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Omicidio Ravasio, il figlio della “mantide”: «Mia madre ha pianificato l’omicidio insieme a Ferretti»

Igor Benedito verrà sottoposto a perizia per stabilire se sia affetto da patologia mentale e se fosse capace di intendere e di volere al momento dell'omicidio

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«Mia madre ha programmato insieme a Massimo Ferretti l’esecuzione dell’omicidio». Due mesi fa Igor Benedito, il figlio della “mantide” di Parabiago che il 9 agosto dello scorso anno era al volante dell’auto che ha ucciso Fabio Ravasio, aveva anticipato davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio che in quell’omicidio sua madre aveva avuto un ruolo, un ruolo che avrebbe chiarito quando fosse arrivato il momento di sottoporsi all’esame di giudici togati e popolari. E lunedì 14 luglio ha tenuto fede a quell’impegno, pochi minuti dopo aver appreso che verrà sottoposto a perizia per stabilire se sia affetto da patologia mentale, se fosse capace di intendere e di volere al momento dell’omicidio e quale sia nel caso il rapporto «tra la malattia eventualmente accertata e la genesi e la dinamica della condotta», oltre all’eventuale pericolosità sociale.

“Se non lo avessi fatto, mi avrebbero esiliato”

Davanti alla Corte d’Assise presieduta da Giuseppe Fazio Benedito ha ammesso di essere stato al volante dell’auto con cui un anno fa è stato investito Fabio Ravasio. A chiedergli di guidare la Opel nera che ha spento la vita di Ravasio sull’asfalto della provinciale secondo la sua ricostruzione dei fatti sarebbe stata proprio la madre, Adilma Pereira Carneiro, insieme a Massimo Ferretti, il giorno prima dell’omicidio, a casa della vittima: richiesta alla quale avrebbe inizialmente opposto un rifiuto, per poi ricevere un messaggio ironico con i complimenti della madre la sera e convincersi infine ad accettare il giorno stesso in cui Ravasio è stato investito: «O lo facevo – ha spiegato il 27enne in aula -, o mia madre non mi avrebbe più permesso di vedere i miei fratelli e Massimo (Ferretti, ndr) non mi avrebbe più permesso di andare al bar. Se non lo avessi fatto, mi avrebbero esiliato».

Di quell’omicidio, però, si parlava ormai da tempo. Tanto che c’erano stati anche dei tentativi di assoldare un assassino, operazione poi finita con un buco nell’acqua perché «non c’erano le disponibilità economiche per potersi permettere un killer». Tanto che la “mantide” e il suo entourage sapevano anche quali telecamere funzionavano e quali no lungo il percorso che i mezzi coinvolti avrebbero dovuto seguire per le vie di Parabiago, informazione che, secondo quanto Igor Benedito avrebbe appreso dalla madre, sarebbe stata data direttamente dall’operatore della Polizia Locale oggi indagato per favoreggiamento.

Il piano per l’omicidio di Fabio Ravasio

Il piano messo a punto per uccidere Fabio Ravasio, secondo quanto ha ripercorso davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio Igor Benedito, prevedeva un doppio appostamento per bloccare la provinciale in entrambe le direzioni, con Fabio Lavezzo che spostando il proprio furgone oltre ad occupare la carreggiata avrebbe anche dovuto segnalare il passaggio del 53enne. Marcello Trifone, il marito della “mantide”, invece, ha guidato l’auto che ha ucciso Ravasio fino alla stradina individuata per l’appostamento della Opel nera, per poi cedere il volante ad Igor Benedito – camuffato con una parrucca e munito di guanti in lattice – per l’investimento e riprenderlo subito dopo: «Mia madre e Ferretti – ha spiegato il 27enne – non si fidavano a farlo guidare per l’investimento: dicevano che era buono solo per fare da badante ai cani».

