Urne chiuse e quorum lontano per i referendum. Nel Legnanese affluenza poco oltre il 30%
Affluenza alle urne per il referendum più alta nel Legnanese rispetto al dato nazionale, ma al di sotto di quella registrata su scala metropolitana

Quorum lontano per i referendum nei comuni del Legnanese, dove alla chiusura delle urne per i cinque quesiti referendari su cittadinanza, Jobs Act, precariato, licenziamenti e sicurezza sul lavoro l’affluenza si è fermata poco oltre il 30%.
Alle 12 di domenica 8 giugno, ora della prima rilevazione, nel nostro territorio l’affluenza era quasi ovunque leggermente più alta del dato nazionale (7,41%), in linea con quello regionale (8,09%) ma al di sotto di quello metropolitano (9,27%). Anche alle 19, al momento della seconda rilevazione, l’affluenza era in rialzo rispetto ai numeri registrati a livello nazionale (16,17%) e in linea con quelli lombardi (18,34%) pur mantenendosi inferiore a quella metropolitana (21,60%). Stesso copione alla chiusura delle urne dopo la prima giornata di voto, con una percentuale di votanti più alta di quella rilevata su scala nazionale (22,73%) e regionale (23,97%), ma al di sotto di quella della Città metropolitana di Milano (28,23%).
Com’era prevedibile il trend non è cambiato nella seconda giornata della tornata elettorale: alla chiusura delle urne nel Legnanese l’affluenza si è attestata poco oltre il 30%, facendo registrare un dato in linea rispetto a quello nazionale (30,39%) e regionale (30,47%), ma più basso di quello metropolitano (35,25%). Il comune dove più elettori si sono recati alle urne è Villa Cortese, mentre quelli con l’affluenza più bassa sono Parabiago e San Vittore Olona.
I quesiti referendari
Il primo quesito referendario, con scheda verde chiaro, riguardava i licenziamenti illegittimi e chiedeva agli elettori di esprimersi rispetto all’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotta dal Jobs Act, che consente di non reintegrare nel posto di lavoro i dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 lavoratori licenziati in modo illegittimo, a fronte di un indennizzo economico tra le sei e le 36 mensilità di stipendio.
Il secondo referendum, con scheda arancione, riguardava l’abrogazione del limite dell’indennità per i licenziamenti ingiustificati nelle piccole aziende, nell’ottica di aumentare le tutele per chi lavora in imprese con meno di 16 dipendenti, dove in caso di licenziamento illegittimo, si può ricevere un’indennità massima pari a sei mesi di stipendio.
Il terzo quesito, con scheda griga, verteva invece sui contratti a termine. Anche in questo caso il referendum puntava ad eliminare alcune norme introdotte dal Jobs Act, nello specifico quelle relative all’utilizzo dei contratti a tempo determinato, che fino ai 12 mesi di durata non richiedono al datore di lavoro l’indicazione di un motivo specifico: il quesito mirava infatti a reintrodurre l’obbligo di una “causale” per l’assunzione a termine e non a tempo indeterminato.
Al centro del quarto quesito, per il quale la scheda era rosso rubino, c’era la responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali. La normativa che il referendum chiedeva di abrogare prevede che il datore di lavoro committente sia responsabile in solido con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori che non hanno la copertura assicurativa, ma esclude questa responsabilità di fronte a danni causati da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore.
Il quinto ed ultimo referendum, con scheda gialla, aveva infine l’obiettivo di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza necessari per ottenere la cittadinanza italiana, mantenendo inalterati gli altri requisiti.
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