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“AMORE, DOBBIAMO PARLARE”. LA COMUNICAZIONE E LA COPPIA: SCELTE SANE SCELTE PATOLOGICHE

Nella terapia di coppia, capita spesso che due coniugi si presentino con una affermazione che rende, dal loro punto di vista, ragione del problema: “non parliamo più”, “non ci si capisce più bene come prima”, “c'è qualcosa che non va nella nostra comunicazione”. E ancora: “non ci diciamo più niente, quando parliamo è per litigare”.

Ovviamente ogni coppia porta con sé un vissuto differente e dietro ad affermazioni analoghe si celano storie molto differenti. Nonostante ciò l'argomento è di interesse comune: quanto deve comunicare una coppia, per stare bene? Preferisco ridefinire la domanda: che cosa contraddistingue la comunicazione nella coppia?

Due termini quindi, comunicazione e coppia. L'etimologia di entrambi sembra mostrare una certa comunanza. “Comunicare” è letteralmente “mettere in comune”, “condividere”. Non manca chi ha messo in evidenza l'influenza dal greco “Koinonia” ovvero “comunione”. Già in questo sembra implicito il richiamo al legame che comunicare crea, ovvero il sottintendere della comunicazione alla relazione, a una condivisione (o comunione) di significati e oltre: relazione ha nella sua etimologia latina tanto“refero” quanto “religo” ovvero “legare” attraverso un'attribuzione di ordine, una legge (legatum), un patto.

Si può dedurre che sia comunicazione che relazione hanno alla base, il concetto di reciprocità. Il terreno comune tra “comunicazione” e “coppia” è evidente proprio in questo: “coppia” differisce da “paio” non nel numero delle persone implicate ma nella relazione che sottende, ovvero al riferirsi del termine “coppia” a un legame, una relazione tra i due membri, un qualcosa che li accomuna, un consenso. Allora, la soluzione sembra venire da sé: una coppia sufficientemente buona comunica altrettanto bene, in virtù della relazione stabile sottostante.

Quali sarebbero le regole di una buona comunicazione? Dovrebbe innanzitutto essere chiara nella definizione di ruoli, regole e messaggi. Ogni coppia dovrebbe, attraverso questa chiarezza, raggiungere un accordo su come esprimere in modo reciproco affetto e cura, e soprattutto interesse. Tutto ciò è possibile se e solo se il dialogo è libero da fraintendimenti e ambiguità se ci si permette la possibilità di dire quanto si sente nella certezza che l'altro accoglierà e che ciò sia reciproco. Questo non significa che non possano esistere incomprensioni, ma che ci sarà buona capacità di riparare.

Quindi una buona comunicazione permette di esprimere liberamente sé e di riconoscere l'espressione dell'altro come persona. Comunicare prevede un'alternanza di parola e ascolto; entrambi i movimenti prevedono l'altro. Ovvero devo prevedere che chi comunica con me ha i propri spazi e tempi per parlare e io accetterò tutto ciò, sapendo che avverrà altrettanto per me. Una buona comunicazione tra due coniugi prevede che si faccia meno uso possibile dell'accusa, della colpevolizzazione, della critica, del potere, aspetto questo condiviso piuttosto che utilizzato unilateralmente da uno dei due membri.

Se terminassi qui il mio articolo una percentuale molto alta di coppie rientrerebbe nella categoria dei cattivi comunicatori; quanto prevede la teoria non sempre si avvicina a quanto succede realmente nella vita di tutti i giorni.

Quando due persone decidono di condividere la vita lo fanno in modo perlopiù proprio, specifico, ne deriva che un “a priori” di quanto e come due partner debbano parlare potrebbe essere un concetto poco funzionale. Se torno all'affermazione iniziale con cui diverse coppie si affacciano alla realtà della clinica (non ci parliamo più, non ci capiamo più …) la differenza è posta dalla coppia come metro valutativo di se stessa. Ovvero è presente un prima, in cui parlare aveva certe caratteristiche, e un dopo in cui ciò accade in modo diverso.

Le differenze sono tanto in termini qualitativi (di cosa si parla meno, che caratteristiche ha il dialogo ora rispetto a prima …) che quantitativi. E nemmeno è detto che entrambi i partner abbiano identici punti di vista e reazioni: uno dei due cerca comunque di parlare? E l'altro? Uno dei due risente maggiormente della mancanza di comunicazione? Come viene manifestato ciò?

La svolta interverrebbe, allora, quando sia percepibile, per almeno uno dei due, l'insoddisfazione rispetto a un momento precedente, una variazione nella sostanza (non si parla come prima) o nei suoi effetti (è sempre stato un po' così ma, dopo così tanto tempo, accetto di meno). In più la coppia non è un'entità statica.

Nelle prime fasi della relazione le differenze dell'altro vengono appiattite, l'altro è totalizzante. Comprendersi appare semplice, si parla molto e il dialogo rafforza l'unione fusionale di due persone fino ad allora estranee. Eppure l'altro è un individuo, con una propria specificità, ma è come se ciò non fosse percepibile; è tale la motivazione che ci spinge verso l'altro che venga questi idealizzato, così come vengano accettate le spinte idealizzanti del partner (tale fenomeno relazionale viene chiamato anche collusione). Nessuna coppia sana potrebbe vivere in una eterna collusione, i due partner emergeranno per quello che sono e dovranno imparare ad accettare che l'altro abbia una sua individualità, magari differente da quanto si pensasse all'esordio.

Dovranno imparare che l'altro è e resterà sempre in parte ignoto, la soluzione ottimale è essere due persone che stanno bene insieme, ma sono in grado di stare bene anche da sole. Ma è a contatto con la differenza dell'altro che si pongono le basi per la crescita personale e come coppia. Per una coppia matura è bene ci si confidi molto, si sia complici, ma anche tollerare che alcune cose non vengano dette affatto. È vero che tenere per sé dei segreti all'interno della coppia può essere una manovra di potere che un partner può giocare nel rapporto, soprattutto se è evidente anche all'altro che un segreto c'é, ma il suo contenuto è celato. Una relazione extraconiugale ne è un esempio, ma se ne troverebbero altri a centinaia.

È altrettanto vero che chiedere all'altro di raccontarmi tutto, di non nascondermi proprio nulla, è anch'essa una manovra di potere, giocata attraverso il controllo dell'altro. È quello che accadrebbe, in un ipotetico esempio, se un marito chiedesse alla moglie di essere reso partecipe delle confidenze tra di lei e un'amica. Eserciterebbe attraverso il controllo il suo potere verso l'altra.

Credo quindi che al di là delle buone capacità comunicative sia importante, per una coppia matura, tollerare il confine che l'altro potrebbe mettere, sopportare che possa essere diverso da me e che in parte resti ignoto. È inevitabile che il dialogo si apra a due dimensioni in opposizione polare: fiducia e tradimento. Ma di questo ne parleremo prossimamente…

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Dott. Stefano Landoni

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Pubblicato il 05 Marzo 2012
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