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I deportati del 5 gennaio 1944 della Franco Tosi

In questo secondo racconto di Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto, "quella gelida giornata del gennaio...

I deportati della Franco Tosi del 5 gennaio ‘44

Seconda parte

Quella gelida giornata del gennaio 1944


Un notiziario della guardia repubblicana fascista, datato 5 gennaio 1944, riservato a Mussolini, informava testualmente: "Oggi, nello stabilimento Franco Tosi, gli operai hanno ripreso la sciopero e sobillati, incominciavano dimostrazioni all'interno della fabbrica proponendosi di uscire per continuarle presso altri stabilimenti".

L’azienda Franco Tosi era grande, aveva circa 5000 dipendenti” racconta Teodoro Sant’Ambrogio, allora 18enne operaio alla Tosi e fratello di Angelo, 30 anni, membro di spicco della Commissione Interna e comandante militare del Comitato clandestino di fabbrica. “Mio fratello – prosegue Teodoro – era addetto alla mutua interna e con questo servizio poteva, diciamo così, spostarsi liberamente in tutti i settori perché aveva la necessità di tenere i collegamenti con le forze partigiane. Questo gruppo di sindacalisti decise uno sciopero”.

Franco Landini ricordava che “quel giorno, innanzitutto, ci fu un atteggiamento di ribellione da parte di tutti i dipendenti, semplicemente perché erano, eravamo, stufi; poi si era diffuso un certo entusiasmo, al punto tale che il piazzale principale dell’azienda era stipato di lavoratori, convinti che la persona attesa, inviata dalla direzione, avrebbe sicuramente accolto le loro richieste economiche …

Il 5 Gennaio del 1944 nel piazzale interno della fabbrica si radunarono tutti gli operai, speranzosi di ricevere una conferma ufficiale degli accordi raggiunti per un adeguamento almeno parziale dei salari al continuo aumento del costo della vita. Si desiderava in particolare introdurre anche a Legnano alcune facilitazioni già adottate per i colleghi di Milano”.

In realtà gli scioperi “avevano uno scopo prevalentemente politico: quello, cioè, di saggiare la possibilità di una rivolta di massa contro l’occupazione tedesca all’interno di una fabbrica. Ma tutto ciò, ovviamente, non poteva essere dichiarato. Occorreva presentare una rivendicazione economica che giustificasse lo sciopero. Quindi fu chiesto alla Direzione che il salario della Tosi venisse adeguato a quello in uso nelle fabbriche milanesi“ (Anonimo-2, operaio della Tosi, intervistato per il libro “Quelli della Tosi. Storia di un’azienda”), superiore di un 5 per cento. “Il salario medio di un operaio era di 1.100 lire mensili; quello di un impiegato, 1.400 lire. Se si pensa che dal settembre ’43 al giugno ’44 la spesa quotidiana era aumentata del 150-200 per cento, mentre i salari erano saliti appena del 50 per cento, capirai quanto fosse reale la motivazione dello sciopero” (Anonimo-1). Si chiedeva inoltre un aumento della razione di pane e “una parificazione del trattamento in mensa aziendale tra impiegati ed operai estendendo anche a questi ultimi il diritto ad un piatto di “pietanza” oltre alla minestra” (Sant’Ambrogio).

Alla Tosi era intervenuto nei primi giorni di gennaio ’44 il generale tedesco Otto Zimmerman, Brigadeführer delle SS, incaricato speciale (Sonderbeauftragter) per le “trattative” con gli operai, cioè per la repressione degli scioperi, inviato al comando tedesco prima di Torino e poi di Milano con poteri straordinari, su ordine di Hitler e del generale Wolf. La visita di Zimmermann alla Tosi con le sue minacce e le sue false promesse non era riuscita a riportare la calma. Anche alla Fiat-Mirafiori di Torino, in seguito agli scioperi iniziati il 15 novembre 1943, Zimmermann aveva offerto un aumento della razione di pane, patate, olio, vino e poi scarpe e legna, precisando però che se gli operai avessero continuato le agitazioni tutti questi provvedimenti sarebbero stati revocati, gli aumenti salariali sospesi e “ci saranno conseguenze gravissime per voi e per le vostre famiglie. Sono deciso ad agire con la prontezza e la durezza che caratterizzano le Forze Armate germaniche contro chi diserta il lavoro” (Zimmermann). Questo era il suo metodo.

