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FRANCO TOSI: LA MANIFESTAZIONE DELL’ANPI

Dopo il corteo per le vie della città, al cimitero monumentale, la commemorazione da parte dell'Anpi...

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Franco Tosi: cerimonia Anpi 2014 4 di 13

Dopo il corteo per le vie della città, con la presenza anche di Maurizio Landini segretario generale della Fiom, al cimitero monumentale si  svolta la commemorazione a cura dell'Anpi Legnano


L'INTERVENTO DI LUIGI BOTTA AL CIMITERO DI LEGNANO

E’ per me motivo di sincera commozione ricordare anche quest’anno, a nome dell’ANPI, i lavoratori della Franco Tosi che in quel lontano giorno di gennaio lasciarono questa nostra Legnano per un viaggio senza più ritorno.
Ed è con deferenza che saluto le autorità, civili e militari, che oggi hanno presenziato alla manifestazione e con loro ringrazio le rappresentanze sindacali, le associazioni, i rappresentanti dei partiti politici, tutti uniti per un atto di omaggio e di impegno civile.
Un grazie alle forze dell’ordine, alla polizia locale, che col loro lavoro permettono a tutti noi di svolgere in serenità questa nostra commemorazione.
Un saluto fraterno l’ANPI lo rivolge ai lavoratori della Franco Tosi, con l’augurio che l’anno appena iniziato porti l’auspicata soluzione positiva alla difficile situazione della loro azienda. 
Un abbraccio a Candido Poli, ultimo legnanese superstite dei campi di sterminio (Mauthausen, Dachau, Bernau) . Gli anni e la malattia  privano tutti noi della sua presenza.

In questi giorni a Roma vengono poste altre 15 Stolpensteine, che noi chiamiamo “pietre d’inciampo”. Si tratta di piccole lapidi ( ormai oltre 200 a Roma e più di 30.000 in Europa) che, fissate nei marciapiedi, portano inciso “ qui abitava…” il nome della persona, la data di deportazione, il luogo, la data della morte.
Si chiamano “d’inciampo” perché chi cammina è indotto a leggerle, a riflettere, a fare memoria di ciò che è stato.
Anche noi come ANPI quest’anno offriremo una nostra Stolpenstein, un libro che racchiude i nomi, i dati, e, per quanto è stato possibile, le biografie, le fotografie degli oltre 120 deportati dell’ Altomilanese. E’ il frutto di quasi due anni di ricerche condotte da una trentina tra docenti e studenti delle nostre scuole, coordinate dal prof. Giancarlo Restelli. Il libro verrà dato gratuitamente ai comuni interessati, alle scuole, alle biblioteche, alle associazioni.

“Chi muore lontano dalla propria terra muore due volte” Queste parole che Dostojevski mette sulle labbra di Dimitrij Fiòdorovic nel suo romanzo “ I fratelli Karamàzov” assumono un tragico, nostalgico significato se accostate alla sorte toccata a questi nostri compagni lavoratori che oggi abbiamo ricordato.
In una fredda mattina del primo 800, il Foscolo contemplava le tombe che in Santa Croce a Firenze racchiudono le spoglie di italiani illustri. Ed il suo animo di poeta, in una immaginaria corrispondenza con l’amico Ippolito Pindemonte, così si esprimeva: “… a egregie cose l’animo accendono l’urne dei forti e bella e santa fanno al peregrin la terra che li ricetta…”
Proiettati di secoli avanti nel tempo, anche noi oggi ci soffermiamo riverenti dinnanzi a queste lapidi che si ergono da un fazzoletto di terra benedetta. Ed anche nel nostro animo sorgono alti sentimenti di rispetto e riconoscenza per questi  morti che la barbarie nazifascista privò del diritto all’esistenza.
Come tutti noi essi amavano la vita, sognavano il loro futuro circondati dai più sacri affetti, in una Italia finalmente in pace, dove la giustizia, la democrazia, la solidarietà e, soprattutto, la libertà sarebbero state patrimonio comune.
Ma qualcuno pose un NO a queste loro speranze di menti libere e più non tornarono dai campi di sterminio nazisti. Non erano eroi questi nostri lavoratori, ma lo sono diventati loro malgrado.  Dietro alle loro splendide figure i terribili nomi di Mauthausen, Dachau, Flossenburg, Ebensee, Gusen, Bruex, Zschachwitz. 
In questi campi, estremo limite dell’orrore, un apparato scientifico di repressione e di morte doveva distruggere, dopo averle ridotte ad ombre di vita, milioni di persone.  Lavoratori, sindacalisti, partigiani, militari, sacerdoti, oppositori politici, ebrei, Testimoni di Geova, zingari, omosessuali, donne e bambini, disabili e mendicanti sono state le vittime sacrificali in olocausto alle aberranti dottrine del nazismo e del fascismo. Olocausto: questa terrificante parola che deriva dal greco antico olokàuston e che letteralmente significa completamente bruciato, avvolge come un sudario pietoso le ceneri di questi nostri lavoratori, sotterrate o sparse in una terra straniera.

