Quantcast

Reciprocità e appartenenza per vincere le nuove dipendenze

A Varese il 14 maggio (inizio 18 e 30) un incontro dal titolo "“Non c’è un io senza un noi: salviamoci insieme” con le psicoterapeute Maria Chiara Gritti e Marta Zighetti per esplorare il bisogno umano di connessione autentica e imparare a distinguere tra relazioni che nutrono e relazioni che feriscono

Generico 05 May 2025

“Non c’è un io senza un noi: salviamoci insieme” è il titolo della serata del 14 maggio a Varese con inizio alle ore 18 e 30 (ingresso gratuito) nella sala Matrimoni di Palazzo Estense del comune di Varese. Un titolo che rappresenta bene il messaggio che le due relatrici, Maria Chiara Gritti e Marta Zighetti, entrambe psicoterapeute, vogliono trasmettere: «L’assenza di connessioni autentiche priva le persone del nutrimento emotivo necessario, favorendo patologie come le dipendenze e il malessere psicologico. Senza relazioni di appartenenza, rischiamo di perdere motivazione e di accettare legami tossici e patologici pur di non restare soli».
L’incontro rientra nella seconda edizione della rassegna “La famiglia come (forse) non l’avevi mai pensata”, organizzata dal centro di psicoterapia “Essere Esseri Umani” con il patrocinio del Comune di Varese.
(foto sopra  di Engin_Akyurt da Pixabay)

Dottoressa Gritti, lei ha fondato il Centro Dipendiamo e ha ideato anche un metodo specifico per curare le nuove forme di dipendenza. Cosa rende innovativo il vostro approccio rispetto ad altri?
«Un primo elemento innovativo del nostro approccio riguarda proprio la tematica: ci occupiamo di quelle che oggi vengono definite “nuove forme di dipendenza” o new addiction ancora poco conosciute e spesso fraintese. La dipendenza affettiva, di cui parleremo durante la serata, è una di queste, ma includiamo anche la dipendenza da internet, da sesso, da lavoro, da sport, da chirurgia estetica. Si tratta di comportamenti quotidiani che possono innescare meccanismi patologici. L’altro elemento distintivo è il tipo di trattamento: si tratta di una metodologia integrata nata dall’unione di diversi approcci terapeutici, sistemico, cognitivista, psicodinamico, di cui abbiamo estrapolato gli elementi più efficaci. Non è solo una somma di strumenti, ma un metodo strutturato e verificato, anche grazie al mio percorso di dottorato, con una validazione scientifica basata su follow-up e feedback a lungo termine».

Cosa distingue un legame difficile ma sano da uno tossico?
«Le relazioni sono complesse e talvolta faticose, specie in contesti stressanti, come quelli familiari, ancor di più se ci sono bambini piccoli. Può accadere che la coppia vada in sofferenza, ma si tratta di una situazione che rientra nella fisiologia del legame. Invece parliamo di legami tossici quando l’incastro è tra due personalità molto immature e impedisce la crescita individuale».

Mi fa un esempio?
«Un esempio tipico è quello tra un dipendente affettivo e un narcisista patologico: entrambi cercano nell’altro la guarigione delle proprie ferite infantili. Peccato che la cerchino reciprocamente da una persona a sua volta molto fragile. In questo meccanismo accade che la persona, invece di evolvere, regredisca. Sento che l’altro è particolarmente anaffettivo, squalificante, che non riesce ad accogliere il mio amore e a investire nella coppia. Ma io, dipendente affettivo, insisto perché penso che col mio amore lo cambierò, lo curerò, e persevero in questo comportamento continuando a sacrificarmi, nonostante l’evidenza continua e gli stop che mi arrivano, allora siamo di fronte a una dinamica patologica».

Viviamo in una società che esalta l’individualismo, mentre noi abbiamo un bisogno di appartenenza. Come si conciliano, se si conciliano, questi due aspetti?
«La nostra società enfatizza il mito dell’indipendenza e lo fa in un modo distorto. L’autonomia non significa “non ho bisogno degli altri”, ma “riesco a occuparmi di me pur restando connesso agli altri”. Invece il messaggio culturale è: distraiti, consuma, trova subito un altro partner tramite un’app. Questo ci allontana da noi stessi e dal nostro naturale bisogno di appartenenza. Per questo nel nostro centro proponiamo spesso terapie di gruppo: perché chi soffre di dipendenza ha spesso vissuto in un vuoto relazionale. Ricostruire un senso di connessione, di “non sei solo”, è parte della cura».

