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“Per capire foibe ed esodo giuliano-dalmata occorre conoscere a fondo la storia”

Il professor Raoul Pupo ha ripercorso i fatti di ‘800 e ‘900 nell’area adriatica. Testimonianza di Claudio Scarlino sul nonno Enrico Misics nativo di Fiume. Il sindaco Andrea Orlandi: “Organizzeremo altri approfondimenti”

Generico 19 Feb 2024

Conoscere per capire. L’intervento del professor Raoul Pupo , senior scientist di Storia contemporanea e Storia della Venezia Giulia dell’Università di Trieste, tra i maggiori conoscitori dell’esodo giuliano-dalmata e dei massacri delle foibe, è stato la sera di lunedì 19 febbraio 2024 a Rho una occasione importante di conoscenza, rispetto a quanto avvenuto nel Novecento lungo la frontiera adriatica e a temi che ancora fanno molto discutere.

Alla presenza di circa 200 persone, riunite all’Auditorium di via Meda, tra cui Claudio Giraldi, segretario del comitato di Milano dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia; il Vicesindaco Maria Rita Vergani; l’assessore alla Scuola Paolo Bianchi e alcuni consiglieri comunali, la serata è stata presentata da Paola Cupetti, responsabile dell’Ufficio Cerimoniale del Comune di Rho, e il sindaco Andrea Orlandi ha esordito precisando come “ancora oggi le frontiere siano nel mondo teatro di guerre e atrocità”.

«In Europa le frontiere sono zone di sovrapposizione tra periferie di mondi che hanno altrove il loro centro: nella frontiera adriatica parliamo di mondo latino, germanico, slavo, di una forte presenza ungherese, dell’oltremare – ha spiegato Raoul Pupo , seguendo il metodo critico che prevede un distacco dalle passioni di quanti sono coinvolti direttamente e mostrando slide e cartine per inquadrare geograficamente ogni passaggio – Nel Venezia Giulia si formarono tre movimenti nazionali nell’ambito del contesto asburgico: italiano, sloveno e croato. I conflitti hanno trovato equilibrio nella seconda metà del Novecento, con la nascita di Repubblica Italiana e Repubblica federativa di Jugoslavia. Attorno alla metà dell’800 l’italianità adriatica ha iniziato a sentirsi minacciata dalla crescita dello slavismo adriatico, l’idea di difesa nazionale è cresciuta fino al limite dell’irredentismo, con volontà di distacco dall’impero asburgico e di annessione al Regno d’Italia. Dopo la prima Guerra Mondiale l’italianità “trionfante” divenne con lo stato fascista “schiacciante” rispetto a identità differenti, slovena e croata. La risposta fu un irredentismo sloveno e croato con atti di terrorismo. Durante la seconda Guerra Mondiale, l’Italia tentò di espandersi sulla provincia di Lubiana, su Dalmazia e Montenegro, ma dopo due anni la sua velleità imperiale finì per collassare. Con l’8 settembre 1943 l’Italia passò da potenza a impotenza, gli italiani passarono da egemoni a subordinati dei tedeschi e dei partigiani comunisti jugoslavi».

Con il collasso della italianità, lo slavismo adriatico visse la sua stagione risorgimentale. Pupo ha individuato alcune “stagioni”: quella “delle fiamme” dal 1915 al 1922 con un centinaio di vittime; quella della violenza di stato fascista italiana dal 1922 al 1942 con decine di vittime; quella “delle stragi” dal 1942 al 1945 con migliaia di vittime; quella della violenza di stato comunista jugoslava, dal 1945 al 1956 con un centinaio di vittime.

Ha proseguito il docente: «Venuta meno la distinzione tra civili e militari, nella seconda Guerra Mondiale, divenne quasi routine eliminare centinaia di persone. Da un lato da parte del movimento partigiano sloveno e croato, dall’altro con la repressione di civili sloveni e croati. Nell’autunno 1943 furono colpiti gli italiani (foibe istriane), poi si proseguì con le violenze di transizione (foibe giuliane) per arrivare a una coda finale con la strage di bagnanti a Vergarolla nell’estate 1946. Eccoci alle foibe, abissi naturali, carsici o minerari, in cui sparirono a migliaia. Ogni volta si tendeva a eliminare i nemici del popolo, ovvero chi non era d’accordo con il proprio punto di vista. Nel Venezia Giulia furono quelli che rappresentavano il potere italiano, non tutti i 400mila italiani ma podestà, medici, carabinieri, etc. Sparirono 500 persone, furono ritrovati 217 corpi: l’impatto fu molto maggiore del numero. Basti pensare alle file di bare aperte nelle piazze, per cercare di riconoscere i resti».

