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Franco Tosi commemorazione 2015: l’intervento dell’Anpi

FRANCO TOSI 2015  – INTERVENTO ANPI

Mi rivolgo a voi tutti per ricordare ancora una volta, a nome dell’ANPI legnanese, i lavoratori della Franco Tosi che in quel lontano giorno di gennaio furono strappati all’affetto delle loro famiglie e deportati in un viaggio senza più ritorno.

Saluto con deferenza le autorità qui presenti, i rappresentanti delle varie associazioni, dei sindacati, dei partiti politici, gli studenti ed i loro docenti, i cittadini tutti qui uniti per un atto di omaggio e di impegno civile .

Ringrazio le forze dell’ordine e la polizia locale che, col loro lavoro permettono a tutti noi lo svolgimento sereno della manifestazione.

Un fraterno saluto lo rivolgo ai lavoratori della Franco Tosi ed alle loro rappresentanze sindacali di fabbrica, con l’augurio che finalmente l’anno appena iniziato consolidi e rassereni per lungo tempo la difficile situazione lavorativa.

“ Ha toccato la paura, ha ascoltato gli sguardi del dolore, ha sentito le grida delle vittime poi egli stesso fu vittima “. Queste parole che il poeta tedesco Friedrich von Schiller ci ha lasciato nella sua toccante opera “ La morte di Wallenstein” ben si addicono ad ognuno di questo nostri compagni lavoratori che nel lontano 1944 la tirannia nazifascista ha condannato a morte in terra straniera.

I loro nomi sono risuonati a monito nelle ampie arcate del reparto montaggio della Franco Tosi e le parole del ricordo che abbiamo udite non necessitano di aggiunte ulteriori. Noi li leggiamo questi nomi sulle lapidi poste in questo lembo di terra consacrata, ma sotto il freddo marmo non riposano i resti di questi lavoratori poiché le loro spoglie sono state inumate altrove, in una terra non loro. E chi muore in terra straniera, muore due volte.

Erano lavoratori, antifascisti, sindacalisti. E l’influenza che il mondo operaio e la realtà di fabbrica ha avuto su di loro li ha portati a quella passione inestinguibile per la libertà, che hanno pagato con il durissimo prezzo del sacrificio della propria vita. Sono stati il mondo del lavoro ed il sindacato a forgiare il loro carattere, rappresentando le speranze, gli ideali e la voglia di lottare propria della classe operaia.

Erano consapevoli che lottando contro il fascismo, contro un regime totalitario, per la libertà di tutti, si ponevano le basi di una nuova società, dove la tutela dei diritti dei lavoratori e la tutela sociale dei cittadini avrebbero alla fine avuto il dovuto riconoscimento.

Sono stati dalla parte giusta. Hanno lottato contro i nazifascisti per liberare la Patria e per gli ideali di giustizia e di democrazia. Dall’altra parte sono state operate scelte scellerate, negatrici della dignità dell’essere umano.

Non vi può essere confusione tra queste due scelte: non è storicamente possibile confondere vittime e carnefici: il revisionismo, ancora oggi emergente, è negatore della memoria storica. Le responsabilità devono essere sempre chiare: da un lato il fascismo, dall’altro l’antifascismo.

I caduti che oggi ricordiamo erano antifascisti: E noi siamo con loro, nella pienezza del significato della parola. Si è antifascisti quando si rispetta “l’altro”, quando se ne riconosce la legittimità nell’atto stesso di contrastarlo, quando non si pretende di assimilarlo, di ridurre cioè il suo pensiero, la sua identità al nostro pensiero, alla nostra identità.

L’antifascismo è l’ansia di intervenire contro l’ingiustizia, piccola o grande che sia, di intervenire contro ogni minaccia di libertà. E’ pluralismo politico e sociale, legittimazione delle differenze. E’ la democrazia come partecipazione e non solo come garanzia per tutti.

I nostri morti ci parlano di libertà, quella libertà che è come l’aria e che si sente quanto sia preziosa per la vita quando comincia a mancare . La libertà esige rispetto, per quello che è costata, per quello che sta costando. Oggi l’orrore ci minaccia. Anche allora l’orrore della disumanità sembrava inarrestabile e quasi ci riuscivano.

Ma ora sappiamo che fu più forte il sentimento col quale mille e mille donne e uomini misero assieme la loro umanità per non farli prevalere, liberandosi dalla minacciosa prepotenza a dal terrorismo dei fascismi.

La nostra città non è ricca solo di lapidi e monumenti, è ricca di iniziative, di solidarietà, di lasciti morali di persone che hanno combattuto per la nostra libertà ed è sopra questi ideali che dobbiamo consolidare il ricordo dei nostri morti.

Affermava Piero Calamandrei in un suo discorso il 28 febbraio del ’54 al teatro Lirico di Milano: “ Nelle commemorazioni che noi facciamo nelle varie occasioni, ci illudiamo di essere noi vivi a celebrare i morti. E non ci accorgiamo che sono loro, i morti, che ci convocano qui, come dinnanzi ad un tribunale invisibile, a rendere conto di quello che in questi anni possiamo avere fatto per non essere indegni di loro”

E l’ANPI legnanese ha voluto nell’anno appena trascorso ricordare questi nostri deportati, quelli che più non tornarono e quelli che poterono rivedere la loro terra ma segnati purtroppo da quella terribile esperienza .

Lo ha fatto con un libro, un ponderoso studio di ricerca di circa 600 pagine che ha ricostruito le sofferenze di oltre 300 deportati nei lager, donne e uomini, arrestati nel vasto territorio che va da Rho a Gallarate, da Saronno a Magenta con particolare attenzione alla nostra Legnano. Per tutto questo estenuante lavoro di ricerca storica l’ANPI vuole in questa occasione ringraziare pubblicamente gli autori dell’opera: i professori Luigi Marcon, Giancarlo Restelli, Alfonso Rezzonico e tutti i giovani che con loro hanno collaborato.

E con i deportati che oggi ricordiamo, mi preme menzionare anche il sacerdote legnanese don Mauro Bonzi, vittima di Dachau, che qui riposa nella cappella del Clero.

Sul vecchio muro dell’oratorio dei SS. Martiri in via Venezia c’è una scritta in latino che il tempo ha ormai quasi cancellato. Così dice: “ Talis civitas futura erit, qualis fuerit adulescentulorum educatio – tale sarà la società futura quale sarà stata oggi l’educazione dei giovani “. Illuminante in merito il messaggio che papa Benedetto XVI rese pubblico il 1° gennaio del 2012, laddove invitava ad “educare i giovani alla giustizia ed alla pace, educare i giovani alla verità ed alla libertà. Una libertà che sia promotrice di giustizia sociale, che richieda il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e vivere, di intendere e di pensare”.

E’ questo il compito che spetta a noi oggi perché il sacrificio dei nostri compagni lavoratori non sia stato vano. Facciamo rivivere in noi i nostri deportati, valorizziamo la loro eredità, negli ideali che la compongono e che riconosciamo nelle grandi parole che la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e dalla Lotta di Liberazione dal nazifascismo ha sancito: Libertà, giustizia, democrazia.

Luigi Botta – presidente ANPI Legnano

Redazione
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Pubblicato il 16 Gennaio 2015
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