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Gioventù Nazionale Alto Milanese: “Giù le mani da Carlo Borsani”

Gioventù Nazionale Alto Milanese e il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Christian Garavaglia, ex sindaco di Turbigo replicano alla presa di posizione di Rifondazione Comunista

Corteo per la commemorazione Carlo Borsani

Gioventù Nazionale Alto Milanese e il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Christian Garavaglia, ex sindaco di Turbigo replicano alla presa di posizione di Rifondazione Comunista che con una nota ha chiesto di “cancellare dalla toponomastica di Legnano il nome di chi del fascismo fu ardente sostenitore”.

«Non è un caso che la sterile polemica sulla Medaglia d’Oro al Valore Militare Carlo Borsani, storicamente legato alla Città di Legnano, sia stata innescata da una forza politica, Rifondazione Comunista, in fase di estinzione e che riporta nella propria bandiera un simbolo che richiama pagine di orrore e violenze come nel caso dei gulag, i campi di concentramento creati dal regime sovietico – commenta Christian Garavaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio Regionale della Lombardia -. Hanno fatto bene i ragazzi di Gioventù Nazionale a ricordare, ai compagni di Rifondazione, la storia di Carlo Borsani, che indossò la divisa dell’esercito e si batté per evitare la deportazione di alcuni italiani nei campi nazisti.  Come accade a tanti ‘compagni’, anche Rifondazione si sforza di ‘conculcare’ la storia che a loro non aggrada, cancellando i nomi sgraditi dalle piazze o dalle strade. Occorre oggi superare per sempre, a distanza di 80 anni (ottanta!) dalla fine della Seconda Guerra  Mondiale, gli odi e le divisioni che impediscono all’Italia, caso pressoché unico in Europa, di avere una memoria condivisa. C’è chi come Rifondazione alza muri (peraltro abbattuti da tempo..) e chi come Gioventù Nazionale volge lo sguardo a un domani senza più cesure: e allora dico bravi, ragazzi di GN».

