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Morte delle sorelle Agrati, la difesa chiede l’assoluzione del fratello imputato

I legali hanno chiesto per Giuseppe Agrati l'assoluzione piena o in subordine per insufficienza di prove a suo carico o per un vizio parziale di mente

tribunale di busto arsizio

Giuseppe Agrati deve essere assoluto dall’accusa di duplice omicidio delle sorelle Carla e Maria, morte nell’incendio che avvolse l’abitazione di famiglia in via Roma a Cerro Maggiore nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 2015. Lo hanno chiesto i suoi legali nell’arringa al termine del dibattimento nel processo che ormai da più di un anno vede il 70enne, unico superstite del rogo, imputato proprio per la morte delle sorelle.

La difesa, dopo la richiesta della Procura generale di Milano di condanna all’ergastolo con nove mesi di isolamento diurno, ha chiesto per Giuseppe Agrati l’assoluzione piena o in subordine per insufficienza di prove a suo carico o per un vizio parziale di mente, in quest’ultimo caso con una misura di sicurezza a tempo indeterminato e un «idoneo programma clinico-terapeutico». Per il collegio difensivo composto dagli avvocati Giuseppe Lauria e Desirée Pagani, infatti, «l’unico dato certo emerso nel dibattimento è che nella notte tra il 12 e il 13 aprile si sviluppò un incendio in via Roma al civico 33 a  causa del quale morirono le sorelle Carla e Maria mentre è sopravvissuto il fratello»: tutto il resto per i legali è una «grande Babilonia» che quasi dodici mesi di udienze non hanno sciolto, come vuole la legge, oltre ogni ragionevole dubbio.

Per la difesa prima di tutto mancherebbe il movente. «Il pubblico ministero non è stato capace di evidenziare un movente reale – ha sottolineato l’avvocato Lauria -. Dal quadro personologico tracciato con la perizia psichiatrica emerge che l’unico ambiente nel quale Agrati si sentiva libero di esprimere la propria personalità era la sua abitazione, proprio con le due sorelle, alle quali era legato. Carla è stata sua convivente per 65 anni, e poi perché bruciare la casa proprio quando era presente anche Maria, ovvero la sua sorella prediletta? Sono congruenze insanabili. Giuseppe Agrati inoltre non aveva problemi di natura economica, tant’è che ha potuto permettersi il lusso di non lavorare e di vivere grazie al reddito dato dalla rendita dei vari immobili locati, e ha sempre condotto una vita modesta che dopo la morte delle sorelle ha ulteriormente declassato limitandola alle esigenze del vivere quotidiano: chi è andato dal notaio a verificare la presenza di testamenti non è stato certamente lui. Anzi, dalle indagini patrimoniali è emerso che Agrati accettò l’eredità per una quota inferiore rispetto a quanto spettante per legge: sarebbe questo il comportamento di chi persegue un movente economico?».

A non convincere i legali, poi, ci sono anche la ricostruzione della dinamica dei fatti formulata dalla Procura e le carenze nelle indagini contro le quali a più riprese hanno già puntato il dito nei mesi scorsi. «Prima di vedere Agrati condannato all’ergastolo, qualcuno deve spiegare come avrebbe articolato l’intento criminoso: aveva 67 anni, non aveva gli attributi fisici e intellettivi, e non ha lasciato nessuna prova diretta. Non è dato nemmeno sapere l’ora del decesso delle sorelle Agrati, perché sono rimaste a giacere nell’acqua servita per spegnere l’incendio in un ambiente chiuso e ad alta tempertura, rendendo impossibile stabilire l’orario esatto della morte: che fine fa la ricostruzione della pubblica accusa, se non sappiamo nemmeno a che ora è scoppiato l’incendio e a che ora sono morte Carla e Maria? Non sono state cercate le tracce di sostanze acceleranti, e nell’immediatezza dell’evento è stato consentito l’accesso alla scena dell’incendio a soggetti estranei e non qualificati, che hanno modificato e contaminato il luogo del delitto».

E c’è anche un altro tasto dolente sul quale la difesa è tornata a battere per l’arringa, dopo averlo già fatto a più riprese nei mesi scorsi: la violazione del diritto di difesa dell’imputato. «Il sequestro del patrimonio non ha consentito all’imputato di utilizzare gli stessi mezzi della pubblica accusa – ha aggiunto il legale -, determinando un’inaccettabile divaricazione: è evidente lo sbilanciamento fin dall’inizio della posizione di Agrati rispetto al diritto alla difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Chi oggi può escludere che senza quel sequestro conservativo avremmo avuto ben più risorse per poter difendere la particolare posizione processuale in cui versa l’imputato?».

Davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio, che settimana prossima con la lettura del dispositivo della sentenza metterà un primo punto fermo ad una vicenda da anni in attesa di essere chiarita, la difesa dell’imputato hanno anche tratteggiato per la prima volta l’ipotesi che proprio una delle sorelle defunte possa «avere avuto un qualche ruolo fattuale» rispetto all’incendio o che comunque ci sia stato un intervento da parte di una terza persona. «Il nipote Andrea ha riferito che la morte del padre aveva sconvolto sua zia Carla perché erano molto legati, e sono state provate anche da altre testimonianze rese in dibattimento la portata e l’esclusività del rapporto che legava Carla e Antonio – ha sottolineato l’avvocato Lauria -. Il decesso di Antonio Agrati ha certamente alterato in maniera assoluta gli equilibri, magari a volte anche precari, della famiglia Agrati e ha destabilizzato in particolare Carla. Siamo nell’ambito delle ipotesi, ma è stata valutata l’ipotesi che la donna possa avere avuto un qualche ruolo fattuale nella determinazione dell’evento incendio? Non dimentichiamo che Carla Agrati fu trovata all’interno del bagno, la cui porta è risultata essere in posizione di chiusura, che i suoi indumenti, leggeri e pertanto facilmente infiammabili, non furono per nulla interessati dalle fiamme e che i periti hanno evidenziato che ebbe il tempo di compiere spostamenti all’interno dell’abitazione negli istanti che precedettero la sua morte. Chi può inoltre escludere che qualcun altro si sia introdotto nottetempo, anche forzando la porta?».

L’ultima parola in aula l’ha avuta lo stesso Giuseppe Agrati, che dal banco dei testimoni è tornato a prendere la parola come aveva già fatto durante l’ultima udienza e ha parlato di «farneticazioni» e «processo alle intenzioni» rispetto alle affermazioni che in questi lunghi mesi di dibattimento ha sentito pronunciare agli inquirenti, ai vicini di casa e ai parenti che uno dopo l’altro hanno ripercorso i fatti di quella notte e le relazioni tra i diversi componenti della famiglia Agrati davanti alla Corte.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 14 Dicembre 2021
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