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Dantedì: Se i versi di Dante diventano un tweet

La nuova rifleissione, promossa dalla associazione Liceali Sempre, è a cura di Laura Ferè

legnano dante

Se i versi di Dante diventano un tweet
«[…] Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.»
[Inferno, canto III]
«[…] sanza ‘nfamia e sanza lodo.»
[Inferno, canto III]
«[…] non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»
[Inferno, canto III]
«[…] colui
che fece per viltade il gran rifiuto.»
[Inferno, canto III]
«[…] Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare»
[Inferno, canto III]

…Questa manciata di versi danteschi – estrapolati esclusivamente dal Canto III dell’Inferno – rappresenta
solo una piccola parte di una lunga lista entrata nel linguaggio comune di noi italiani.
Poco importa se chi cita uno qualunque dei suddetti versi sia o meno a conoscenza della terzina completa, del canto di appartenenza, del contesto nel quale il verso si colloca, del vero significato delle parole pronunciate, o se abbia mai letto la Commedia, anche solo in minima parte. Il verso in questione è lì, ben impresso nella mente di ognuno di noi, baluardo di lontanissimi studi e fortunatissimo sopravvissuto all’oblio in cui è inevitabilmente e drammaticamente caduta una infinita quantità di nozioni apprese in giovane età. Non sono forse anch’essi esempi, se pur ordinari, dell’immortalità della Divina Commedia? Dell’eternità dell’opera di Dante? Chi scrive ne è fermamente convinta. Uno scrittore forgia con le parole offertegli dalla propria lingua un’opera d’arte, cristallizzata dall’inchiostro impresso sulla carta. In pochi, pochissimi casi, l’opera creata ha una portata talmente dirompente da non poter essere contenuta in un libro, su uno scaffale, in una biblioteca. E allora l’opera si trasforma, prende vita: da capolavoro letterario noto ai pochi diventa patrimonio linguistico di tutti; la lingua stessa ne trae giovamento, si arricchisce di nuove espressioni e nuovi significati, in un’eterna evoluzione lessicale. [ndr: evoluzione che ha portato anche all’inserimento, nei vocabolari e nelle enciclopedie italiane, di parole come tronista, petaloso… (Evoluzione o involuzione? Ai posteri l’ardua sentenza… Così, giusto per rimanere in tema di citazioni abusate)]. Dante è immortale, Dante vive ogni volta che lo citiamo, lo parafrasiamo, lo virgolettiamo, forse anche ne abusiamo. A 700 anni dalla morte, Dante è ancora in vita nelle nostre menti e nel nostro linguaggio; e speriamo che qualcuno possa dire lo stesso tra altri 700 anni! Eppure… Queste riflessioni riportano alla mente un libro letto di recente (ndr: Il gatto che voleva salvare i libri), di uno scrittore giapponese (probabilmente non esiste autore più lontano da Dante, temporalmente e culturalmente), ricco di spunti molto interessanti. Tra le tante vicende raccontate, si narra di un pazzo bibliofilo che dedica la sua vita a ridurre ogni libro a pochissime parole – le più significative –, convinto che queste bastino ed avanzino per trasmettere il senso generale, senza far perdere tempo né annoiare – giammai! –. Ormai, dagli studenti di oggi anche i bigini della Bignami sono considerati tomi della Treccani! Ed ecco che un’opera come la Divina Commedia, con le sue 101.698 parole, corre pericolosamente il rischio di ridursi ad un tweet da 140 caratteri. Praticamente 1 terzina. Una. Su quasi 4.750. Un compito ingrato ma soprattutto insensato, del quale speriamo nessuno mai voglia farsi carico! È ormai giunto il momento di chiarire che chi scrive ha 33 anni, usa gli hashtag su Facebook, posta su Instagram, compra su Amazon, guarda su Youtube i video musicali e le conferenze di Alessandro Baricco, naviga su Google per trovare le ricette di cucina e scoprire da quante parole è formata la Divina Commedia. La quinta essenza dei Millennials, la generazione a cavallo tra due epoche, “tra color che son sospesi”.
Chi scrive però ricorda come fosse ieri l’emozione e la soddisfazione provate quando, da liceale, durante le indimenticabili lezioni del Prof. Genoni, ha finalmente capito il vero significato dell’inflazionatissimo verso “amor, ch’a nullo amato amar perdona” (ndr: quello di Dante, non quello di Jovanotti). Ecco, finché ci sarà una ragazzina che, leggendo un tweet dantesco, ne rimarrà incuriosita al punto da chiedere l’indomani al proprio professore «Prof, ma cosa significa “fatti non foste a viver come bruti?”»… Dante avrà vinto, avrà resistito al tempo e alla morte, financo alla banalizzazione ed inflazione dei suoi versi; resterà eterno ed immortale. [ndr: per inciso, ci accontentiamo anche di qualcuno che, incuriosito, si metta a googlare il sopracitato verso (in fin dei conti… il fine giustifica i mezzi)].
Laura Ferè, #licealesempre

DANTE PUNTATA 25

Redazione
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Pubblicato il 09 Settembre 2021
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