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Libera Legnano: «In zona il fenomeno mafioso esiste e bisogna dare una risposta»

Il 1° dicembre si è costituito il presidio di Legnano, nato da un percorso durato circa due anni

libera legnano

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi. Quelli che separavano la casa di Peppino Impastato da quella del boss Tano Badalamenti. Quelli che sono diventati simbolo di contrasto alla mafia. Quelli che anche Legnano percorre metaforicamente da dicembre, quando in città è nato un presidio di Libera, rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie e gruppi scout coinvolti in un impegno non solo “contro” «le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta», ma anche “per” «la giustizia sociale, la ricerca di verità, la tutela dei diritti, una politica trasparente, una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, una memoria viva e condivisa, una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione».

Perché un presidio di Libera a Legnano? «Ci piaccia o no, il fenomeno mafioso esiste anche a Legnano e nel Legnanese e qualche tipo di risposta lo dobbiamo dare – spiega Marco Vajna De Pava, socio del presidio di Legnano -. In tutto ciò si è inserita anche la pandemia, nel cui ambito, con i soldi che girano per la risoluzione dei problemi che l’emergenza sanitaria crea, le mafie hanno trovato terreno fertile per le loro attività illecite. In questa zona tutto questo è presente, ma c’è anche una grandissima forza legata a tutte le associazioni di volontariato e a tutte le persone che vogliono impegnarsi e mettere il proprio tempo a disposizione degli altri. Per questo il 1° dicembre si è costituito il presidio, nato da un percorso durato circa due anni».

«Quando Libera nacque 25 anni fa l’Italia era stata scossa da quella violenza criminale e mafiosa che aveva portato a vittime e stragi come quella di via D’Amelio e di Capaci e alle bombe di Roma, Firenze e Milano – ha ricordato Davide Pati, vicepresidente di Libera -. Fu un momento particolare in cui allo sgomento, alla rabbia e alla rassegnazione si volle dare un segnale di speranza ma anche di impegno, partendo dalla memoria delle vittime innocenti: per questo tutti i presidi sono dedicati alle vittime innocenti delle mafie, proprio per testimoniare un legame con quelle storie, la maggior parte delle quali non ha una verità processuale. In questo momento in cui il lavoro manca e c’è esigenza di trovare un futuro di speranza ma anche di concretezza e risposte, il coordinamento regionale e provinciale di Milano di Libera si è impegnata perché in area metropolitano nascessero presidi: così è nato anche il presidio legnanese, che viene da un percorso durato diverso tempo e fatto di tante persone cui se ne aggiungeranno altre per condividere la gioia di lavorare e impegnarsi insieme per diritti e libertà, di cui mafia e corruzione sono la negazione».

Dal taglio del nastro metaforico di qualche mese fa, il presidio si è già dato da fare e ha realizzato un dossier che fa il punto sulla situazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata nel nostro territorio, che negli undici comuni di riferimento (Busto Garolfo, Canegrate, Cerro Maggiore, Dairago, Legnano, Nerviano, Parabiago, Rescaldina, San Giorgio su Legnano, San Vittore Olona e Villa Cortese) sono ben 65. Altro fronte di attività è quello della collaborazione delle scuole, che «molto interessate a progetti per educare i giovani ad una cultura di legalità», e con le istituzioni. E poi il primo appuntamento ufficiale in programma per il 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie: in quell’occasione, pur con tutte le limitazioni anti-Covid del caso, l’associazione farà sentire la sua voce.

Il presidio legnanese – al quale hanno aderito Amnesty International, ANPI, Cielo e Terra, Amici del Teatro – Compagnia dei Gelosi, Polis, Azione Zattolica, Cgil Ticino Olona, cooperativa La Tela, Condotta Slow Food Legnano, Laboratorio Quartiere Mazzafame, Legambiente – Circolo Il Gallo – porta il nome di Antonella Valenti e Ninfa e Virginia Marchese, rapite e uccise rispettivamente a 11, 7 e 9 anni nell’autunno del 1971 a Marsala, in provincia di Trapani. Del delitto fu subito accusato lo zio di Antonella, che certamente fu l’esecutore materiale del crimine, ma durante le indagini e il procedimento giudiziario emerse un probabile legame con problematiche di mafia che non fu mai chiarito del tutto, come succede nell’80% dei casi per le vittime di mafia. «Abbiamo scelto delle bambine perché riteniamo che tutte le vittime delle mafie abbiano diritto ad essere ricordate – sottolinea Marco Vajna De Pava – e perché riteniamo che l’educazione e la formazione dei giovani e dei bambini sia centrale per contrastare il fenomeno mafioso».

Antonella, Ninfa e Virginia hanno un destino comune da quasi 50 anni: quello di vittime…
Dagli articoli di giornale, dai resoconti del processo…non compaiono mai in braccio alle madri, non compaiono mai mentre giocano con una bambola…non compaiono amate, solo concupita Antonella, o ignorate e gettate via come un peso, Ninfa e Virginia. Non giocano con i numerosi fratelli e sorelle. Non dormono sorvegliate dal padre che rimbocca le coperte.
Sono solo vittime
A. Pagliaro “Storia terribile delle bambine di Marsala”, Zolfo editore 2020

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 06 Marzo 2021
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