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Dalla “lune di miele” al… femminicidio: quali le cause?

Col passare del tempo il marito violento incolpa la donna delle proprie reazioni...

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno. L’intenzione è di per sé è ottima, basta che non rimanga, insieme alla festa delle donne dell’8 marzo, l’ unico appuntamento in cui questa problematica viene messo in primo piano. Ricordiamo che, in Italia, nel 2013, le vittime di femminicidio sono state ben 128, e a mettere fine alla vita di queste donne è stato quasi sempre chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro: mariti, fidanzati, conviventi.

Come può un rapporto arrivare ad un tale mortale epilogo? Generalmente gli episodi violenti cominciano in un momento imprecisato: poco dopo la conoscenza, dopo la nascita di un figlio, ma anche a molti anni di distanza dal matrimonio. Di frequente la relazione comincia con la fase della “luna di miele”: il partner si presenta come un vero e proprio principe azzurro, premuroso e affettuoso. Successivamente l’uomo induce la propria compagna a percepirsi vulnerabile, bisognosa, di scarso valore, attraverso continue critiche, battute ironiche e insulti, fatte anche davanti ad estranei. Pian piano l’uomo tende ad infastidirsi facilmente per ogni minimo comportamento della compagna: il suo stato di malessere, incrementato da pensieri di natura ossessiva, spesso di gelosia, o da tentativi di colpevolizzazione, “preannuncia” l’aggressione vera e propria. La vittima, avvertendo l’imminente pericolo, inizia ad adottare comportamenti accomodanti e sottomessi al fine di evitare l’escalation della violenza – ad esempio si rende disponibile al proprio partner, minimizza la gravità delle aggressioni. La tensione precedentemente accumulata, esplode, inevitabilmente, in violenza fisica. Da un punto di vista relazionale a poco a poco si crea il ‘circolo della violenza’: dopo ogni episodio il marito violento si scusa e segue un nuovo momento romantico, un’altra “luna di miele”, fino al successivo scoppio. Gli episodi di violenza si susseguono senza regolarità generando nelle donne un senso di impotenza appresa, perché non sono in grado di gestire la situazione ed evitare gli scoppi d’ira del compagno: qualsiasi cosa facciano non c’è nulla che possa prevenire queste aggressioni. Col passare del tempo il marito violento incolpa la donna delle proprie reazioni, come se fosse lei a costringerlo a comportarsi in quel modo: “Se ti comportassi bene, non sarei costretto ad agire in questo modo”, è questa la classica frase di chi aggredisce la propria compagna. Per costoro c’è sempre una scusa per leggittimarsi a picchiare la propria donna: non è abbastanza brava a cucinare, non è una brava amante, si convince che lei lo tradisce, ecc. Ovviamente gli aggressori minimizzano il proprio comportamento e le proprie responsabilità ( ad es. “ti ho dato solo una spinta”, ecc).

Oltre alla violenza fisica non di secondaria importanza è quella psicologica, che permette il perpetuarsi di queste aggressioni: il partner umilia la vittima creando in lei la convinzione che nessun altro uomo potrà desiderarla. La donna maltrattata si ritrova man mano sempre più isolata e l’abusante diventa l’unica figura di riferimento per la donna: le viene impedito qualsiasi rapporto con familiari ed amici, che potrebbero convincerla ad allontararsi da lui, pena ulteriori aggressioni. Inizialmente è lui a privare la compagna della rete sociale per aver maggior controllo sulla donna e rendendola dipendente, ma può subentrare l’autoisolamento per timore del giudizio altrui. Non di secondaria importanza è il fatto che le vittime vivono in uno stato di ansia anticipatoria per paura di non riuscire a sopravvivere alla successiva aggressione o sono assolutamente convinte che se decidessero di lasciare il compagno violento questi finirà per ammazzarle. Per avere il pieno potere l’uomo punisce aspramente qualsiasi forma di ribellione con occhiatacce, insulti, gesti di disapprovazione, vandalismo, maltrattamento di animali domestici. Sono inoltre frequenti ricatti (ad es. accuse infamanti divulgazione di documenti privati a terzi, foto compromettenti), minacce di morte alla donna o ai suoi cari: queste sono tra le armi più frequenti che l’uomo ha per tenere legata a sé una donna maltrattata, per per terrorizzarla e renderla totalmente inoffensiva.

Nel prossimo articolo continueremo a parlare di questo tema così attuale.

Resto a disposizione per domande, chiarimenti, o per spunti su argomenti che desiderate approfondire.

Dott.ssa Federica Camellini
federicacamellini@libero.it
www.psicologolowcost.it

Redazione
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Pubblicato il 13 Marzo 2014
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