Tornando alla Tosi, “la Direzione aveva promesso che si sarebbe arrivati ad una conclusione positiva dell’accordo; ma quando, il mattino del 5 gennaio, i rappresentanti della Commissione Interna si presentarono in Direzione, il Direttore del personale affermò chiaro e tondo che di accordo non se ne parlava nemmeno. …

Il rappresentante delle SS, che dal settembre ’43 aveva un suo ufficio in fabbrica, chiese l’immediato intervento della milizia repubblichina” (Anonimo-2).

Carabinieri ed elementi della 24° Legione fascista penetrarono in mattinata nella fabbrica. Un rapporto della GNR riferisce che all’inizio gli operai si erano mantenuti “calmi e fermi” al proprio posto di lavoro, ma poi “sobillati, incominciavano a fare dimostrazioni nell’interno dello stabilimento e si proponevano di uscire per continuarle presso altri stabilimenti”.

“I militi entrarono in fabbrica, ma vennero disarmati dalle maestranze e cacciati via” (Anonimo-2).

Il clima appariva dunque teso e forti erano i sentimenti di esasperazione per una trattativa tirata ormai troppo alla lunga. Mentre la massa degli operai era in attesa si verificò un discutibile episodio di violenza, che contribuì a fare precipitare la situazione” (Landini).

Nel rapporto della GNR si legge “alcuni operai, dopo aver chiesto di conferire col condirettore della società rag. Stegagnini, lo agguantavano e stavano per fargli fare una mala fine tentando di buttarlo in un forno acceso. I carabinieri lo salvarono dalla furia degli operai”.

Beh, qualcosa di vero c’è…

Un gruppo di lavoratori – testimoniava Landini – scatenò la caccia al direttore amministrativo, che era il dott. Stegagnini. Costui, forse informato di ciò, fuggì in un luogo che serviva da rifugio per i bombardamenti; li fu trovato attorno alle dieci di mattina e condotto attraverso i reparti dell’azienda affinché si rendesse conto di persona delle condizioni materiali e lavorative dei lavoratori.

Dopo questo tragitto obbligato, che si può definire un calvario, arrivò verso le tredici al reparto calderai. Dopo averlo colpito con un forte pugno sulla scalinata che conduceva a quel settore della fabbrica, lo portarono in infermeria e lo lasciarono lì”.

Il nostro operaio Anonimo-2 aggiunge che “fu malmenato a sangue, proprio da far compassione. Minacciarono anche di gettarlo nei forni e, forse lo avrebbero fatto, perché, dopo quasi due mesi di tira e molla, gli animi erano esasperati.” E chi non lo sarebbe stato? “A quel tempo operaio nel reparto calderai, Stegagnini contribuì con la sua rigidezza a esasperare i manifestanti, affermando di voler trattare solo in presenza dei tedeschi. …

La salvezza di Stegagnini fu dovuta probabilmente al buon senso di molti operai presenti che calmarono i più scalmanati” (Landini). Non furono quindi i carabinieri: “a salvare la vita del Direttore del personale furono proprio coloro che in seguito apparvero come i caporioni comunisti; erano i più preparati politicamente e riuscirono a convincere le maestranze che uccidere un dirigente non solo non risolveva alcun problema, ma ne avrebbe creati di nuovi” (Anonimo-2).

Mentre si svolgevano questi avvenimenti, la Commissione Interna della Tosi si era insediata nella palazzina della Direzione e dell’amministrazione della fabbrica” (Franco Landini).

“L’assembramento è finito..!!!”

Quando, in mattinata, i militi fascisti vennero disarmati e cacciati via, “a questo punto furono chiamate le SS. Al quartier generale delle SS a Milano, in via Rasella, ci fu una certa confusione. Scambiarono Legnano con Melegnano e partirono in tromba. Non avendo trovato a Melegnano nessuna Franco Tosi in rivolta, fecero dietrofront e arrivarono qui verso l’una del pomeriggio, dopo aver perduto per strada due ore buone, il tempo che ci voleva perché la Commissione Interna concludesse le trattative.