Il rapporto con la “mantide”, Fabio Ravasio e Massimo Ferretti

Dal banco dei testi Igor Benedito ha chiarito anche i contorni del suo rapporto con Adilma Pereira Carneiro, Fabio Ravasio e Massimo Ferretti, tra le discussioni con la madre per i soldi inviati ai santoni in Brasile, la consapevolezza sempre avuta che i due fratellini più piccoli fossero figli di Trifone e non di Ravasio («Dargli una notizia del genere sarebbe stato un colpo basso, Fabio sarebbe stato molto male»), il tempo passato con la vittima giocando a calcetto o accompagnandolo a farsi autografare la maglietta da ciclisti famosi e la gelosia di Ferretti.

«Andavo al bar di Ferretti tutti i giorni – ha raccontato Benedito in aula -: mi confidavo con lui, potevo contare su di lui quando litigavo con mia madre. Lui era possessivo con mia madre, era geloso se qualcuno le parlava più di lui e chiedeva informazioni ai miei fratelli se lei non rispondeva al telefono. A me chiedeva se mia madre vedesse qualcun altro e cosa facesse, molte volte al bar diceva che non sopportava Ravasio e non vedeva l’ora di mettergli le mani addosso». Il figlio della “mantide”, inoltre, avrebbe sentito Ferretti giurare sulla foto del padre morto che avrebbe ucciso il 53enne, e che se Adilma Pereira Carneiro «non fosse stata sua, non sarebbe stata di nessun altro».

Proprio Ferretti, peraltro, secondo la ricostruzione del 27enne avrebbe anche vantato conoscenze «nei campi della droga e della mafia»; nel suo stesso bar sarebbe anche girata droga, e proprio a Ferretti il figlio della “mantide” si sarebbe rivolto quando non aveva disponibilità economica per acquistare sostanze, ricevendo denaro ma anche alcol o stupefacenti: parole, quelle del 27enne, che hanno portato all’apertura di un nuovo fronte di indagine a carico dell’ex amante di Adilma Pereira Carneiro.

Durante l’esame Benedito ha anche ricondotto le dichiarazioni da lui stesso inizialmente rese al pubblico ministero e poi sconfessate, così come le accuse di maltrattamento mosse in un primo momento a Fabio Ravasio e poi ritrattate, all’influenza esercitata su di lui dalla madre. «Ero influenzato, continuava a dirmi quello che dovevo dire, mi colpiva sul piano sentimentale, mi diceva di pensare ai miei fratelli e che dicendo quello che voleva lei saremmo usciti in due o tre anni. Ora ho deciso di percorrere la mia strada, di valutare le mie responsabilità e affrontare le conseguenze e ricreare in me la mia personalità e il mio futuro senza consigli o influenze altrui».

Trifone sceglie il silenzio

Lunedì 14 luglio avrebbe dovuto sottoporsi all’esame della Corte d’Assise di Busto Arsizio anche il marito della “mantide”, Marcello Trifone, che però ha scelto di avvalersi dalla facoltà di non rispondere. Chi ha risposto alle domande del pubblico ministero Ciro Caramore e dei difensori di parti civili e imputati è stato invece Fabio Lavezzo, in un esame segnato da tanti «Non ricordo» e da altrettanti momenti di tensione con il sostituto procuratore, che ha contestato a più riprese le dichiarazioni dell’imputato.

A valle dell’esame di Lavezzo sono stati chiamati in aula anche due nuovi testimoni citati proprio dall’imputato. Uno di loro ha riferito alla corte di essere stato contattato più volte da Lavezzo per individuare una persona che avrebbe potuto «lasciare a terra» Ravasio, come poi ha in effetti detto di aver fatto in un messaggio audio per un prezzo di 50/60mila euro. Troppo per Adilma Pereira Carneiro e gli altri imputati. Solo in un secondo momento, secondo quanto ha riferito, il teste – che ha spiegato di aver proposto la cifra solo per “liberarsi” delle insistenze dell’imputato – avrebbe capito che si parlava di uccidere e non “solo” di picchiare il 53enne.

Dopo l’estate sarà chiamata a raccontare la sua verità anche Adilma Pereira Carneiro, che durante l’ultima udienza ha chiesto di lasciare l’aula mentre parlava davanti ai giudici Fabio Lavezzo.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 14 Luglio 2025
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