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“’Altomilanese terra di discariche e di inceneritori”

Non c’è pace per questa Terra, scrivono Rino Lattuada e Giuseppe Marazzini, riprendendo l'attualità di discariche e inceneritori sul territorio

legnano generica

In questa analisi firmata da Rino Lattuada e Giuseppe Marazzini per “Diario Legnanese”, una considerazione d’attualità sul tema di discariche e inceneritori. Nella foto in prima pagina, una manifestazione del 1989 in piazza San Magno a Legnano contro gli inceneritori (Foto Pompea Ruggia)

Non c’è pace per questa Terra. Nei primi decenni dell’800 le Manchester d’Italia dell’Altomilanese – Legnano, Busto Arsizio, Gallarate e Varese – diedero una spinta notevole allo sviluppo capitalistico europeo. Lo spirito imprenditoriale era rappresentato da “grandi industriali illuminati”, e alcuni di loro sono storicamente ricordati come grandi benefattori, ma questi “grandi” furono anche “grandi” inquinatori. Tutta loro la colpa dei disastri odierni? No, gli eredi hanno fatto anche di peggio.

Non c’è più la cartiera Vita Mayer di Cairate con la sua maleodorante schiuma galleggiante sulle acque del fiume Olona, non ci sono più gli scarichi degli stabilimenti Cantoni e quelli dalle pubbliche fognature, ma dopo decenni e decenni di scarichi inquinanti, l’Olona è un fiume morto e non è più godibile come risorsa naturale. Gli eredi delle Manchester d’Italia hanno proseguito con la stessa forma mentis cioè “prendere dalla terra ciò che serve alla ricchezza propria” in nome di uno sviluppo industriale che consuma e distrugge risorse, dando per scontato che per produrre bisogna necessariamente inquinare. Associato a tale modello si è delineato il mercato “usa e getta”, una simbiosi che ha dato il colpo mortale alle risorse naturali della nostra Terra. Il nostro territorio non è un’isola felice, presenta gravi criticità ambientali che riguardano il suolo, l’acqua e l’aria, criticità che stiamo pagando in termini di salute e di costi pubblici.

Il caso sintomatico è dato dai rifiuti. Tra gli anni 60’ e 80’ i rifiuti venivano smaltiti, senza troppa salvaguardia, nelle cave in disuso. In queste cave ci finiva di tutto, dai rifiuti domestici a quelli industriali, dai tossici ai nocivi. Il concetto di “discarica controllata” si sarebbe cominciato ad affermare solo una ventina di anni più tardi.

Cronologia incompleta della devastazione ambientale e le lotte della popolazione per contrastarla.

LE DISCARICHE

Discarica di Gerenzano. Già negli anni 60’ vi si scaricavano i rifiuti di tutte le tipologie, compresi quelli industriali, sul fondo ghiaioso e permeabile dell’ex cava Castelli. La discarica venne chiusa dopo un periodo di attività controllata nel 1995. Nel periodo di attività vi furono conferiti ben oltre 8 milioni di mc di rifiuti. Oggi, a distanza di 25 anni dalla chiusura, i rifiuti sono riapparsi a margine del torrente Bozzente, torrente che a monte è asciutto mentre a valle raccoglie l’acqua trattata dall’impianto di captazione e parte del percolato che sfugge dalla discarica. Un Comitato di cittadini chiede da anni la bonifica e la messa in sicurezza della discarica.

Discarica di Cerro Maggiore. Famosa per essere la discarica della città di Milano venne chiusa nel 1996, dopo 10 anni di attività, per volontà popolare; una lotta partecipata e determinata, durata mesi, fatta di blocchi e presidi notturni e diurni. Anche se era una discarica controllata per rifiuti solidi urbani, furono scaricati anche rifiuti non compatibili. Fu storia anche di corruzione e tangenti.

Discarica di Gorla Maggiore-Mozzate. Costruita tra il 1990 e il 1993 in località “cava Sa. Ti. Ma”, venne ampliata nel corso degli anni. Al 2013 i rifiuti conferiti sommavano a 4.245.000 tonnellate. La discarica è tutt’ora in esercizio.

