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I deportati del 5 gennaio 1944 della Franco Tosi

Ricorre oggi il 70° anniversario della deportazione dei lavoratori legnanesi nei campi di sterminio nazisti - Lo ricordiamo con un nuovo racconto degli storici Restelli e Pasquetto...

I deportati della Franco Tosi del 5 gennaio ‘44

Il giorno degli arresti in fabbrica

Terza parte

 

L’inizio della fine

Dalle tredici alle sedici e trenta la fabbrica era controllata dai militari con i mitra che costringevano tutti i lavoratori a ritornare alle consuete mansioni. … Verso le quattro e mezzo sono arrivati i camion; caricati sui camion, li han portati a San Vittore” (Sant’Ambrogio), il carcere circondariale di Milano, in cui tre dei sei bracci erano sotto il controllo tedesco. Hanno ancora le tute addosso, solo qualcuno è riuscito ad afferrare il cappotto. “Li ho visti quelli della Tosi quando li hanno caricati sui camion – ricorda con dolore la giovane staffetta partigiana Piera Pattani, accorsa sul piazzale davanti alla Tosi – ho fatto un nascosto cenno di saluto al Sant’Ambrogio poi…” hanno caricato “le novantadue persone prima messe al muro, eccezion fatta per i “ragazzetti”… Durante la notte, però, sulla base di specifiche segnalazioni, furono prelevate dalle loro abitazioni una trentina di antifascisti che, pur non essendo esposti politicamente, facevano già parte degli organismi sindacali aziendali” (Landini). Quest’operazione notturna venne effettuata dai fascisti.

Vengono tutti incarcerati a San Vittore. Gaetano De Martino, nel suo libro “Dal carcere di San Vittore ai lager tedeschi”, riferisce che “un giorno arrivò un grosso blocco di operai: le celle furono tutte piene e nell’ora dell’aria vi fu una grande agitazione. Erano gli operai di alcune officine di Legnano, avevano scioperato ed erano finiti in carcere. Un operaio mi riferì che a molte industrie era stato imposto di costruire materiale bellico per i tedeschi: circa 13.000 operai di Legnano, Busto Arsizio e delle località vicine vi si rifiutarono subendo gravi rappresaglie. Dopo tre giorni gli operai arrestati furono liberati, ma alcuni capi vi rimasero e parecchi di essi furono anche malmenati. L’ingegnere Cima fu lasciato quattro giorni a digiuno con le mani legate dietro la schiena. Durante l’ultima notte fu un continuo piangere e lamentarsi: il corpo non reggeva più. Deportato in Germania non fece più ritorno a casa sua”.

Non era una novità: uno dei primi interventi del generale Zimmermann nel milanese aveva dato analoghi risultati. Il 13 dicembre 1943, con inizio alle ore 10, erano scesi in sciopero decine di migliaia di lavoratori di Sesto San Giovanni, della Falck, Breda, Ercole Marelli, Pirelli Sapsa, Magneti Marelli, ed altre aziende minori. Zimmerman fece radunare sul piazzale dello stabilimento della Falck Unione, i lavoratori in sciopero della Falck, poi dalla torretta di un carro armato, dopo aver dichiarato che avrebbe esaminato e ricercato la soluzione alle loro richieste, intimò: “chi non riprende il lavoro, esca dagli stabilimenti; chi esce dalla fabbrica è dichiarato nemico della Germania”. I lavoratori proseguirono lo sciopero e lasciarono tutti gli stabilimenti ma durante la notte centinaia furono arrestati, portati in carcere e poi nei campi di concentramento nazisti.

Teodoro Sant’Ambrogio cercò di fare qualcosa per salvare il fratello Angelo, incarcerato con gli altri della Tosi: “la mia famiglia, che conosceva delle persone a Milano, mandò presso di loro mia sorella per chiedere cosa si potesse fare per liberare gli ostaggi. Le fu risposto che erano dei sovversivi e perciò non si poteva lasciarli liberi. Ciononostante la sera del 6 gennaio vennero rilasciate alcune di queste persone e il giorno successivo addirittura una cinquantina. Insomma nel carcere di S. Vittore rimasero solo otto persone, quelle segnalate dai fascisti come i promotori delle manifestazioni organizzate alla Tosi e di queste ne sopravvisse una sola, mentre tutte le altre morirono a Mauthausen.” L’unico sopravvissuto tornato a Legnano dopo pochi anni si suicidò.

Dopo alcuni giorni nel carcere di San Vittore gli otto dipendenti della Tosi vennero avviati nel campo di Fossoli (Dulag, campo di transito). Lasciarono Fossoli su vagoni piombati l’8 marzo con il Trasporto n 32, partito nel pomeriggio da Firenze con almeno 300 deportati toscani. Il convoglio, diretto a Mauthausen, sostò a Fossoli e a Verona dove vennero aggiunti al treno altri sei carri bestiame con 290-300 deportati. A Mauthausen il convoglio arrivò nel primo pomeriggio dell’11 marzo; lì vennero classificati con la categoria Schutzhaftlinge (prigioniero politico, mandato di arresto per motivi di sicurezza) e contraddistinti con un numero di matricola scritto su di un triangolo rosso. Nel lager venne a loro chiesto il mestiere che esercitavano per sfruttarli meglio fino alla morte.

