Quantcast

Economia e società nell’800: attorno alle fabbriche nasce la moderna Legnano

Gianni Borsa racconta come attorno alle "ingombranti" fabbriche, che hanno condizionato l'urbanistica della città, ha preso vita la "Legnano moderna".

Economia e società nell’800

Nel quinto approfondimento “Economia e società nell’800” Gianni Borsa racconta come attorno alle “ingombranti” fabbriche, che hanno condizionato l’urbanistica della città, ha preso vita la “Legnano moderna”. Gli studi storici sui primi sviluppi della lavorazione cotoniera a Legnano sono ancora piuttosto modesti (si potrebbe auspicare l’istituzione di borse di studi o premi agli studenti che volessero dedicare tesi di laurea sulla materia?). Le pubblicazioni che finora hanno visto la luce, confortate da personali ricerche d’archivio, sono però sostanzialmente concordi nell’indicare le date di costituzione delle prime unità produttive. Come s’è già detto, nel 1821 è Carlo Martin a raccogliere in un vecchio mulino pochi telai, mossi dalle pale che fino ad allora hanno fornito energia per l’attività molitoria. Successivamente sorgono le fabbriche di Eraldo Krumm (1824), dei soci Borgomaneri, Sperati e Bazzoni (1828), di Costanzo Cantoni (1829), di Andrea Krumm (1838) e di Giò Donato Travelli (1842).

L’accorpamento in un unico opificio di un elevato numero di lavoratori e di macchine è la maniera ritenuta più efficace per sfruttare razionalmente e a costi ridotti l’energia motrice. In questo modo si può anche dare una certa continuità alle fasi produttive, sfruttando più intensamente le costose macchine importate dall’estero. Vi è chi provvede alla materia prima, altri alle varie fasi produttive, chi alle riparazioni degli strumenti di lavoro, chi alle relazioni commerciali. Risulta ovvio anche il possibile maggior controllo della manodopera e della produttività, dando vita alle prime timide ed incerte relazioni tra imprenditore e manovalanza. Prende forma in questo modo la cosiddetta “manifattura accentrata”: non più lavoratori dispersi nei rispettivi domicili, ma operai – e soprattutto operaie – che raggiungono la “proto-fabbrica” la mattina per uscirvi solo la sera. La “manifattura accentrata” risulterà, nel tempo, una delle principali e più originali caratteristiche dell’industria legnanese anche nei decenni successivi fino oltre la metà del Novecento. La fabbrica s’imporrà inoltre come “ingombrante” elemento urbanistico: attorno alle fabbriche nascerà la Legnano moderna.

Volendo svolgere qualche breve osservazione a proposito di architettura industriale a Legnano, si deve d’altronde premettere la mancanza di una precisa “regola” in materia. Con ciò si intende rilevare nel tempo la compresenza dell’adattamento di un mulino a opificio, della classica “fabbrica alta” (a più piani) e dell’edificio a un solo piano allungato in modo parallelo al corso del fiume o, anche, a cavallo di questo.

La filatura che Carlo Martin impianta nel mulino in zona “Gabinella”, all’estrema periferia settentrionale del borgo, viene descritta alcuni anni più tardi nella relazione conclusiva all’ispezione richiesta per un grave infortunio sul lavoro. In quel 1842, a ventun anni dalla creazione dell’opificio, Martin ha acquisito un altro edificio, ma l’organizzazione interna degli spazi e del lavoro è rimasta invariata, creando solamente ulteriori ambienti per porre in opera le nuove macchine.

Dopo aver premesso che i due edifici della filatura «si trovano sull’Olona, poco distanti dall’abitato, sulla sinistra del Sempione», l’ingegnere incaricato descrive in tale relazione il mulino posto nelle vicinanze della «cascina detta Gabinella, al Comunale n. 239 in questo territorio».

Esso si compone di cinque locali con un totale di 39 finestre: al pianterreno si trova «un locale col lupo, e due battitori, ed al lato opposto altro locale con otto scardassi, un laminatojo e due banchi a fusi. Al primo piano superiore a destra sei aspe di 20 fusi cadauna [il fuso, componente principale della macchina per filare, è considerato l’“unità di conto” per determinare le dimensioni di un’azienda di filatura di cotone, ndr], ed in quello a sinistra tre mule-jenny di 300 fusi cadauna. Al secondo piano a sinistra 3 mule-jenny di 240 fusi ed altra di 200 fusi». Da questa prima sommaria descrizione risulta la poco razionale sistemazione dei macchinari e la discontinuità delle operazioni. Il traguardo della “razionalizzazione”, a Legnano, sarà raggiunto solamente negli anni successivi all’unificazione.

