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Il vocabolario di don Fabio: la Sicurezza

Con questa riflessione, la quarta, dedicata al tema della Sicurezza, si conclude "Il Vocabolario di don Fabio", commenti su temi in tempo di coronavirus

[pubblicita]Con questa riflessione, la quarta, dedicata al tema della Sicurezza, si conclude "Il Vocabolario di don Fabio", commenti su temi in tempo di coronavirus. Dalla prossima settimana, ad ogni modo, potremo continuare a seguire il parroco dei Santi Martiri e decano di Legnano sulle colonne del foglio parrochiale "Oltrestazione" con una serie dal titolo: “Retroscena”.


Sono molti i motivi per cui devo essere grato a nostro Signore. Tra questi anche il dono di una buona salute. Certo, varcata la soglia della terza età qualche acciacco si fa sentire, i tempi di recupero si allungano e qualche visita medica si rende necessaria. Più che normale!

Si aggiunga poi quell’idea – scritta da nessuna parte – secondo cui a fianco del prete vigila un santo angelo custode che protegge dai mali del corpo (badasse di più a custodire la nostra anima…!). Una pericolosa illusione che ci avvicina a quei giovani sventati di cui spesso lamentiamo l’incoscienza nello sfidare i pericoli forti di una presunta invincibilità.

Poi d’improvviso t’accorgi che non è così e ci si risveglia come da un sogno troppo bello per essere vero. Subentra qualche forma di paura, alimentata anche dalla non corta lista di confratelli venuti meno in queste settimane. Antiche supposte certezze si sgretolano di fronte ad un nemico tanto invisibile quanto subdolo e insidioso. Certo, la mascherina, il distanziamento sociale, ma… possono bastare a regalare serenità e sicurezza?

Un tempo il contadino usava far benedire i campi prima della semina e invocava san Lucio contro la grandine, i pellegrini costruivano edicole lungo le strade a proteggere il cammino, le mamme affidavano a sant’Anna la buona sorte del parto. San Carlo, con gran concorso di folla, portava il crocefisso lungo le strade di Milano devastata dalla peste. In tempi duri e in un mondo ostile ogni situazione aveva il suo santo protettore.

Poi (per fortuna) la scienza ha fatto passi da gigante e la medicina risolto molti guai. Le reti proteggono i campi dalla grandine e i diserbanti aiutano la crescita del buon grano; lo stato sociale garantisce la pensione e le assicurazioni risarciscono i danni imprevisti.

Questo almeno nel “bel tempo antico”. Oggi di colpo ci sentiamo tutti meno sicuri. Siamo rimandati ad una considerazione più umile e più vera di noi stessi, dove la gratitudine per il dono della vita si accompagna all’umile percezione della sua fragilità.

Non ci basta più una semplice provvisoria protezione da un virus, da un imprevisto o da un pericolo. Intuiamo la necessità di una salvezza più complessiva. Il desiderio di affidare in “buone mani” la nostra vita, di essere custoditi da qualcuno che ha attraversato e vinto il mistero inquietante del male, del dolore e della morte.

Vengono alla mente le pagine finali dell’ultimo grande romanzo (in parte autobiografico) di Lev Tolstoj: “Resurrezione” (1899), dove il tentativo del protagonista di rinnovare il mondo si conclude con l’attesa di una parola di perdono che possa riscattare infiniti dolori, cancellare una moltitudine di peccati e consolare troppe lacrime amare. Un perdono che sia vittoria definitiva sul male. In tutte le sue forme.

È purtroppo presto per dire quando usciremo da questa situazione. Ci auguriamo una consapevolezza più umile e più vera della nostra e altrui umanità, dove il balsamo del perdono scenda misericordioso su tante ferite che segnano la storia dei nostri rapporti.

È troppo presto per dire come sarà la chiesa italiana dopo questo spartiacque. Pur nel giusto rispetto della religiosità dei secoli passati, ci auguriamo di saper guardare avanti ed essere nel mondo segno di speranza. Per tutti. Consapevoli di una sola certezza: la pietra è rovesciata, il sepolcro è vuoto. Portatori di una sola verità: «Non è qui, è risorto!» (Mt 28,6).

don Fabio

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Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 09 Aprile 2020
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