Comune di Buscate. Nel 1986 circolano le prime voci di utilizzo della cava di S. Antonio come discarica: inizio dei lavori previsto per Agosto 1991. Dal ‘91 al ‘93 buona parte della popolazione di Buscate tenne un presidio permanente, bloccò l’inizio lavori e riuscì ad ottenere la bocciatura del progetto-discarica.

Comune di Busto Garolfo-Casorezzo. Dal 2014, le popolazioni dei due comuni e le associazioni ambientaliste stanno contrastando che nelle ex cave di ghiaia e sabbia, trasformate in discariche di materiali inerti, vengano scaricati materiali contenente amianto. Cave attualmente gestite dalla società Solter.

Parco Altomilanese. Nel 2013 viene scoperta una discarica abusiva di oltre 4.000 metri quadrati.

GLI INCENERITORI – Con il 1970 si apre la stagione degli inceneritori.

L’inceneritore Accam fu costruito tra il 1970 e il 1972 sul territorio di Busto Arsizio. Nel 2000 fu spento per lasciare posto ad un “termovalorizzatore”. È sempre stato un impianto molto indigesto dalla popolazione di Borsano per le criticità ambientali e di sicurezza da sempre presentate e, a ragione, furono i primi ad invocarne la chiusura.

Nel 1989 la Cromos di Cerro Maggiore richiede la costruzione di un impianto inceneritore per 8.000 tonnellate/anno di pneumatici usati atto a produrre energia per il proprio stabilimento confinante con Legnano. Il maggior impatto ambientale sarebbe ricaduto sul rione Canazza di Legnano. La popolazione si mobilita e insieme a numerose associazioni ambientaliste, organizzazioni sindacali, forze politiche ed alcune amministrazioni comunali riescono a interrompere l’iter autorizzativo e a costringere la Cromos a rinunciare al suo inquinante progetto.

Nel 1991 vengono contestati dalla popolazione alcuni progetti di costruzione di inceneritori.

A Cassano Magnago la gente protesta per mesi contro l’inceneritore per rifiuti ospedalieri della Calor Impianti.

Nel magentino, a Marcallo con Casone, gli abitanti protestano contro un progetto di inceneritore per i rifiuti industriali.

Sempre nel 1991 a Parabiago e a Busto Garolfo si protesta contro il progetto di costruzione di un mega inceneritore per rifiuti tossici e nocivi che la Società SEC Srl intende costruire nell’aria tra i comuni di Parabiago e Busto Garolfo, area già destinata al Parco naturale del Roccolo. L’impianto previsto con annessa discarica e stoccaggio rifiuti doveva trattare 160 mila tonnellate/anno. La lotta della popolazione impedisce la realizzazione del progetto.

A Castellanza nel 2011 la Elcon, una società israeliana, presenta un progetto per la costruzione di un impianto di trattamento e di co-incenerimento di reflui provenienti da aziende farmaceutiche e chimiche per 175 mila tonnellate annue, ipotizzando il raddoppio nel 2016. L’area indicata su cui costruire l’impianto è quella della ex Montedison di Castellanza. Ad opporsi diversi Comitati di cittadini che in poco tempo raccolgono più di diecimila firme. La mobilitazione della popolazione è così forte da convincere diverse amministrazioni comunali confinanti a dire NO alla Elcon. Nel 2013 l’impianto viene bocciato dagli organi regionali della Lombardia.

Ora, nelle condizioni di elevata crisi ambientale in cui versa la zona in cui viviamo, bisogna cambiare radicalmente strategia per la tutela del territorio e della salute delle popolazioni. Non sono più accettabili soluzioni di aggravio del nostro già precario sistema ecologico; non c’è più spazio per scelte pubbliche o private che vanno in questa direzione. Chi non cambia è complice di un sistema che ha già mostrato i propri limiti ed è risultato fallimentare. Se la Terra potesse parlare chiederebbe la chiusura definitiva dell’impianto ACCAM di Busto Arsizio.

Rino Lattuada e Giuseppe Marazzini

Redazione
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Pubblicato il 04 Maggio 2021
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