Il secondo edificio adibito a filatura, nei pressi del primo, «ha sede alla cascina dei Mulini di Sant’Angelo [nell’attuale quartiere di San Domenico, ndr], al comunale n. 233». Le officine «sono comprese in quattro grandi ambienti rettangolari, l’uno sovrapposto all’altro». Le finestre, tanto importanti per l’aerazione e umidificazione dei locali, sono 59: «L’ambiente al piano terreno contiene 3 battitori, 29 scardassi, 7 laminatoj, due banchi a fusi ed una double-spieder. In altro locale attiguo vi è la macchina motrice e la caldaja del vapore da cui è animata. Questo motore agisce in unione a due ruote idrauliche, animata dalle acque del fiume Olona. In primo piano si trovano 4 double-spieder, filatori in grosso e sette mule-jenny di 240 fusi cadauno; ed in una piccola stanza separata vi è l’impaccatura che si pratica con tre macchine. Al secondo piano vi sono 9 mule- jenny da 240 fusi cadauna ed in piccola stanza attigua l’officina meccanica con tre tornj. Col terzo ed ultimo piano situato sottotetto si trovano 27 banchi da 27 aspi ciascuno. Annesso a questo medesimo stabilimento vi è un’officina da fabbri provveduta di tutto l’occorrente, e due magazzini per riporvi i cotoni, della verosimile capacità di colli n. 2.800 da 5 e 600 libbre sottili» [Relazione alla Delegazione provinciale del 28 agosto 1842 in “Protocollo dell’ispezione eseguita alla Ditta Carlo Martin in seguito ad un incidente verificatosi nell’opificio”, Archivio di Stato di Milano, Commercio, p.m., cart. 139].

La predisposizione interna di questo secondo stabilimento denota già un passo avanti, per quanto
attiene la razionalizzazione degli spazi e delle fasi lavorative, rispetto al primo. Va notata poi la presenza dell’officina per le riparazioni (che dagli anni ’40 diventa una costante negli opifici di una certa dimensione) e del magazzino. La carenza di quest’ultimo, col conseguente deposito della materia prima negli stessi ambienti di lavoro, oltre ad essere d’impaccio, ha già creato a Carlo
Martin un grave episodio. Infatti nel 1827 una scintilla caduta nell’accensione delle lampade che illuminano i locali va a cadere proprio sopra le balle di cotone «che ivi si trovavano a
manifatturarsi». La relazione del delegato politico del Comune afferma: «Verso le ore 6 o alle 7 pomeridiane schioppò un incendio nel locale della filatura di cotone del Sig. Martin in questo Comune, per cui si dovette col suono della campana fare accorrere il popolo, onde estinguerlo; come infatti nel termine di un’ora circa coll’atterramento di porzione del tetto che era diggià affiamme, venne soffocato ed indi estinto» [“Notifica della Deputazione Comunale alla I. R. Commissarìa Distrettuale per l’incendio sviluppatosi nella filatura di cotone C. Martin”, 19 agosto 1827, Ascl, cart. 28, f. 246/2].

Può essere utile a questo punto una nota sulle varie fasi lavorative del cotone e sui principali
macchinari impiegati, anche in vista dei successivi riferimenti in proposito. Ebbene, le balle di
materia prima sono costituite da cotone in fiocchi: questi vengono aperti e grossolanamente puliti da ogni impurità, sia a mano che mediante battitoi. Si passa quindi a una pulizia più approfondita con carde e pettinatrici, per giungere ai nastri, resi uniformi con la stiratura e l’accoppiamento mediante stiratoi e banchi a fusi. Il filo viene quindi torto e reso più solido ed elastico; dopo la filatura si passa infine alla fase della tessitura.

Le macchine impiegate mutano col tempo e subiscono profonde innovazioni soprattutto nell’Ottocento; le più note (impiegate anche a Legnano) sono: battitoi e i cosiddetti “Lupo” e “Diavolo” per la pulitura e sprimacciatura del cotone; scardassi, laminatoi e la nota “jeanette” per la preparazione del filo; la “double-spieder” per una filatura grossolana, la “mule jenny” (filatoio intermittente, brevettato in Inghilterra già alla fine del XVIII secolo) per una filatura più rapida e “fine”, ossia di migliore qualità. Per quanto riguarda la tessitura si passa dal modesto telaio a mano, in legno e azionato dalla forza umana, ai telai semi-automatici e automatici. In questo caso la macchina più famosa e diffusa è certamente il telaio “Jacquard”, inventato in Francia all’inizio dell’800 e successivamente modificato. Seguono altre operazioni, talvolta eseguite altrove, fra cui il candeggio, il finissaggio, la tintoria e la stampa.

Per i precedenti servizi, cliccare qui #Legnano-nell’800

Redazione
info@legnanonews.com
Noi della redazione di LegnanoNews abbiamo a cuore l'informazione del nostro territorio e cerchiamo di essere sempre in prima linea per informarvi in modo puntuale.
Pubblicato il 03 Settembre 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore