabbriche autonome sia con unità operanti nell’indotto di altri Comuni, nonché con la fornitura generale di manodopera) tali attività di sostegno allo sforzo militare impegnarono molte aziende, prima fra tutte la Franco Tosi di Legnano, che attrezzò un vasto reparto alla produzione di affusti per l’artiglieria.

I cittadini sangiorgesi furono coinvolti dai provvedimenti su vari fronti: gli agricoltori dovettero rispettare i calmieri, gli obblighi di produzione e le modifiche colturali, usufruendo in parte di incentivi e di esoneri nei mesi di raccolto; gli operai delle industrie meccaniche ausiliarie furono invece assoggettati a una ferrea disciplina, con sospensione di tutte le conquiste sindacali, orari e cottimo in funzione dell’emergenza e regole di tipo militare, che prevedevano processi immediati e invio al fronte per i trasgressori maschi e licenziamenti in tronco per donne e ragazzi; molte donne già impiegate nelle tessiture vennero dirottate come operaie nell’industria pesante per sostituire il personale maschile inviato in trincea.

Durante il conflitto crebbe comunque la lotta operaia guidata dai sindacati per chiedere adeguamenti salariali in ragione dell’inflazione. Uno sciopero indetto nell’autunno del 1915 dalle Camere del Lavoro di Legnano, Busto Arsizio e Gallarate durò cinque giorni e vi presero parte circa 40.000 operai, contando anche quelli che si aggiunsero a Cerro Maggiore, Castellanza, Nerviano, Canegrate e San Giorgio su Legnano.

Il 2 maggio 1917 ci fu a San Giorgio su Legnano “uno sciopero delle donne causato dai disagi della guerra, specialmente per la mancanza di alimentari di prima necessità; le operaie della tessitura Restelli, entrate al mattino, subito inchiodarono i telai ed al canto di inni sovversivi e anarchici, ne uscirono, portandosi a fermare le operaie della ditta Orsi e quelle della filanda Boselli.

Per due giorni fu una gazzarra infernale. Furono infranti i vetri del palazzo municipale, di vari esercenti e di qualche casa privata. Dovette intervenire la cavalleria. Fortunatamente non si ha a deplorare nessun incidente di sangue.” (fonte Chronicon)

I caduti e dispersi di San Giorgio rispetto alla popolazione dell’epoca, le ristrettezze economiche, la fame, gli scioperi operai contro condizioni quotidiane di vita e di lavoro intollerabili ci dicono che questa guerra non risparmiò neppure le piccole località lontane dal fronte. 

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 27 Ottobre 2018
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