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Bullismo, impariamo ad ascoltare ciò che i ragazzi non dicono

Gentili dottoresse mi chiamo Chiara e sono la mamma di un ragazzo di 14 anni. Vi scrivo perché qualche settimana fa sono stata contattata dalle insegnanti di mio figlio che frequenta il primo anno di un Istituto Superiore perché si sono verificati alcuni episodi spiacevoli tra i compagni di classe. I professori hanno parlato di bullismo e per me è stato un vero shock scoprire che anche mio figlio è stato l’artefice di comportamenti scorretti e offensivi nei confronti di alcuni suoi compagni. Io e mio marito siamo rimasti “di sasso” e ci sentiamo in difficoltà perché non sappiamo se si tratta di una ragazzata o se è il caso di indagare più a fondo. Ci potete dare qualche consiglio? Grazie mille

Chiara

Gentile Chiara,

Credo che come in tutte le questioni della vita in particolar modo quando ci troviamo nel ruolo di educatori sia sempre necessario non solo giudicare ma provare a capire che cosa si cela dietro a comportamenti ed episodi che riguardano i nostri figli, ancor più quando questi non sono assolutamente attesi

In primis dovremmo chiederci perché alcuni ragazzi mettono in atto atteggiamenti di sopraffazione e di intimidazione nei confronti di altri ma anche perché altrettanti ne subiscono le prepotenze senza tentare di ribellarsi. Il senso di impotenza, difatti, spesso non consente a molti studenti bullizzati di trovare modalità difensive adeguate o di ricercare l’appoggio e l’aiuto dell’adulto.

Riflettere sulle dinamiche legate a questo fenomeno giovanile che, in questi ultimi anni, preoccupa sempre più genitori ed educatori della Scuola, non significa solo pensare in maniera statica alla presenza di una vittima e di un carnefice, ma significa riflettere su una condizione dinamica in cui si hanno un bullo, una vittima e osservatori che stanno a guardare, in silenzio. Tanto più che oggi il fenomeno del bullismo non si manifesta solo attraverso un attacco diretto, sia esso fisico o verbale ma è sempre più diffusa la forma del cyber-bullismo messo in atto attraverso la trasmissione elettronica di minacce di varia entità, perpetrato attraverso l’utilizzo di e-mail, chat, blog e messaggi telefonici. Questa modalità rischia di assumere risvolti più dannosi poiché è meno visibile agli adulti e quindi non permette di poter intervenire nei tempi giusti.

Questo ci induce a pensare che siamo di fronte ad un fenomeno di tipo sociale e relazionale in quanto esprime una difficoltà di comunicazione e di gestione dei conflitti tra i giovani.

Ma chi si nasconde in realtà dietro al bullo? Il bullo è colui che esercita un forte potere psicologico sui compagni attraverso la violenza e l’arroganza e atteggiamenti di sopraffazione e prevaricazione dell’altro. Ma questo è ciò che si rivela in apparenza. In realtà, a uno sguardo più attento, il bullo esprime attraverso i suoi comportamenti, la propria incapacità di intrattenere con gli altri una relazione sana e adeguata. È un ragazzo fragile e bisognoso di attenzioni e proprio a causa delle sue difficoltà relazionali, non sempre viene accettato dal gruppo e dal contesto in cui si trova. Ed è proprio questa solitudine che lo induce a mettere in atto comportamenti che possano renderlo il più possibile visibile. È un ragazzo fragile e insicuro, bisognoso di definire e difendere la propria identità. Quindi quell’apparente forza e sicurezza di sé in realtà cela una profonda viltà che lo porta ad attaccare i soggetti più deboli ed indifesi che diventano così le sue vittime.

La bassa autostima, la scarsa empatia e una grossa difficoltà comunicativa non gli permettono di potersi integrare attraverso una socializzazione sana e cooperativa. Al bullo non rimane così che la prevaricazione per rendersi visibile e assumere un’identità, seppur connotata negativamente.

La grande difficoltà dei ragazzini prepotenti e spesso aggressivi sta quindi nella fatica a gestire la propria emotività e questo si trasforma in una difficoltà di ordine relazionale. Perché la relazione per essere tale, ci obbliga al confronto, all’ascolto dell’altro; richiede la capacità di vedere chi sta di fronte a noi e di sapersi sintonizzare sui suoi bisogni. I ragazzi che faticano a gestire le proprie emozioni difficilmente possono capire quelle altrui. È facile allora comprendere quanto poco possa essere registrata e sentita empaticamente la sofferenza che viene imposta all’altro. Il bisogno del bullo di manifestare la propria presenza e quindi di trovare un’identità sociale diviene più forte del rispetto dei diritti altrui.

Immagino, Chiara, che probabilmente le mie parole non hanno sciolto le sue preoccupazioni, anzi forse le hanno esacerbate, ma credo sia necessario comprendere quanto chi si comporta da bullo non vada solo punito ed emarginato, perché prendere le distanze dal problema rischia di non rispondere alla domanda di aiuto di quei ragazzi che attraverso i loro atteggiamenti mettono in scena il disagio emotivo e la fatica quotidiana di riuscire a trovare un riconoscimento sociale e un senso di appartenenza che sappiamo essere  fondamentale per un adolescente.

Insegnanti e genitori dovrebbero attivarsi per capire e comprendere le difficoltà espresse dal bullo, ma non solo: anche le vittime dei bulli che dovrebbero comprendere quali fatiche emotive e relazionali li inducono a permanere spesso e troppo a lungo in una condizione di impotenza. Capita di frequente a chi è vittima di chiudersi ed isolarsi sempre di più, ricercando in sé i motivi del rifiuto dell’altro, mettendo ancor di più a rischio la propria autostima e sviluppando in alcuni casi una profonda avversione per la scuola, vissuta come un luogo di paura da evitare.

Credo allora, Chiara, che questa potrebbe essere per voi genitori un’occasione per capire insieme a vostro figlio, qual è il disagio che lo attraversa, cominciando proprio a parlarne in casa, tra di voi, mostrandogli così un modello di buona comunicazione dove l’altro, in questo caso, vostro figlio, faccia esperienza di un ascolto empatico e interessato alla sua sofferenza e al suo disagio. 

 

dott.ssa Silvia Facchetti, piscologa e psicoterapeuta

 

Studio di Psicologia dott.sse Basilico, Facchetti, Munaro

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Pubblicato il 20 Gennaio 2018
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