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La stella della Mercedes

Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci

Il racconto della domenica  è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci
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È quell’ora particolare in cui la notte ha appena abbandonato le sue vesti sul mondo e il giorno non le ha ancora raccolte. Jack stringe nelle mani sudate il volante color avorio della Mercedes cabrio di Fat Boy, lo sguardo chimico di chi ha ingoiato anfetamine, gli occhi incollati sulla stella a tre punte che come un faro emerge dal cofano e gli indica la via: sempre dritto davanti a sé.
Jenny, la spogliarellista del Garden, con quella voce roca e sensuale, un corpo da urlo e decine di banconote da venti infilate nelle mutandine, lo stuzzicava, “Con quegli occhi da Paul Newman che ti ritrovi dovresti spaccare il mondo.”
Jack spaccò un paio di denti con una chiave inglese da 19, ma della bocca sbagliata. Frantumò le labbra e gli incisivi di Fat Boy, il figlio del boss.
Quella sera era andato a casa sua, un lavoretto da niente, gli aveva anticipato. Il ciccione stava lucidando la Mercedes verde bottiglia. Jack lo invidiava per quella macchina. Con un panno in pelle di daino Fat Boy insinuava le dita grassocce tra i raggi della stella a tre punte.
Gli mostrò una foto con un indirizzo scritto sul retro.
«Non ammazzo bambini»
«E che sei Jack? Una checca? Mio padre dice che lo devi fare tu.»
«Non ammazzo bambini, ho detto.»
«Non sei tu che decidi quello che devi fare, è mio padre che te lo chiede e quello che chiede mio padre si fa, che piaccia o no.»
Al “piaccia”, Jack afferrò la chiave inglese da 19, e al “no”la usò. Lo lasciò a terra sanguinante e salì sull’auto verde bottiglia. Mentre usciva dal garage, Fat boy gli strillò dietro, e ora sembrava lui la checca.
“Fiiiglio di puttaaaanaaaa”.
Avrebbe dovuto spaccargli anche il cranio, ma non lo fece. Fu un errore, il vantaggio sarebbe maggiore.
Il boss sguinzagliò i suoi cani per la città in meno di mezz’ora, un tempo davvero troppo breve.
La strada è deserta, diritta, la traiettoria di un proiettile, Jack viaggia a centoventi miglia orarie, e neanche l’ombra di una fottuta pattuglia della polizia della contea di Horn. Ovvio, sono tutti nel libro paga del boss.
I segugi sono vicini, nella notte hanno guadagnato terreno. Li immagina ridere sguaiati, con i loro fucili a canne mozze e l’odore di acqua di colonia tipico degli Italiani. Immagina anche Jenny e l’effetto che gli fa sa di goodbye e malinconia.
Dallo specchietto retrovisore Jack ora li vede. Il paraurti della Cadillac quasi bacia quello della Mercedes. Riconosce i volti. Jonny, Santo e sul sedile posteriore, Rizzo. Peggio non poteva capitargli.
Il cielo si colora, l’indicatore del carburante è a fine corsa, la stella a tre punte brilla nei primi raggi di un sole annoiato, e Jack, come una pernice sopra un prato dipinto, non può volare via.

Racconto di Gian Paolo Zoni, illustrazione di Mauro Speri

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 01 Marzo 2020
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