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La “sentenza” della madre di Fabio Ravasio per la “mantide” di Parabiago: “È un mostro, nessun perdono”

In aula lunedì 19 maggio, dopo le dichiarazioni spontanee del figlio di Adilma Pereira Carneiro al volante dell'auto che ha ucciso Ravasio, ha parlato la madre del 52enne

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Adilma che chiama dal Brasile che dice alla famiglia Ravasio riunita per pranzo che aspettava due gemelli, ma poi non vuole saperne di dar loro quel cognome. Adilma che chiede (tanti) soldi in prestito promettendo una restituzione che non è mai arrivata. Adilma che chiama solo alle 5.30 del mattino del giorno dopo l’incidente i genitori di Fabio Ravasio per chiamarli al capezzale del figlio viste le condizioni gravissime in cui versava. C’è sempre lei, la “mantide” di Parabiago, al centro delle testimonianze che ormai da settimane sta ascoltando la Corte d’Assise di Busto Arsizio, chiamata a fare luce sull’omicidio di Fabio Ravasio, ucciso lo scorso 9 agosto in un agguato orchestrato in modo da far credere che l’uomo fosse stato investito da un pirata della strada poi datosi alla fuga lungo la provinciale tra Busto Garolfo e Parabiago.

In aula lunedì 19 maggio, dopo le dichiarazioni spontanee di Igor Benedito, il figlio di Adilma Pereira Carneiro al volante dell’auto che ha ucciso Ravasio, ha parlato Annamaria Trentarossi, la madre del 52enne. Che ha ripercorso davanti a giudici togati e giudici popolari – in più di un passaggio tra le lacrime – gli anni in cui la “mantide” è stata la compagna del figlio, il rapporto con i figli più piccoli della donna («Ci ha turlupinato per bene, ci ha circuito nei sentimenti») e i fiumi di denaro pagati da lei e dal marito per mantenere la nuova famiglia del figlio. Fino alla “sua” sentenza, quella che nessun tribunale potrà mai cambiare: «Non la potrò mai perdonare, quella donna è un mostro».

«Adilma ogni tanto spariva, diceva di andare spesso in Brasile – ha raccontato Annamaria Trentarossi -. Un giorno, mentre lei era via ormai da un po’ di tempo, nostro figlio è venuto a pranzo da noi dicendo che Adilma avrebbe telefonato perché aveva una bella notizia da darci: quando ha chiamato, ci ha detto di essere in attesa di due gemelli e noi ne siamo stati contenti. Ci ha sempre reso partecipi durante la gravidanza, fin quando a poco dal termine è sparita. Fabio era preoccupato, non rispondeva al telefono e le figlie dicevano di aver avuto dalla madre il divieto di dire dove fosse. Solo al momento della dimissione dall’ospedale dopo il parto ha chiamato Fabio per farsi andare a prendere. Ci ha sempre detto che avrebbe registrato i bambini a nome suo per il timore che glieli portassimo via: da madre, non avrei mai potuto fare una cosa del genere, ma lo ha ripetuto come un ritornello per gli otto anni in cui li abbiamo seguiti».

Poi la pratica per il riconoscimento al consolato brasiliano, ma i continui dinieghi di dare seguito alla questione anche in Italia. E la decisione della famiglia Ravasio di rivolgersi ad un legale e di procedere con un test del DNA. Scelte che rivelano quello che oggi tutti ormai sanno: la “mantide” era in realtà sposata già da gennaio 2016, prima dell’annuncio della gravidanza, con Marcello Trifone e i due figli più piccoli di Adilma Pereira Carneiro non sono figli di Fabio Ravasio. «Fabio era disperato – ha spiegato la madre -. I bambini avevano già 4 o 5 anni, ma lui non voleva rinunciare a loro, erano la sua vita: gli abbiamo detto che se questo era il suo desiderio, gli saremmo stati accanto».

Annamaria Trentarossi dal banco dei testi ha ripercorso anche le continue richieste di denaro arrivate dalla donna, che nel tempo hanno raggiunto gli 800mila euro – sempre “sborsati” per evitare che la donna potesse allontanare i bambini – e si aggiungono al denaro con cui i coniugi Ravasio sostenevano economicamente la famiglia del figlio per circa 100mila euro l’anno. «Non ci ha mai restituito nulla, anzi – ha sottolineato la donna -. Anche dopo la morte di Fabio diceva che dovevano stare vicini ai bambini, che era desiderio di Fabio, che dal cielo non sarebbe stato contento di vedere liti. Mi ha mandato messaggi accusandomi di averla abbandonata, dicendomi che il dolore non era solo nostro ma anche suo perché era rimasta vedova».

Così come ha ripercorso la mattinata in cui Fabio si è spento. «Alle 5.30 Adilma ci ha chiamato chiedendo di poterci raggiungere perché doveva dirci una cosa brutta. Abbiamo chiesto di parlare con Fabio, ma ci ha detto che poteva parlare con noi perché aveva avuto un incidente gravissimo il giorno prima. Credo di averle urlato al telefono: “E tu mi avvisi adesso?”». Poi la corsa in ospedale insieme al nipote, la notizia del decesso, la comunicazione ai bambini. «Quando siamo tornati dall’ospedale per parlare con i bambini, ci ha detto che non aveva i soldi per fare la spesa».

In aula la madre della vittima ha anche raccontato di un rapporto diventato via via più difficile sia con la “mantide”, sia con il figlio. «Prima che Fabio morisse non volevo più sentire né lei, né lui, avevo capito che era caduto nel baratro. Fabio mi aveva anche mandato un messaggio dicendomi che Adilma tramite i suoi santi aveva capito che stavo tramando cose brutte contro di lei. Gli ho risposto che tra me e lui si chiudeva qui. Mi sono detta che a quel punto sarebbe stato meglio portare il dolore – ha concluso amara Annamaria Trentarossi -, perché se fossimo mancati noi dopo di lui non avrebbe neanche avuto una sepoltura da cristiano».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 19 Maggio 2025
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