“Ho vissuto un anno nella mia stanza”: la storia di Marimo, Hikikomori di Legnano
Durante il convegno "Segmenti Consapevoli" abbiamo raccolto la testimonianza di un ragazzo che nel 2024 ha vissuto in isolamento. Ha scelto un nome di fantasia, "Marimo", personaggio di un'anime, per tutelare la sua identità

Il fenomeno degli hikikomori, termine giapponese nato per descrivere chi si ritira dalla vita sociale per lunghi periodi, coinvolge circa 1,5 milioni di giovanissimi in Giappone. In Italia il fenomeno è meno sviluppato, fortunatamente, ma è in crescita. Si stima che decine di migliaia di ragazzi vivano forme più o meno gravi di isolamento domestico. Nell’Alto Milanese, negli ultimi anni, sono stati intercettati 300 giovani in queste condizioni negli ultimi tre anni e con il progetto “SegMenti Consapevoli” sono stati seguiti 67 ragazzi.
Durante l’evento finale di “Segmenti Consapevoli” organizzato da Stripes allo Spazio 27B di Legnano, abbiamo raccolto la testimonianza di un ragazzo di origine nigeriana, che nel 2024 ha vissuto in isolamento senza quasi mai uscire dalla sua stanza. Vive a Legnano e ha scelto un nome di fantasia, “Marimo”, personaggio di un anime, per tutelare la sua identità e raccontare la sua storia perché possa servire ad altri. L’8 settembre compierà 15 anni, ma non festeggerà. Non è ancora pronto, anche se la sua vita è già fortemente cambiata. Grazie all’aiuto dei servizi sociali e di una psicologa di Stripes, Muramasa è infatti riuscito a riavvicinarsi al mondo esterno e ha già un sogno nel cassetto. Di seguito l’intervista:
Cosa ti ha portato verso l’isolamento?
«Vivo a Legnano con mia mamma e le mie sorelle più grandi – racconta -. I miei genitori sono separati. Fin da bambino ho dovuto fare tante cose da solo: quando ho iniziato la scuola, lei ha dovuto rimettersi a studiare perché il diploma ottenuto in Nigeria non valeva in Italia. Nel nostro Paese di origine faceva l’insegnante di matematica, ed è stata lei a trasmettermi la passione per questa materia, che coltivo ancora oggi. Mi sono distaccato dalla mia famiglia e anche a scuola mi sentivo solo: se succedeva qualcosa, non lo raccontavo a casa, i miei familiari lo venivano a sapere dagli insegnanti. Ho imparato il rispetto dell’altro anche grazie alla mia fede – sono testimone di Geova e credo davvero che bisogna trattare gli altri come vorresti essere trattato – ma quando qualcuno mi respinge, io tendo ad allontanarmi. Ho tollerato questa situazione per un anno, poi sono stato bocciato. Nella nuova classe, finalmente, avevo trovato un po’ di serenità: avevo fatto amicizia con un ragazzo e ci trovavamo bene insieme. Questo periodo è durato poco: avevo combinato dei “casini” e mia madre decise di farmi cambiare scuola, sperando in un ambiente migliore. Purtroppo nella nuova scuola è andata peggio.»
Sono continuati gli insulti da parte dei compagni?
«La classe era molto superficiale, divisa in gruppetti: c’erano quelli “strani”, quelli un po’ “gamer” e quelli della classe sociale superiore. Anche se i voti erano buoni – 9 in matematica e arte, 10 in inglese – sul piano delle relazioni non funzionava. Io ero diventato amico di uno degli “strani”. Mi prendevano di mira quando andavo bene in educazione fisica, mi dicevano che era per il colore della mia pelle, perché ero nero, indicavano le mie costole e dicevano che ero malnutrito come i bambini in Africa. Mi deridevano anche perchè ero pacifista, non reagivo alle provocazioni, Dopo un’estate difficile, ho comunque iniziato la terza media, ma dopo una “mezza lotta” con un compagno non ho più voluto andare a scuola.»
Com’è stato vivere questo anno in isolamento? Cosa hai provato?
«Il mio ritiro è legato anche ai problemi in famiglia. Ho saltato una settimana di scuola, dopo la lite, poi ho detto a mia mamma che stavo male e ho saltato altri giorni, e altri ancora: dopo sei mesi di assenza anche mia mamma si è arresa, non sapeva più cosa dirmi. Stavo sempre chiuso in casa. O ero a letto a pensare e rimpiangere tutto, oppure giocavo ai videogiochi con un amico. Non era fuggire dalla realtà, ma un distacco. Mi rendevo conto di come la dopamina saliva mentre giocavo e poi calava subito dopo, lasciandomi svuotato. Il mio amico non sapeva che avevo smesso di andare a scuola: lo ha scoperto solo a gennaio e ha provato ad aiutarmi. Ma a mia madre quell’amico non piaceva e voleva che frequentassi altri ragazzi.»
Dove hai trovato la forza per uscire da questa situazione?
«Ho toccato il fondo quando, in un momento difficile, ho attaccato i miei familiari. Non ne vado fiero, ma è successo. Quel giorno è arrivata l’ambulanza e con lei l’assistente sociale, Laura Ferioli, che mi ha preso in carico. È stata lei a farmi capire che avevo bisogno di aiuto. Dopo quell’episodio ho iniziato un percorso con la psicologa Laura Rizzuto di Stripes nell’ambito di Segmenti Consapevoli. All’inizio ci sentivamo online, poi in studio. Ho iniziato a uscire a camminare, prima da solo. Quest’anno mi sono iscritto al CPIA (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti) per riprendere a studiare.»
Cosa vorrai fare in futuro?
«Ne parliamo spesso con Laura, mi piacerebbe diventare programmatore».
Il fenomeno di hikikomori raccontato a Legnano, con “Segmenti Consapevoli” seguiti 67 ragazzi
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