Competere o cooperare: questo è il problema?
«Trovo importante ricordare che il valore della persona non risiede nella performance. Viviamo in un’epoca in cui contano il talento, la visibilità sui social, la produttività. Ma noi valiamo perché esistiamo. Anche la scuola è sempre più focalizzata sul “talento” anziché sulla sensibilità e sulla relazione. La prevenzione comincia anche da qui: nelle scuole, nei gruppi, nell’educazione alla collaborazione più che alla competizione».

Come si costruiscono legami più sani?
«Un aspetto centrale è lo scambio. Una relazione sana è reciproca: si dà e si riceve. Non deve essere perfettamente bilanciata, ma neppure totalmente sbilanciata su una parte sola. Inoltre, la consapevolezza di sé è cruciale: più conosciamo noi stessi, i nostri bisogni e i nostri limiti, più possiamo costruire legami autentici e nutrirli con rispetto».

Dottoressa Zighetti, quanto è importante saper chiedere aiuto?
«È fondamentale. Chi è più fragile spesso non riesce a farlo. In quel caso è importante costruire un ponte: proporre contatti graduali, attività semplici, come mangiare insieme. Abbiamo visto ragazzi refrattari alla terapia trovare il coraggio di accedere ai servizi proprio grazie a un primo passo relazionale».

Lei insiste molto sul concetto di “riappartenersi”. Perché è così determinante?
«Perché dopo un trauma rappresenta una delle sfide più profonde e trasformative del processo terapeutico. Significa ricostruire un legame interiore con sé stessi, là dove l’esperienza traumatica ha prodotto una frattura, una perdita di continuità nella percezione del sé. Dopo un trauma, l’appartenenza a sé viene meno: la persona non si riconosce più come intera, integrata, continua. Riappartenersi, quindi, è ritrovare una casa dentro il proprio corpo, nella propria storia e nel proprio presente. Secondo la teoria della dissociazione strutturale della personalità (TSDP), questa disconnessione interna è alla base del trauma psicologico. La persona non si sente “una”. Le esperienze traumatiche non sono vissute come proprie: vengono percepite come distanti, aliene, appartenenti a qualcun altro. In altre parole, l’individuo smette di appartenersi. È ciò che Charlotte Delbo, sopravvissuta di Auschwitz, esprimeva nel descrivere la parte di sé rimasta “là”, separata dalla vita che continuava nel presente. Il trauma, non integrato, resta escluso dalla continuità narrativa dell’identità. Il processo di guarigione richiede azioni integrative, che mirano a riconnettere ciò che è stato frammentato e a restituire alla persona la capacità di riappropriarsi della propria esperienza. Riappartenersi significa molto più che guarire dal trauma: è ritrovare sé stessi come unità vivente, ricostruire una continuità interiore e riconoscersi, finalmente, come interi».

Qual è il valore della comunità terapeutica nella cura e nel processo di guarigione da una dipendenza affettiva?
«Nella mia esperienza ho sentito forte il bisogno di trasformare il mio centro in una sorta di famiglia professionale. Una base sicura dove chi lavora, chi entra per terapia o formazione, possa sentirsi accolto. Anche la mia storia personale ha influito profondamente su questa visione.
Il lavoro di gruppo, che portiamo avanti anche con le full immersion settimanali, è centrale: permette di uscire dalla solitudine, di sentirsi meno “sbagliati”. Ho visto pazienti fare progressi enormi proprio grazie alla condivisione e al senso di appartenenza».

Le storie possono curare la solitudine?
«Durante la serata, l’attrice Elisa Carnelli leggerà tre storie tratte da un libro in uscita a novembre, che raccoglie esperienze di appartenenza – positive e negative – con una breve riflessione psicologica per ciascuna. La lettura sarà breve ma intensa, per trasmettere il senso profondo del “noi”. Anche chi lavora con noi, dalla segretaria a mio marito, ha scritto una storia: è un progetto corale, perché tutti hanno bisogno di sentirsi parte di qualcosa».

ISCRIVITI QUI ALLA SERATA

Tradimento e perdono: quando la coppia è a un bivio

Redazione
info@legnanonews.com
Noi della redazione di LegnanoNews abbiamo a cuore l'informazione del nostro territorio e cerchiamo di essere sempre in prima linea per informarvi in modo puntuale.
Pubblicato il 12 Maggio 2025
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore