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Aspettando il 25 aprile: medici e infermieri nella Resistenza

In questi drammatici giorni di emergenza sanitaria, va a medici e personale sanitario tutta la nostra riconoscenza e solidarietà, e oggi ne vogliamo ricordare il ruolo svolto durante la Resistenza

In questi drammatici giorni di emergenza sanitaria, caratterizzata dal grandissimo lavoro svolto da medici e personale sanitario, anche a prezzo della propria vita, ai quali va tutta la nostra riconoscenza e solidarietà, vogliamo ricordarne il ruolo svolto durante la Resistenza.

A Legnano il 21 giugno 1944 alla Mazzafamecirca 300 fascisti delle Brigate Nere e della Pai sono piombati su di una quindicina di partigiani della 101^ Brigata Garibaldi GAP, i partigiani che vivevano in clandestinità e si occupavano delle azioni più  rischiose. Il loro comandante Samuele Turconi è stato ferito molto gravemente, catturato e ricoverato all’ospedale di Busto Arsizio. Il prof. Santeried il prof. Solero sono riusciti, operandolo d’urgenza, a salvargli la vita. Ma non si sono limitati a questo.

Mentre Samuele era in ospedale, il 27 giugno, due ragazzi, Dino Garavagliae Renzo Vignati, erano rimasti feriti gravemente in uno scontro al ponte della ferrovia di S. Bernardino, durante un tentativo di disarmo nei confronti di una consistente pattuglia fascista e, ricoverati all’ospedale di Legnano, erano morti. Dino aveva diciotto anni, Renzo diciannove.

I fascisti volevano portar via subito i cadaveri ma il primario, dott. Lorenzo Piccione, che collaborava con la Resistenza, si è opposto fermamente: “No! Qui si fanno le esequie! Qui è casa mia!” Il giorno dei funerali, il 4 luglio, in un clima di forte tensione, i fascisti avevano permesso le esequie pretendendo che però si svolgessero in forma del tutto privata. Invece c’era una gran folla con tante corone di fiori. Don Francesco Cavallini, coadiutore della chiesa dei SS. Martiri, aveva fatto appena in tempo ad impartire la benedizione che i fascisti presero le bare e stavano per portarle via. Don Francesco si è imposto: “Questi ragazzi li ho battezzati in chiesa e in chiesa devono venire!” Allora in otto o dieci si sono parati davanti ai fascisti, hanno preso le bare in spalla e le hanno portate dentro la chiesa. All’uscita hanno trovato i fascisti con le mitragliatrici posizionate sul piazzale: don Francesco si è messo davanti, ha fatto uscire le donne e poi si è incamminato con tutta la popolazione verso il cimitero, guardati a vista dai fascisti armati.

Per quel giorno don Cavallini l’ebbe vinta, qualche tempo dopo però fu arrestato e condotto nel carcere di San Vittore a Milano, dove rimarrà fino alla Liberazione. Il 25 aprile 2014 lo abbiamo ricordato con una lapide posta al campo dei partigiani del nostro cimitero.

Il 13 luglio all’ospedale di Busto si presentò il capitano delle Brigate Nere Montagnoli per annunciare a Samuele Turconi che l’indomani sarebbe stato fucilato in piazza Santa Maria a Busto. I medici Solero e Santeri avvisarono i partigiani legnanesi. Piera Pattani si presentò in ospedale fingendo di essere la fidanzata di Samuele e gli si gettò al collo passandogli in bocca un bussolotto. I fascisti che lo stavano piantonando percossero ferocemente Piera col moschetto e la trascinarono fuori per i capelli. Ma la sua missione era compiuta. Samuele si trovò in bocca un biglietto: “tentiamo alle 10”. E alle 10 un commando armato di cui facevano parte Guido e Mauro Venegoni fece irruzione nella stanza e portò via Samuele, legandolo a due cuscini per evitargli emorragie dalle ferite non ancora rimarginate e ponendolo sulla bicicletta di Guido. Samuele venne portato a casa di Angela Allogisi dove rimase per una decina di giorni e le cure mediche quella notte e i giorni successivi gliele fece il dott. Ezio Tornadù, titolare della Farmacia della Stazione.