DI SEGUITO LA NOTA DI GIOVENTÙ NAZIONALE ALTO MILANESE

In Italia, l’antifascismo da salotto ha delle tempistiche ben precise: scatta, per intenderci, quando scatta la par condicio che dà inizio alla campagna elettorale. E così, a pochi mesi dalle elezioni europee, i simpatici redivivi legnanesi di “Rifondazione comunista” propongono di cancellare dalla nostra città – anzi, dalla sua città! – il piazzale dedicato alla Medaglia d’Oro al Valore Militare Carlo Borsani. Il ritornello ormai lo conosciamo: “nessuno spazio ai fiancheggiatori del fascismo”, dicono i pochi superstiti di un movimento che ha urne vuote e piazze ancor più deserte. Peccato non averli mai sentiti ripetere frasi di questo calibro nei confronti di figure molto meno scomode che, nel famoso e lontanissimo Ventennio, fiancheggiarono eccome il Governo Mussolini. Ne citiamo qualcuno, giusto per rinfrescare la memoria ai sedicenti antifascisti: Dario Fo, volontario in camicia nera nella Repubblica Sociale Italiana e poi, negli anni di piombo, ideatore del “soccorso rosso” che nascondeva i terroristi comunisti che ammazzavano militanti di destra, magistrati e Forze dell’Ordine; Giorgio Napolitano, orgogliosamente iscritto ai Giovani Universitari Fascisti salvo poi finire ad applaudire in Parlamento l’invasione dell’Armata rossa a Budapest; Giorgio Bocca, diffusore in Italia dell’antisemita (e falso storico) “Protocollo dei savi di Sion”, prima di riscoprirsi antifascista a guerra praticamente finita; Vittorio Gorresio, che prima di essere un illuminato autore della sinistra progressista aveva celebrato il rogo dei “libri semiti” a Berlino; Eugenio Scalfari, che prima di dirigere “La Repubblica” come una delle più brillanti penne del giornalismo italiano di sinistra non aveva mancato di contribuire animatamente alle redazioni del giornale “Roma Fascista”; Enzo Biagi, eroe travagliano e rifondarolo con un passato da autore nel fascistissimo “Architrave” di Bologna; Arturo Labriola, fondatore del PSI a Napoli, che a metà degli anni ‘30 celebrava le conquiste italiane in Etiopia e vent’anni dopo finiva eletto da capolista del PCI nella città partenopea. E potremmo continuare all’infinito, aggiungendo a questa lista di “pentiti” (quasi sempre tardivi) un oceano di uomini e donne che hanno segnato non solo la storia politica ma anche quella culturale e artistica del secondo dopoguerra, senza mai rinnegare le scelte fatte in buonafede nella propria gioventù: Giorgio Albertazzi, Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Teresio Interlandi, Marcello Mastroianni, Ugo Ojetti, Wanda Osiris, Vittorio Pozzo, Enrico Maria Salerno, Mario Volontè, Ardengo Soffici, persino Giovanni Spadolini (sì, lui!). Fortuna loro, la “damnatio memoriae” della Repubblica “fondata sulla Resistenza” non gli ha impedito di costruirsi una nuova vita dopo la Guerra civile e regalare all’Italia il proprio genio artistico, culturale, intellettuale e politico. La stessa fortunata sorte non toccò però a Carlo Borsani. Legnanese, nato nel pieno della Prima Guerra mondiale da una famiglia operaia e proletaria, grazie ai sacrifici della madre riesce a diplomarsi e a iscriversi alla Facoltà di Lettere nonostante la prematura morte del padre in officina. Da sottotenente, difese il Tricolore al confine con la Francia e poi in Albania, dove l’esplosione di una granata di mortaio gli valse una Medaglia d’Oro e gli costò la cecità permanente. Rientrato in patria da invalido di guerra, continua a studiare grazie all’amore della moglie Franca Longhitano: si laurea e con lei ha una splendida figlia, Raffaella. Dopo l’8 settembre, da Presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, riesce ad ottenere l’erogazione della pensione anche per gli invalidi sul lavoro, memore delle sue radici operaie e proletarie. Durante la Guerra civile, si adopera per salvare decine e decine di vite di ebrei e partigiani, come quella della staffetta Suor Enrichetta Alfieri (conosciuta come “l’Angelo di San Vittore”). Il suo ultimo articolo, dal titolo “Per incontrarci”, è un invito a deporre le armi e fermare la guerra fratricida rivolto ai partigiani e ai militi della RSI. Nulla di tutto questo gli basta a sfuggire dalla prigionia, a guerra finita, nella notte del 27 aprile 1945. E mentre la moglie Franca aspetta il suo secondo figlio – Carlo “junior”, che sarà poi anche Assessore in Regione Lombardia ed è mancato pochi mesi fa – i “partigiani resistenti” lo rinchiudono nei sotterranei del Palazzo di Giustizia per due giorni e lo uccidono con un colpo alla nuca, senza nemmeno il coraggio di guardarlo in quegli occhi tanto ciechi quanto fieri, il 29 aprile 1945, per poi fare scempio del cadavere trasportandolo per le vie della “Milano liberata” su un carretto della spazzatura con scritto “ex medaglia d’oro”. Una storia che ai simpatici ed impalpabili amici di Rifondazione comunista a Legnano – sia chiaro – è certamente ben nota. Come gli è certamente noto che nel 2005 l’ebreo Gabriele Nessim, ideatore del Giardino dei Giusti di Milano, gli avrebbe persino dedicato un albero se non gli fosse stato impedito proprio dai “colleghi” comunisti e sedicenti antifascisti di allora. Questi fatti li conoscono bene. Ma pur di far parlare di loro – non essendo mai impegnati in iniziative di giustizia sociale per le tante famiglie legnanesi in difficoltà, o in rivendicazioni per condizioni di lavoro più dignitose nel nostro Comune, né tantomeno in battaglie per la sicurezza che manca da quando la sinistra ha messo la sua… Radice in città – tirano fuori la solita ridicola e stucchevole retorica contro un Uomo, un Padre, un Eroe di guerra a cui non sarebbero degni neppure di allacciare le scarpe. Carlo Borsani lo sa, e da lassù ride ogni volta che qualcuno fa scempio del suo nome per attirare l’attenzione dei pochissimi nostalgici della falce e del martello. Sorride insieme a Franca, e a suo figlio “junior”. Perché c’è chi ricorda, c’è chi onora, c’è chi non dimenticherà mai un grande legnanese. Compagni, mettetevi pure il cuore in pace: Carlo Borsani non si tocca. Fidatevi: lasciate perdere.

Gioventù Nazionale Alto Milanese

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Pubblicato il 24 Gennaio 2024
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