Chi erano i deportati della Franco Tosi del 5 gennaio 1943

Paolo Cattaneo. Nato nel 1909. Tornitore. Membro della Commissione interna. È trasferito a Gusen (Mauthausen). Fu ricondotto a Mauthausen negli ultimi giorni di guerra (“Marce della morte”). Sopravvissuto. Morì poi suicida.

Pericle Cima. Nato nel 1899. Ingegnere meccanico. Capo reparto calderai. Nel carcere di San Vittore venne torturato. È trasferito a Schwechat-Florisdorf (Mauthausen) il 26 marzo 1944. Trasferito a Wien Florisdorf fine giugno-primi di luglio ’44. Deceduto l’11 aprile o il 5 aprile 1945 a Steyr durante la “marcia della morte” da Wien Florisdorf a Mauthausen.

Alberto Giuliani. Nato nel 1910. Perito tecnico. Deportato a Mauthausen e poi ad Ebensee con un altro trasporto rispetto ai suoi compagni. A Ebensee entra nella resistenza interna del lager. Deceduto il 6 febbraio 1945.

Carlo Grassi. Nato nel 1902. Modellatore metallurgico (tubista). È trasferito a Gusen (Mauthausen). Deceduto tra il 14 febbraio e il 15 febbraio 1945 a Gusen.

Francesco Orsini. Nato nel 1882. Tornitore. È trasferito a Kalk-Ebensee (Mauthausen). È trasferito nel Sanitaetslager di Mauthausen. Deceduto il 5 ottobre 1944 nel castello di Hartheim (Mauthausen).

Angelo Sant’Ambrogio. Nato nel 1913. Operaio fresatore. Membro di primo piano della Commissione interna e comandante militare del gruppo clandestino di fabbrica. Molto attivo nella Resistenza a Legnano in collaborazione con i fratelli Venegoni. È trasferito nel Sanitaetslager di Mauthausen. Deceduto il 19 settembre 1944 nel Castello di Hartheim (Mauthausen).

Ernesto Luigi Venegoni. Nato nel 1899. Modellista, meccanico di precisione. Membro della Commissione interna. È trasferito a Gusen (Mauthausen), poi a Mauthausen, poi a Linz III (Mauthausen). Deceduto il 26 marzo 1945 a Mauthausen.

Antonio Vitali. Nato nel 1899. Tubista. Capo in carica della Commissione interna. È trasferito a Gusen (Mauthausen). Deceduto il 9 marzo 1945 a Gusen.

Tutto finito?

Tutto finito. Un rapporto fascista attestava che “a seguito dell'intervento della SS tedesca la situazione si è ristabilita a Legnano e nelle sue fabbriche”.

La fabbrica non subì alcuna distruzione e i macchinari restarono intatti” (Landini).

Un volantino redatto dai fratelli Venegoni dopo gli arresti del 5 gennaio ’44 dichiara: “Gli operai arrestati erano solo colpevoli di aver reclamato di parificare i salari dei lavoratori legnanesi a quelli dei maggiori centri industriali (Sesto San Giovanni) e di far mantenere agli industriali le promesse fatte. Invece i barbari delle SS avevano voluto arbitrariamente intervenire in difesa degli sfruttatori del popolo contro gli operai”. Secondo i fratelli Venegoni la responsabilità di quanto accaduto andava, oltre alle SS, “alla cieca ostinazione dei dirigenti della Tosi che aveva provocato lo sdegno della massa degli operai”. Non avevano torto.

Tutto finito? Davvero?

In zona non era tutto finito. Il 7 gennaio 1943 fu la volta dell’Aermacchi di Varese: alcune centinaia di operai in sciopero da qualche giorno vennero messi al muro da un reparto delle SS. I militi tedeschi ne scelsero un centinaio a caso e li condussero a San Vittore, dove rimasero per due mesi. Quasi tutti ritornarono alle loro case. Il 10 gennaio un analogo sciopero alla Comerio di Busto Arsizio fu stroncato con un’azione militare nazista identica a quella alla Franco Tosi, con la deportazione di sei operai.

I deportati Tosi del marzo ‘44

Alla Franco Tosi “due mesi più tardi, ai primi di marzo, le SS fecero una seconda retata e portarono via altri dipendenti della Tosi tra cui alcuni tecnici e impiegati” (Anonimo-2). Incarcerati a San Vittore a Milano partirono con il trasporto n. 38 da Milano il 6 aprile 1944 con destinazione Mauthausen, dove giunsero due giorni dopo. Si tratta di Giuseppe Bosani, Rino Cassani, Carlo Enrico Giovanni Ciapparelli, Pietro Gobbo, Astorre Landoni, Mario Pomini, Eugenio Verga e Davide Zanin: tutti deceduti nei lager. Furono tutti arrestati non dai tedeschi, ma dai fascisti.

