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Sfruttamento del lavoro nella filiera della moda nel Milanese, Loro Piana in amministrazione giudiziaria

I Carabinieri del Gruppo per la Tutela del Lavoro di Milano hanno eseguito un decreto del Tribunale su richiesta della Procura, contestando l’incapacità di prevenire lo sfruttamento lavorativo nella filiera produttiva

Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno nei confronti della società Loro Piana, celebre brand di moda di lusso e che ha come presidente del Cda Antoine Arnault in rappresentanza del gruppo Lvmh.

Il provvedimento dei giudici della sezione misure di prevenzione riguarda una indagine del pm Paolo Storari che ha appurato come Loro Piana abbia affidato la produzione di capi di abbigliamento, tra cui giacche, all’esterno e che la loro realizzazione sarebbe avvenuta in contesti lavorativi di “sfruttamento del lavoro”.

 Secondo gli investigatori, la società non avrebbe messo in atto misure adeguate per prevenire fenomeni di sfruttamento lavorativo lungo la propria filiera, agevolando – seppur colposamente – pratiche di caporalato nel territorio del milanese.

L’indagine ha rivelato che l’azienda si limitava alla prototipazione dei capi (tra cui giacche in cashmere), affidando la produzione a una società priva di capacità produttiva che subappaltava a sua volta ad altre imprese. Alla fine della catena, la realizzazione era di fatto affidata a opifici del milanese gestiti da cittadini cinesi, capaci di ridurre drasticamente i costi grazie al ricorso sistematico a manodopera irregolare e clandestina.

Il sistema permetteva di massimizzare i profitti riducendo i costi del lavoro (contributivi, assicurativi e fiscali) tramite il pagamento “in nero”, l’assenza di contratti regolari e il mancato rispetto delle norme su salute, sicurezza e contratti collettivi nazionali. Salari sottosoglia, orari e pause non rispettati, ambienti insalubri e mancanza di sorveglianza sanitaria completavano un quadro di grave sfruttamento.

L’indagine è partita a maggio 2025 dopo la denuncia di un lavoratore cinese, che ha raccontato di essere stato aggredito dal datore di lavoro connazionale quando aveva chiesto il pagamento di arretrati, riportando lesioni con una prognosi di 45 giorni. Gli accertamenti hanno permesso di ricostruire una filiera opaca fatta di società di comodo “cartiere” (prive di dipendenti ma utili a emettere fatture fittizie) e subappalti non autorizzati, creati per schermare la reale produzione in condizioni di sfruttamento.

Durante i controlli in vari opifici, sono stati identificati 21 lavoratori di etnia cinese, di cui 10 totalmente “in nero” e 7 clandestini sul territorio nazionale. È stata accertata la presenza di dormitori abusivi in condizioni igieniche sotto il minimo etico, con gravi violazioni in materia di sicurezza sul lavoro: omessa formazione, assenza di sorveglianza sanitaria, luoghi insalubri.

Nell’indagine stati denunciati due cittadini cinesi titolari di altrettante aziende (uno dei quali arrestato in flagranza per l’aggressione al dipendente), sette lavoratori non in regola con le norme di soggiorno e due italiani titolari dell’azienda sub-affidataria per violazioni della normativa sulla sicurezza. Le sanzioni complessive ammontano a oltre 240mila euro tra ammende (181.482,79 euro) e sanzioni amministrative (59.750 euro). Per due opifici è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per l’utilizzo di lavoro “nero”.

Da sottolineare che il procedimento penale per caporalato è nella fase delle indagini preliminari e che ogni responsabilità sarà definitivamente accertata solo con sentenza irrevocabile di condanna.

Valeria Arini
valeria.arini@legnanonews.com
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Pubblicato il 14 Luglio 2025
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