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Quando un anziano si ammala

Un recente rapporto stimava che, in Italia ci sono più di 2,5 milioni di anziani...

Un recente rapporto stimava che, in Italia ci sono più di 2,5 milioni di anziani con almeno una limitazione funzionale, ovvero non più autosufficienti. La cura di essi è, il più delle volte direttamente o indirettamente fornita dai familiari e tale compito è spesso notevolmente complicato. Collaboro da anni con strutture sanitarie occupandomi di sostenere psicologicamente i parenti di anziani ricoverati presso strutture sanitarie. Dietro a questa parola innocua, “sostenere”, c’é ovviamente un po’ di tutto: comunicare l’esito della valutazione delle capacità cognitive residue, raccogliere l’ esperienza dei familiari, preoccuparsi della continuità tra assistenza istituzionale e domicilia ecc…

Questo è quello che “sulla carta” sarei chiamato a fare. Ma nella realtà ho inteso di avere a che fare sempre con un lutto. In estrema sintesi il lutto è quel processo di emozioni, sentimenti, cognizioni e comportamenti legato alla perdita di una persona cara. Certo la parola può apparire impropria, “lutto” non si usa per chi non è realmente mancato. Eppure una certa parte di vissuti psicologici tende a sovrapporsi, a essere simile anche nelle situazioni in cui il proprio caro è malato. Ovviamente sto parlando di quelle situazioni in cui la qualità di vita è gravemente compromessa, in cui le capacità di badare a sé stessi sono carenti. In letteratura sono note diverse reazioni che vengono del tutto considerate fisiologiche per chi si prende cura del familiare non autosufficiente:

– Sul piano emotivo si vivono shock e stordimento, angoscia e paura, rabbia, disperazione, tristezza, solitudine, senso di colpa, apatia.

– A livello cognitivo è frequente difficoltà di concentrazione, disorientamento, lievi stati di confusione, pensieri fissi.

– La normale vita quotidiana può essere caratterizzata da iperattività e ricerca del congiunto, disturbi del sonno e del comportamento alimentare, ritiro dalla vita sociale, incapacità di condurre le proprie attività, dipendenza dagli altri, debolezza, perdita di energia, dolori muscolari, sintomi somatici (cefalea, tachicardia, vertigini, sintomi gastrointestinali).

Sarà pertanto chiara la varietà delle reazioni alla malattia di un familiare anziano che comportano modifiche sostanziali nel circuito che lega emozioni, pensieri e corpo.

Benché io abbia parlato di lutto, è anche vero che non sia del tutto corretto dire che le persone con cui io lavoro stiano vivendo un lutto “come da definizione”. Vivono, per meglio dire, una perdita. Ma se questa particolare forma di lutto non è del tutto sovrapponibile alla perdita fisica della persona amata, altrettanto, non è possibile nemmeno ricondurre i suoi processi psicologici alla risposta dei familiari alla sola disabilità, che peraltro esiste. Il processo gode di una sua parziale autonomia.

Quando mi sono per la prima volta affacciato a questa realtà, ho scoperto quanto in letteratura si parlasse relativamente poco di anziani. Ancora di meno si parlava della relazione tra questi e i familiari che di loro si prendono cura.

Un concetto generalmente accettato negli studi che si erano occupati di tale argomento mirava a sottolineare la particolarità del fenomeno, parlando di “lutto parziale”. Con “lutto parziale” si descrivono quei vissuti legati alla perdita di parti identificative, che riguardano la capacità di relazionarsi, gli affetti e le autonomie di un familiare che comunque continua a vivere.

I familiari, di fronte a questa situazione, sono occupati in una costante ricerca di significato, di un nuovo equilibrio che li occuperà per anni, a volte per sempre. Con questo si intende che chi vive vicino ad un familiare anziano non più autosufficiente, sente la mancanza della persona così per come se la ricordava e questo basta per percepire la perdita di un proprio caro, che in realtà c’è ancora.

Questo sta a significare che l’assenza psicologica può essere devastante quanto l’assenza fisica, con una differenza, che questo tipo di perdita si contraddistingue per la sua ambiguità di fondo: la persona amata è fisicamente presente, ma non lo è la sua mente, perlomeno non del tutto o non per come me lo ricordavo. Cosa succede quindi nel vissuto emotivo e relazionale dei familiari?

Cosa fare per affrontare la situazione? Il tema è complesso, seguitemi, ne parleremo prossimamente!

Stefano Landoni – Psicologo Psicoterapeuta

info@studio-landoni.it

www.studio-landoni.it

(Fine prima parte)

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 30 Gennaio 2017
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