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“Fuori il mondo come va? A presto, Peo”

Il ricordo di Peo Albini, libraio legnanese deceduto nei giorni scorsi, a cura di un affezionato cliente

albini

Si muore tutti, ma qualcuno muore di più. Ci ho messo poco a capire, sabato mattina, che la scomparsa di Peo Albini non era solo una notizia, ma un piccolo slittamento dell’anima che non avrei più dimenticato. E mancano le parole, sì. E stavolta la forza di arrivare alla fine dell’articolo non so se ce l’avrò, caro Peo. Perché molti degli spunti che riporto qui sui miei articoli sono spesso nati dallo stare con te. Dall’ascoltarti quando parlavi di libri e quando mi raccontavi di questa società che va in pezzi. Dei racconti italiani che ormai non sono più come quelli di una volta. Della capacità tipicamente americana di rovinarsi e salvarsi nell’infinito del loro spazio e nel piccolo del loro cuore. Poi via a parlare di Roth, di Baricco, Calvino, McCarthy, O’Connor, Saramago. E io lì, ad ascoltarti, come un bambino con un insegnante.

Ma come si fa, caro Peo. Come si fa. Ora che lì, nella tua splendida libreria Nuova Terra non ci sei più? Mi perdo nelle mie lacrime nel rivedere tutti i libri che mi hai consigliato, e anche, con un sorriso amaro, tutti quelli che hai guardato male prima che li comprassi. Perché tu per me non avevi solo una libreria dal nome Nuova Terra. Tu per me ci vivevi, in una dimensione diversa. In un diverso modo di vedere le cose; nel prenderti cura dei racconti come fossero nipoti lontani; nel tuo eterno, stanco ma dolcissimo sorriso. Così quando finiva la giornata, pesante e faticosa, prendevo le chiavi della macchina, e via a salpare verso di te. Verso mondi nuovi, esistenze e umanità ancora da scoprire. Nelle tue recensioni lampo e nella mia vana sfida di leggere un libro che tu non conoscessi.

Ricordo ancora la prima volta che sono entrato nella tua libreria. Con quel profumo di antico – da non confondersi con vecchio – e con quei colori che sapevano di casa. Lì mi ci perdevo per ore. A vagare come dentro in una navicella da uno spazio all’altro, lasciandomi il mondo fuori, sapendo che l’unica vera casa, in quel momento, era lì, in quella libreria, con tutti i tuoi libri. E c’era della musica classica, ricordo bene. E ricordo bene anche quale. Era una canzone di Luigi Boccherini. Non mi ricordo bene quale ma penso fosse Cello concerto in C Major. Mi piace ricordarti così, Peo. Come questa suonata. Lenta, stanca, ma immortale nella sua tenerezza. Un po’ come te. Uomo solitario. Amico di tutti.

Vorrei poterti dire grazie per un sacco di cose. Perché a te devo molte pagine che mi hanno segnato nel cuore. Molti passaggi e battute che non potrò mai più dimenticare. E mi viene voglia di rileggerli tutti, quei libri che mi hai consigliato e quelli che non ho ancora preso. E ti immaginerò ancora lì, dietro quel bancone. A sorridere ai clienti e a lamentarti quando chiedono qualche sconto.

Per ora ti chiedo scusa per questo articolo, non so mai bene scrivere dolori così profondi. Ti lascio andare a raccontare lassù, ai tuoi famigliari e agli scrittori che hanno finito questo viaggio, tutte le opinioni e le lezioni che hai imparato quaggiù in questa terra, che devono essere tantissime.

Non vedo l’ora di riascoltarti di nuovo, un giorno, Dio sa quando. Tu per ora sorridi e consiglia dei buoni libri lassù in cielo. Avrei voluto molto farti leggere qualcosa di mio. Magari il libro che desse un respiro al popolo italiano, quello che tu sognavi tanto. Purtroppo dovrò aspettare molto prima di fartelo leggere. Ma chissà, un giorno…

Sbrigo qui le mie faccende, qui su questa mia goffa strada, poi ti raggiungo. E lì sarà uno spasso riascoltarti di nuovo. Là, in quel posto dove gli uomini sono buoni e felici, e dove il 2020 non esiste. Se non ci fosse, di cosa parlerebbero tutti i libri che mi hai fatto leggere?

A presto, Peo.
A presto.

Tommaso Leotta

(testo tratto da recensiamomusica.com)

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Pubblicato il 23 Dicembre 2020
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