Dopo quanto era capitato al Direttore del Personale, in Direzione prevalse il buon senso dell’ingegner Mario Arreghini, che incarnava quanto di meglio vi fosse nella tradizione paternalistica della Tosi. Con il tatto finissimo che lo distingueva fu l’unico che riuscì a smussare una quantità di scontri tra la Commissione Interna e la Direzione non solo in quell’occasione, ma anche negli anni difficili del dopoguerra.

In fondo, le richieste delle maestranze non eran poi così esorbitanti. Quel 5 per cento in più e quel “secondo” in mensa erano poca cosa, per gli operai tuttavia rappresentavano molto perché, quando si ha fame, anche le briciole contano” (Anonimo-2).

A mezzogiorno nessuno si era mosso per andare a mangiare e “all’una di quel fatidico giorno, proprio mentre le maestranze si riversavano sul piazzale per celebrare la felice conclusione delle trattative, arrivarono due autocarri di SS…” (Anonimo-2). “Quando arrivano le SS i fascisti stessi accompagnano la colonna davanti alla fabbrica ma se ne restano fuori a presidiarne il perimetro” (Landini). “Arriva l’una, si aprono i cancelli principali e cosa vediamo? Due camion di SS… bloccano… con l’altoparlante dicono di andare ognuno al proprio posto di lavoro perché l’assembramento è finito” (Sant’Ambrogio). “Nel frattempo il maresciallo della milizia di Legnano, al corrente della segnalazione e preso forse da scrupolo, per cercare di evitare all’ultimo momento la retata, avvisa qualcuno della Commissione Interna. … All’improvviso la fabbrica è invasa dai tedeschi: gli autoblindo entrano dall’ingresso principale di fronte al piazzale dove ci sono gli operai, in pochi secondi piazzano le mitragliatrici e presidiano gli uffici” (Landini). “Piazzano una mitragliatrice proprio in faccia agli operai e cominciano ad impartire ordini: “Tutti al posto di lavoro!” e così via” (Anonimo-2), ordini secchi, in tedesco, poi tradotti in italiano. “Qualcuno di noi, parlando in legnanese, tentava, senza riuscirci, di comunicare coi tedeschi, i quali decisero per tutta risposta di caricare la folla. Un ufficiale delle SS con un altoparlante ordina agli operai di riprendere a lavorare, ma nessuno si muove. All’ufficiale tedesco è stato anche detto che gli operai in fabbrica sono armati e allora ordina ai suoi uomini di far fuoco: le raffiche, ad altezza d’uomo, mandano in frantumi i vetri delle finestre” (Landini). Nessuno venne colpito ma “ci fu un fuggi fuggi generale. Tutti corsero ai reparti afferrando il primo attrezzo capitato loro in mano” (Anonimo-2). “E’ un attimo, nel fuggi- fuggi generale qualcuno cade a terra, … un operaio addetto a distribuire i disegni, di nome Robellini, che aveva una gamba di legno, venne urtato e travolto, … quelli che rimangono sul piazzale vengono presi a caso e messi al muro a ridosso dei garage” (Landini), con le mani alzate, senza scegliere gli ostaggi, semplicemente “prendono un’ottantina di quelli che trovano subito lì vicini, li mettono in un angolo dell’azienda” (Sant’Ambrogio), i “lavoratori messi al muro … ad un certo punto divennero addirittura novantadue, tra operai, impiegati e tecnici e con loro c’ero anch’io, che ero un ragazzetto” (Landini, aveva 16 anni).

Poi “le SS corrono dentro, nei reparti, ed iniziano una vera e propria caccia all’uomo. Cercano gli antifascisti più noti” (Landini).

Giovanni Binaghi, del reparto fonderia centrale e membro della Commissione Interna, era riuscito a fuggire pochi istanti prima che arrivassero le SS: per tre mesi dovette vivere lontano da casa, ricercato e con l’abitazione sotto sorveglianza. Altri non furono così fortunati.