Angela Allogisi ha aiutato, curato ed ospitato tantissimi partigiani e la sua generosità è stata ricordata anche con il bassorilievo sulla tomba di famiglia. Il dott. Tornadù oltre a curare partigiani feriti e malati fornì aiuti materiali, bende, medicinali, unguenti, cicatrizzanti, disinfettanti per i partigiani di città e per quelli di montagna, tramite staffette che portavano il materiale medico al ponte di Marnate, all’imbocco della Valle Olona, dove si faceva trovare qualche partigiano delle formazioni di montagna. Anche il dott. Tornadù è stato ricordato sulla lapide al cimitero.

Dopo l’esperienza di Samuele, Piera ha aggiunto un ruolo ai tanti che già aveva nella Resistenza: si fingeva fidanzata di partigiani ricoverati in ospedale per poterli avvicinare a dare loro le informazioni su come si erano accordati con medici e infermieri per la fuga.

A fine novembre 1944 Piera è andata in missione all’ospedale di Legnano. Il comandante partigiano Francesco Marcer era stato catturato in piazza Redentore insieme al comandante Giuseppe Rossato, portati nelle carceri di San Martino e malmenati, percossi e torturati. Giuseppe venne poi inviato a Milano al carcere di San Vittore e fucilato al Campo Giuriati il 14 gennaio 1945. Francesco invece era di costituzione più gracile, con le percosse si sentì male e venne ricoverato all’ospedale legnanese. Piera lo ha informato del pianodi evasione: un infermiere lo avrebbe condotto a un bagno, uno senza sbarre di sicurezza, in cui aveva preventivamente nascosto delle lenzuola, con le quali Francesco si sarebbe calato a terra. E le suore a cena avevano generosamente offerto del vino alle due guardie che lo stavano piantonando: vino speciale, con sonnifero!Angela Allogisi ha poi ospitato e curato il partigiano.

Anche Carlo Lovati e la moglie Maria, sorella di Angela, hanno collaborato tanto alla Resistenza, pure ospitando e facendo curare i vari partigiani feriti sfruttando i contatti umani e professionali che aveva il capofamiglia, di professione ortopedico.

Lo stesso Arno Covini, quando è rimasto ferito, grazie all’interessamento dei Lovati è stato nascosto e ricoverato all’ospedale S. Maria di Busto Arsizio, diretta dal dott. Bertapelli, collaboratore dei partigiani.

Coraggio, generosità, altruismo, doti che hanno caratterizzato l’aiuto sanitario a Legnano anche cent’anni fa, al tempo della Grande Guerra quando sono stati allestiti due ospedali di guerra: presso l’istituto Barbara Melzi, allora noto come Casa Amigazzi, con medici e infermiere volontarie e presso la scuola elementare Carducci con altri medici e altre infermiere volontarie. Queste ragazze legnanesi alla fine del 1918 – inizi 19 dopo il turno in ospedale andavano nelle case a portare soccorso a chi aveva contratto l’influenza spagnola, una pandemia per alcuni versi simile al corona virus. E a loro portavano anche la spesa, perché potessero rimanere in casa, in quarantena.

Con lo stesso coraggio e generosità dei nostri medici e infermieri di oggi e di tutto il personale sanitario con le più diverse funzioni.

Un post su facebook, le parole di Isabella Rotondella, legnanese specializzanda in medicina e volontaria nell’inferno del covid: “Ieri. Oggi. Si vive di alti e bassi, di piccole gioie quotidiane, degli sguardi e dei piccoli gesti di gratitudine di chi ce la sta facendo … Le giornate sono scandite dai turni e dalle videochiamate, dalla voglia di tornare a casa e dalla paura di quello che possa causare un ritorno. Dai momenti in cui pensi che tutto tornerà alla normalità, ai momenti in cui pensi invece che nulla possa tornare come era prima, non tu dopo quello che hai visto … Una specializzanda, nel suo piccolo#nonsiamoeroi #nonsiamoinvincibilima ci mettiamo il cuore #stateacasa e non dimenticate quello che di buono stiamo imparando.

Un piccolo contributo, questo dell’ANPI legnanese, per ringraziare chi ci mette il cuore oggi come allora, durante la Resistenza . E per non dimenticare.

ANPI Legnano

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 20 Aprile 2020
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