Nella primavera 1945 l’occupazione jugoslava, dopo il 9 giugno quella angloamericana. Poi la liberazione di Trieste e Gorizia, quindi Lubiana e Zagabria. Scattò la caccia ai nemici del popolo: da 70 a 100mila vittime, alcune migliaia sono italiane, nelle foibe giuliane. Pupo ha evidenziato gli “ elenchi preparati da mesi dalla polizia politica, con nomi scelti tra forze ordine, impiegati, interpreti, membri CLN, sacerdoti anticomunisti, quadri”. E il ruolo dell’OZNA, la polizia politica protagonista della repressione di Stato, che fece 10-12mila arresti tra Trieste e Gorizia. La stima complessiva in questa fase fu di 4mila vittime, con l’intento di “ punire chi era sospettato di avere commesso colpe contro il movimento di liberazione sloveno e croato, di mettere fuori gioco chi si sarebbe potuto opporre, di intimidire la popolazione”.

A tutto questo si lega l’esodo, la scelta di abbandonare le proprie case perché vivere in certe condizioni era impossibile. Questo accadde in Istria quando nel 1954 divenne jugoslava e gli italiani se ne andarono, in quanto visti come “categoria sospetta dal regime stalinista” e poiché si assisteva a “una persecuzione religiosa feroce sul clero e alla demonizzazione della italianità”. La sensazione era quella di essere “stranieri in patria”.

Dal punto di vista del “potere”, il Partito comunista jugoslavo nell’estate 1944 decise l’espulsione di tedeschi e ungheresi e per gli italiani una “integrazione selettiva”: gli italiani erano “minoranza nazionale con il massimo dei diritti”.

«La Jugoslavia – ha precisato Pupo – fece una rivoluzione comunista senza operai, mentre i contadini erano diffidenti e poi avversi. Si verificò un fenomeno di sostituzione nazionale, che segnò la fine della italianità adriatica. L’esodo fu uno strazio per circa 300mila persone che affrontarono miseria, rifiuto antropologico, condizioni di vita orribili, un rifiuto ideologico (perché visti come fascisti). Non mancarono gare di solidarietà soprattutto da parte di istituzioni e associazioni religiose. Una sutura delle ferite arrivò nel 2004 con la creazione del Giorno del Ricordo e la valorizzazione della memoria. Una terza fase è quella della riconciliazione, aperta dal nostro presidente Sergio Mattarella e dal presidente sloveno Borut Pahor nel 2020, quando si tennero per mano davanti alla foiba di Basovizza: loro hanno mostrato un coraggio civile enorme in luoghi simbolo di memorie antagoniste. A entrambi verranno assegnate lauree honoris causa in Giurisprudenza a Trieste il prossimo 12 aprile. Dove siamo oggi dipende da tutti noi».

Al termine della lectio del professor Pupo, prima di un ampio dibattito con il pubblico, la testimonianza di Claudio Scarlino, nipote di Enrico Misics, “italiano di Fiume”.

«Classe 1924, mio nonno abbracciava l’identità italiana – ha raccontato il consigliere comunale di Fratelli d’Italia – Andare a trovarlo da piccolo era come un appuntamento con la storia, raccontava i fatti della sua Fiume con gli occhi di chi aveva assistito a drammi indicibili. Si arruolò volontario nell’esercito per difenderla, temeva che tutto potesse essere distrutto per sempre. Salpato con una nave militare, una volta tornato trovò i tedeschi e mi raccontò quanto fosse dura vivere sotto il loro controllo. I veri problemi per lui, la famiglia, gli amici, arrivarono sotto Tito. Affrontò foibe ed esodo. Dal 1950 alla fine degli anni Ottanta non disse nulla, andava a trovare gli amici della comunità di Novara e leggeva il mensile “La voce di Fiume”. Ha subito una violenza assurda: amici infoibati, la fuga con la valigia di cartone, una vita da profugo in patria, notti sotto i ponti. Approdò a Marina di Massa, poi finì a Portofino a fare il maggiordomo e a Milano a fare il lavavetri. Lì conobbe mia nonna. Non smise mai di sentirsi italiano di Fiume, non coltivò l’odio ma l’amore per la sua patria. Voleva solo che la sua bella, radiosa e poetica Fiume potesse essere raccontata».

Il sindaco Andrea Orlandi ha così concluso: «Una lunga storia ha portato a pagine nere, il che dimostra che nulla accade per caso. Quest’anno abbiamo voluto favorire la conoscenza di questi temi, un buon inizio per approfondimenti futuri visto che molte persone in fuga approdarono anche a Rho».

Chi volesse segnalare informazioni riguardo a famiglie giunte dall’area istriana e giuliano dalmata su questo territorio può scrivere a cerimoniale@comune.rho.mi.it.

Redazione
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Pubblicato il 21 Febbraio 2024
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