Se noi togliessimo ora da questo campo le lapidi che recano alla memoria i volti ed i nomi dei nostri deportati, troveremmo solo avelli vuoti, non le loro ossa che mani pietose potrebbero consegnare al culto delle genti.   I loro nomi sono oggi risuonati sotto le arcate della Franco Tosi , la loro fabbrica; i loro nomi noi non li dimentichiamo perché custoditi nelle nostre menti. E non dimentichiamo quel passato poichè, come ha scritto Seneca, “chi dimentica il passato non vive appieno il presente e non ha sguardo nel futuro”.    

E noi non possiamo dimenticare che il fascismo italiano ebbe gravi responsabilità in tutto questo con le leggi razziali del 1938, col suo regime di dittatura, con la repubblica delle brigate nere  che operarono in prima linea con rastrellamenti, delazioni e rappresaglie a sostegno dell’occupante nazista.  

Ricordando il sacrificio di coloro che oggi onoriamo noi intendiamo rendere omaggio al loro credo. Erano lavoratori, antifascisti , sindacalisti. E l’influenza che il mondo operaio e la realtà della fabbrica ha avuto su di loro li ha portati a quella passione inestinguibile per la libertà, che hanno pagato con il durissimo prezzo del sacrificio della propria vita. Sono stati il mondo del lavoro ed il sindacato a forgiare il loro carattere, rappresentando le speranze, gli ideali e la voglia di lottare proprie della classe operaia.

Erano consapevoli che lottando contro il fascismo, contro un regime totalitario, per la libertà di tutti, si ponevano le basi di una nuova società, dove la tutela dei diritti dei lavoratori e la tutela sociale dei cittadini avrebbero alla fine avuto il dovuto riconoscimento.   Sono stati dalla parte giusta.

I caduti che oggi ricordiamo erano antifascisti. E noi siamo con loro nella pienezza del significato di questa parola.
Si è antifascisti quando si rispetta “l’altro” , quando se ne riconosce la legittimità nell’atto stesso di contrastarlo, quando non si pretende di assimilarlo, di ridurre cioè il suo pensiero, la sua identità al nostro pensiero, alla nostra identità.
L’antifascismo è l’ansia di intervenire contro l’ingiustizia, piccola o grande che sia,  di intervenire contro ogni minaccia di libertà; è pluralismo politico e sociale, legittimazione delle differenze; è la democrazia come partecipazione e non solo come garanzia per tutti.

Si legge che il carismatico monaco Grigorij Rasputin ( o Raspùtin come dicono i russi) consigliere dei Romanov , raccontava un giorno allo zarevic Alessio la vita del proprio padre Efim, contadino siberiano. Ad un certo punto fu interrotto dal giovane che lo invitava a pregare. “ Ma far rivivere  gli ideali di un uomo non vale forse una preghiera? “ rispose il monaco.

Nel ricordare questi nostri scomparsi noi abbiamo elevato una preghiera, una preghiera laica che chiede per la nostra Italia che non le vengano mai tolti i beni della libertà e della democrazia per i quali questi nostri compagni lavoratori sacrificarono la loro esistenza. Noi siamo qui per questo.
Nella liturgia greco-bizantina nella giornata del “grande venerdì” che corrisponde al nostro venerdì santo, nel momento in cui si sancisce la morte del Cristo uomo e lo si pone all’interno dell’epitàfion, il celebrante ripete per tre volte l’invocazione “ Aghios athànatos “ . Il morto è chiamato immortale.
Invocazione questa che può essere considerata una contraddizione di termini. Ma non è così per la funzione ed il significato di una morte quando questa viene ad assumere per i vivi l’effetto di assimilazione di quei valori per difendere i quali la morte stessa ne è stata conseguenza.
Così per i nostri deportati che oggi abbiamo ricordato. Sono morti, ma sono e li sentiamo vivi in mezzo a noi perché non è peritura l’eredità che ci hanno lasciata e che abbiamo fatta nostra. Un’eredità di valori. Questi valori noi li vogliamo custodire immutati, li ritroviamo scolpiti nella nostra Costituzione repubblicana, nata dalla lotta di liberazione dal fascismo e che ci impegniamo a trasmettere a coloro che la vita ci ha messo accanto nelle generazioni successive alla nostra.
Nelle case dell’antica Roma un angolo era riservato agli dei Mani, lo spirito di coloro che li avevano preceduti. Sotto una piccola ara la scritta: “Sacre siano le promesse allo spirito dei morti” (deorum manium iura sancta sunto) .

Sacro sentiamo l’impegno che prendiamo dinnanzi a queste tombe. E’ un impegno solenne che noi rinnoviamo qui, in questo luogo di memorie affinchè sui nostri compagni deportati aleggi la certezza che il loro sacrificio non sia stato vano.

Luigi Botta – Presidente ANPI Legnano

Redazione
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Pubblicato il 10 Gennaio 2014
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