In seguito a quelle due razzie il lavoro non ebbe più la regolarità di prima. Cominciarono a scarseggiare le materie prime, si accentuava quel tipo di sabotaggio “prudente” che nessuno osava chiamare apertamente sabotaggio, apparivano negli uffici e nei reparti volantini contro la guerra, contro i tedeschi, contro la Repubblica di Salò… Nessuno sapeva da dove piovessero… o forse lo sapevano tutti. Non servivano a molto, ma tenevano viva la tensione, mantenevano il legame tra lavoratori e brigate partigiane” (Anonimo-2).

E nei lager? Era tutto finito?

“Angelo – ci ricorda il fratello Teodoro Sant’Ambrogio – era un uomo combattivo, non si tirava indietro quando c’era da lottare insieme ai suoi compagni, e quando per lui e altri arrivò il momento di prendersi delle responsabilità, non mancò la coerenza di dimostrare in cosa credeva, pagando anche con la vita per le proprie idee”.

La Resistenza, non solo di Angelo Sant’Ambrogio, dalla fabbrica si è spostata nei lager: Italo Tibaldi nel libro “Nei lager c’ero anch’io”, a cura di Vincenzo Pappalettera, ci testimonia che nel lager di Ebensee “tra di noi italiani, eravamo circa 1.500, non fu possibile trovare un unico rappresentante accettato da tutti, tuttavia concordammo quattro nominativi: Ventura Ferrazzuto, giornalista dell’“Avanti” clandestino; Franco Ferrante, giudice a Milano che aveva respinto i decreti della Repubblica di Salò; Alberto Giuliani, operaio meccanico alla Tosi [in realtà era tecnico, nda] dove aveva organizzato gli scioperi e il dottor Antonio Molino, dirigente alla Caproni dove, assieme agli operai, aveva sabotato la produzione e incoraggiato gli scioperi. … Il movimento di Resistenza aveva raggiunto scopi insperati. La fabbrica che doveva essere completata per l’ottobre 1944 per produrre missili chiamati U, non fu mai ultimata. La solidarietà consentì una maggiore resistenza ed a molti di sopravvivere fino al crollo del Terzo Reich e salvò i superstiti dallo sterminio finale”.

E dopo la Liberazione?

Il 5 gennaio 1948 si svolse alla Franco Tosi una cerimonia con la posa della lapide a ricordo dei quindici caduti della fabbrica (tra deportati e partigiani combattenti) per tenere viva la memoria “di quegli ideali per i quali essi diedero la vita e noi tutti soffrimmo” (da “La Franco Tosi commemora i suoi caduti”, in “Il Carroccio”, 11 gennaio 1948).

Da allora ogni anno quelle vite uccise nei lager ci vogliono ricordare che la libertà è importante, che tocca a noi non rendere vano il loro sacrificio perché, come sostiene un partigiano, all’epoca giovanissima audace staffetta 13enne, “la libertà è come l’aria: non puoi vivere senza, ma quando ti accorgi che manca… può essere già troppo tardi”.

Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli, Anpi Legnano

Per chi volesse leggere intero il testo “Franco Tosi. 5 gennaio 1944”

https://drive.google.com/file/d/0B2oiTbuM9ihjWDcwMTFPM0ZDeUU/view?usp=sharing 

I deportati di Legnano

https://www.youtube.com/watch?v=g3-KFi7rhbM

Legnano incontra Auschwitz

https://www.youtube.com/watch?v=0lFGsjRAjso


Fonti

.Gonzalo Alvarez Garcìa, “Quelli della Tosi. Storia di un’azienda”, Libri Scheiwiller, 1985.

.Pietro Macchione, “L’oro e il ferro. Storia della Franco Tosi”, Franco Angeli, 1987.

.Luigi Marcon, Giancarlo Restelli e Alfonso Rezzonico, “I deportati politici dell’Alto Milanese nei lager nazisti. Busto Arsizio, Gallarate, Arluno, Castano Primo, Legnano, Magenta, Rho, Saronno”, Mimesis, 2014.

.Paolo Pozzi, “Quei ventenni del ’43. Appunti di cronaca e storia della Resistenza nell’Altomilanese”, Macchione editore, 1995.

.http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/resistenza/piera-pattani-86-anni-partigiana-di-legnano-brigata-182-garibaldi/

.http://www.circolone.it/Resources/FrancoLandini.pdf

.http://www.lombardia.cisl.it/doc/pubblicazioni/varie/2009/ilpercorsodellaliberta.pdf

 

Redazione
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Pubblicato il 05 Gennaio 2015
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