Case rifugio per ricominciare: il racconto di chi a Legnano accompagna le donne fuori dalla violenza
Per capire meglio come funziona l’accoglienza e quali sono oggi le esigenze più urgenti, abbiamo incontrato la referente delle case rifugio, Costanza Bargellini dei Padri Somaschi
Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. È un momento per ricordare che uscire da una situazione di violenza è possibile, soprattutto quando sul territorio esistono servizi pronti a intervenire. A Legnano è attivo il centro Antiviolenza di Auser Filo Rosa che in nove mesi nel 2025 ha accolto e aiutate più di di 185 vittime. Sono inoltre presenti due case rifugio gestite da Fondazione Somaschi: Casa Anna e Casa Artemisia. Entrambe sono a indirizzo segreto e garantiscono protezione immediata e percorsi di supporto dedicati. In totale i posti sono quindici: sei a Casa Anna e nove a Casa Artemisia. Dal 2022, anno dell’attivazione delle strutture, all’ottobre 2025 sono state accolte 24 donne e 12 minori. Per capire meglio come funziona l’accoglienza e quali sono oggi le esigenze più urgenti, abbiamo incontrato la referente delle case rifugio, Costanza Bargellini dei Padri Somaschi, che ogni giorno è accanto alle vittime nei percorsi di protezione e rinascita
Costanza, cosa rappresentano Casa Anna e Casa Artemisia per le donne che fuggono dalla violenza e in che modo aiutano concretamente nella rinascita personale?
«Le case rifugio non sono uno spazio al quale devono accedere tutte le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza, perché – fortunatamente – esistono molte altre risorse che molte riescono a mobilitare. Le case rifugio diventano invece un’opportunità fondamentale per coloro che non hanno alternative. Sono le donne stesse, in autonomia, a scegliere di entrarci quando viene loro offerta la possibilità. Questi spazi permettono alle donne di tornare ad ascoltare se stesse dopo un periodo durissimo. Il primo passo è spesso la cura del proprio corpo: prendersi carico dei malesseri, leggeri o pesanti, che si portavano dentro, talvolta precedenti alle violenze, altre volte provocati proprio da esse. Poi c’è la riscoperta dei propri interessi, obiettivi e sogni. Per alcune significa frequentare la scuola d’italiano, per altre cercare un lavoro, prendere la patente o completare la terza media. Sono progetti diversi che si intrecciano, ma che richiedono di stabilire delle priorità, perché non tutto può essere affrontato subito. Le operatrici – insieme alla rete di servizi che gravita attorno alle case rifugio, dai centri antiviolenza ai servizi specialistici – affiancano la donna nel suo cammino, senza sostituirla. È questa la grande sfida quotidiana: essere presenti con discrezione, mantenendo sempre al centro la donna e il suo progetto, per quanto complesso possa essere. Quanto più efficace è il lavoro di rete, tanto più la donna può trovare la forza di accompagnarsi e lasciarsi accompagnare»
In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, qual è il messaggio che vorresti lanciare a chi vive o assiste a situazioni di violenza?
«Se ci sono dei figli, la prima cosa da sapere è che i ragazzi che arrivano nelle case rifugio a 15 anni dopo aver vissuto 15 anni di violenze difficilmente riescono a riprendersi, per loro tornare a sognare è davvero difficile. Per questo, il messaggio più importante è: se avete dei figli, andatevene via subito dalla violenza. E lo stesso vale per le donne che sono sole: allontanarsi il prima possibile è fondamentale. È essenziale sapere che esistono realtà pronte ad aiutare e affidarsi a chi se ne occupa, senza affrontare tutto da sole. Il centro antiviolenza ascolta e accompagna, ma non decide al posto delle donne: è la fiducia il primo passo. Un altro consiglio cruciale è evitare l’isolamento. L’isolamento è spesso creato dall’autore della violenza proprio per impedire alla donna di chiedere aiuto. Ma è anche ciò che non permette di ascoltarsi abbastanza da dire “no” alla violenza. Bisogna costruire reti e, soprattutto, mantenere quelle che già esistono: la famiglia, gli amici, le attività sportive e sociali. Sono queste relazioni che aiutano ad avere un orientamento, danno forza e permettono di vedere le possibilità di salvezza. Il messaggio quindi è: non permettete a nessuno di isolarvi. È dal legame con gli altri che può nascere la strada per la libertà. Il nostro, fortunatamente, è un territorio molto accogliente dove si possono costruire relazioni e sentirsi parte di una comunità».
Ricordiamo anche, come evidenziato nel corso della presentazione degli eventi contro la violenza sulle donne, che el 90% dei casi l’autore è il marito o compagno della vittima. Inoltre ricordiamo che Casa Anna porta il nome di Anna Kuliscioff, medico e attivista che alla fine dell’Ottocento lottò per i diritti delle donne e per l’estensione del voto femminile.
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