Guerra a Gaza, la riflessione di un docente del Torno: “Lo sport ha dimenticato il suo ruolo educativo”
La riflessione di Mattia Zulian, docente dell’IISS Torno ed ex allenatore, sul silenzio del mondo sportivo durante la giornata di mobilitazione per la pace

Lo sport ha continuato la sua corsa anche venerdì 3 ottobre, mentre mezza Italia si è fermata per riflettere sulla pace e il conflitto a Gaza. Per Mattia Zulian, docente dell’IISS Torno di Castano Primo ed ex allenatore di pallavolo, ciò significa che il mondo sportivo ha rinunciato al suo ruolo educativo. Si tratta di un pensiero che Zulian ha voluto condivide con i lettori di LegnanoNews nato dal confronto con studenti ed ex colleghi. Secondo il lettore per molti giovani, lo sport rappresenta ben più di un’attività fisica. È scuola di vita, palestra di valori, uno spazio dove si imparano disciplina, sacrificio e gestione delle sconfitte. «Quando il mondo si ferma, anche lo sport dovrebbe dimostrare di saper educare. Invece, nel giorno in cui si è discusso della guerra in scuole, famiglie e spazi pubblici, i campi da gioco e le palestre sono rimasti in silenzio. Quanti giovani hanno avuto stimoli per parlarne a scuola o in famiglia? Molti. Ma quanti ne hanno discusso in palestra o su un campo da gioco? Pochissimi». Per il docente il mondo sportivo ha perso un’occasione per essere guida e punto di riferimento. Perchè quando lo sport smette di essere luogo di crescita rischia di divenire fine a se stesso.
Di seguito pubblichiamo e riceviamo la riflessione firmata dal prof Zulian
“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.” Nella vita di un giovane lo sport può rappresentare molto più di una semplice attività fisica: è disciplina, metodo, sacrificio. Aiuta a gestire la vita quotidiana, può far godere di vittoria, può insegnare ad accettare la sconfitta. Lo sport è una scuola di vita dove ogni atleta riconosce ogni giorno i valori che mette in pratica. Eppure, venerdì 3 ottobre con mezza Italia bloccata lo sport ha continuato la sua corsa e non è riuscito né a fermarsi né a concedersi un momento di riflessione. Quanti giovani sportivi hanno ricevuto stimoli rispetto alla situazione palestinese-israeliana a scuola, a casa o tra amici? Quanti ne hanno parlato in un contesto sportivo, grazie ad un allenamento in palestra con la squadra, in un campo da calcio o atletica?Dalla mia esperienza sportiva e scolastica posso assicurarvi che se da una parte, nell’ambiente familiare e scolastico, se ne è discusso moltissimo, dall’altro, in quello sportivo, l’argomento è stato trattato in rarissimi casi. Perché?Per molti motivi immagino; dalle federazioni di ogni sport italiano che non hanno preso alcuna posizione, fino alle società sportive, dalle più piccole alle più grandi che quel giorno non si sono fermate e hanno praticato la propria attività senza neanche porre l’attenzione a quello che sta succedendo nel mondo. Ed è qui che cresce la delusione: dove lo sport si proclama come educatore per i giovani, ha scelto di non educare, di non prendere posizione per quello che riguarda tutti noi. Non si tratta di imporre un pensiero, ciò che è giusto o sbagliato è una convinzione che cresce ogni giorno, cambia e matura in ogni persona diversamente. L’educatore è di per sé divisivo, usciamo da questa falsa narrativa dove non si deve prendere una parte, deve per ruolo far comprendere le proprie idee ragionate attraverso pensiero di riflessione, studio e condivisione, per permettere la formazione del pensiero critico attraverso qualsiasi materia, scolastica o sportiva. Sarà ragionamento dello studente o in questo dello sportivo comprendere se quelle idee siano giuste o sbagliate.Dante collocava gli ignavi, coloro che non hanno preso posizione nella loro vita, all’inferno, punti da vespe e mosconi per l’eternità: la nostra storia letterale ci insegna che non prendersi la responsabilità di esprimere le proprie idee è accordarsi per un biglietto di sola andata verso quell’inferno dantesco che ha dato le fondamenta alla nostra cultura. Per ogni persona esiste un giusto ed esiste uno sbagliato ma un educatore deve prendersi la responsabilità di far comprendere le proprie idee per creare e stimolare il pensiero critico. Sarà la crescita e la maturazione che renderà unico e indistruttibile chi elaborerà quei pensieri e alla fine di tutto ciascuno risponderà delle proprie azioni sviluppate grazie alla propria ricca e piena coscienza. Quanti sono gli allenatori, dirigenti o facente parte di uno staff di una squadra, che con la guerra in corso si sono presi la responsabilità di non andare agli allenamenti o di divulgare le proprie idee? Ve lo dico io, pochissimi. Se qualcuno legge e ha provato a dare la propria opinione vi ringrazio. Siete rari.Se lo sport è fondamentale nella crescita di un ragazzo allora è necessario che si discuta anche di quello che accade nel mondo. Lo sport che si insegna è un mezzo, se si limita l’insegnamento al gesto tecnico perde il suo valore educativo e diventa una parte della vita del ragazzo facilmente sostituibile. Gli allenatori chi sono? Tecnici o educatori? Basta scegliere con coerenza cosa si vuole essere. È una scelta che richiede consapevolezza e coerenza, oggi lo sport sembra non averla fatto, ha rinunciato al proprio ruolo educativo. Lo sport oggi si è dimostrato spettatore distratto del mondo reale; continua a credere di essere intoccabile e senza parti, fondato da valori che ha tradito per non esporsi. Si definisce fondamentale ma non si confronta con quello che oggi è il mondo. Lo sport, in Italia, oggi ha perso e si è reso sostituibile diventando qualcosa di simile e uguale a tutto il resto.
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