“Il comandante del reparto tedesco portava con sé un lungo elenco di sospetti, tra i quali c’erano i membri della Commissione Interna, e pretendeva che l’ingegner Arreghini gli desse conto di ognuno. «Non posso mica conoscere tutti i dipendenti…» rispose Arreghini. «Molto male! In Germania un buon dirigente conosce tutti i suoi operai…» ribattè il Comandante. L’ingegner Arreghini li conosceva uno a uno, e come! Probabilmente sapeva anche dove si erano nascosti. Ma, a modo suo, era antifascista quanto loro, e sapeva la fine che avrebbero fatta quei “proscritti” se lui avesse parlato” (Anonimo-2).

Ma chi aveva stilato quella lista? Chi può saperlo? “Le spie erano onnipresenti. Se ti lasciavi sfuggire un apprezzamento poco prudente sui tedeschi o sui fascisti, venivi denunciato subito” (Anonimo-1). Anche un altro operaio della Tosi, Candido Poli, era stato denunciato da una spia: “Entrai nelle formazioni partigiane, qui a Legnano, nel mese di ottobre [ndr 1943]; subito dopo seppi che ero stato segnalato alle SS e dovetti darmi alla macchia. Nel dicembre 1943 fuggii in montagna”. Candido, pur essendo politicamente di sinistra, si aggregò come partigiano alle formazioni cattoliche del futuro ministro Giovanni Marcora (Albertino). Durante un’operazione a Busto Arsizio venne catturato dalla Wehrmacht e inviato prima nel lager nazista di Mauthausen e poi in quello di Dachau-Bernau, sopravvivendo miracolosamente. Chi lo aveva denunciato? “non lo so – ci dice Poli – non ho voluto mai saperlo. C’erano spie dappertutto”.

Quindi, lista alla mano, “scatta la caccia ai rappresentanti sindacali e ai più noti lavoratori antifascisti. Bisogna arrestarli per separare i lavoratori dai loro dirigenti sindacali più conosciuti e stimati” (Landini). I tedeschi “vanno in Commissione Interna, dove c’era mio fratello – ci racconta Teodoro Sant’Ambrogio, fratello di Angelo, membro importante della Commissione Interna, responsabile interno della distribuzione della stampa clandestina e comandante militare del Comitato clandestino di fabbrica – c’era il presidente, erano in sei: li caricano su tutti”.

Insomma, “prima delle quattordici e trenta furono prese in ostaggio una sessantina di persone, tra cui tutti i membri della Commissione interna, alcuni dipendenti segnalati dai fascisti come l’ingegner Cima, che era il direttore dei calderai, e il prof. Giuliani, che alle 8.30 del mattino aveva ancora insegnato ai ragazzi della Tosi” (Sant’Ambrogio).

L’ingegner Cima era nel suo ufficio, dalla parte opposta dell’azienda rispetto alla portineria. Un operaio fece in tempo ad avvisarlo «Scappi ingegnere, le SS stanno venendo a prenderla». «Come a prendermi? Io non ho nulla da nascondere» rispose Cima e rimase nel suo ufficio. Pochi secondi dopo le SS fecero irruzione e lo arrestarono, ritenendolo probabilmente responsabile dei ritardi nelle consegne.

“Intanto le SS presidiavano i reparti. Durante la pausa del mezzogiorno, nessuno era uscito dall’azienda perché i cancelli erano bloccati, ma fuori dalla fabbrica, però, i cittadini si erano allarmati, non sapendo cosa esattamente fosse successo al suo interno invaso dalle SS” (Landini). I due gruppi di partigiani armati della Mazzafame e di via Pisacane, delle Brigate Garibaldi, erano stati avvertiti della presenza delle SS alla Tosi ma non riuscirono ad avvicinarsi alla fabbrica e nemmeno ad incontrarsi tra di loro perché mezza città era bloccata, il ponte di San Bernardino presidiato e tutt’intorno alla fabbrica stazionava un imponente schieramento di fascisti e tedeschi. I partigiani erano in tutto solo una decina: cosa avrebbero potuto fare?

Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli, Anpi Legnano

I deportati di Legnano

https://www.youtube.com/watch?v=g3-KFi7rhbM

Legnano incontra Auschwitz

https://www.youtube.com/watch?v=p-LNzSm9NPg

Redazione
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Pubblicato il 02 Gennaio 2015
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