Un’ondata di comicità al Tirinnanzi con “La locandiera“
Un'altra rivisitatzione di un grande classico, al Teatro Tirinnanzi Città di Legnano, con la formidabile regia di Andrea Chiodi

Una commedia avvincente, innovativa, multiforme e polisemica come i personaggi, estremamente realistici, che le danno vita. “La locandiera“, da Goldoni, ai giorni nostri, rimane un intramontabile classico, dove il filo conduttore che che ne attesta l’indiscutibile attualità, è l’animo umano, che, nel susseguirsi delle epoche storiche, mantiene immutate le sue caratteristiche.
Apertosi il sipario, è un tripudio di luci, movimento, musica anni ’20 dai toni frivoli e vezzosi. I personaggi si cambiano d’abito simultaneamente sulla scena, da un grande guardaroba posto sullo sfondo; gesto che allude, forse, proprio alla loro continua mutevolezza interiore. Siamo nella Firenze settecentesca, e i personaggi che Goldoni mette in scena, sono il riflesso dell’epoca storica in cui vive: il marchese di Forlipopoli, nobile eccentrico ed effemminato, è l’emblema dell’aristocrazia ormai decaduta e si può dunque avvalere unicamente del suo titolo nobiliare ed opposto lui, il conte di Albafiorita, un mercante arricchito, che rappresenta la nuova classe borghese, attiva ed operosa. Entrambi i personaggi, abitudinari della locanda gestita da Mirandolina, sono dichiaratamente innamorati di lei. La donna, astuta e disinvolta in fatto di questioni amorose, si compiace di essere così insistentemente contesa dai due uomini, ma non cede mai fino in fondo alle loro lusinghe, lasciando così agli sventurati, un’illusione che li induce ad una continua speranza. A sconvolgere l’assetto delle vicende, è un altro personaggio, che subentra nella locanda e nella vita di Mirandolina: il cavaliere di Ripafratta, “rustico come un orso, che è nemico delle donne, non le può vedere“, così definito dalla stessa locandiera. Il nuovo ospite della locanda è infatti superbo e misogino, fermo nella convinzione di non essersi mai lasciato vincere dal potere seduttivo di una donna, di non averne mai amata né stimata nessuna. Ben presto il cavaliere di Ripafratta diventa oggetto di desiderio di Mirandolina, che, abile nel sedurre qualsiasi tipo di uomo, vuole vincere una sfida personale, facendo cadere ai suoi piedi anche un individuo così apparentemente burbero e irremovibile.
Mirandolina inizia dunque il suo gioco di seduzione, dove gradualmente, esercita l’arte di perfetta adulatrice, nell’intento di far innamorare il cavaliere. Particolarmente abile si mostra nel far leva sulle debolezze dell’uomo, in modo da raggiungere con efficacia i suoi scopi. Emblematico è il momento in cui Mirandolina afferma di non essersi mai voluta sposare, perché stima profondamente la sua libertà, la stessa che tanto acclama il cavaliere. La locandiera è quindi portatrice di questo valore imprescindibile, che esalta, in un monologo interiore, dove, sola sul palco, le luci soffuse attorno a sé, fa risaltare la sua etica femminile di donna libera ed emancipata :“Tutto il mio piacere consiste nel sentirmi servita, onorata, dagli uomini. Io voglio burlarmi di amanti che seguono“ e prosegue “noi donne siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura“.
Una nuova ondata di comicità viene portata poi da Deianira e Ortensia, “donne cerimoniose“, definite da Mirandolina, per l’ossequio che mostrano nei suoi confronti, giunte alla locanda. Si presentano come nobildonne,ma sono in realtà attrici della commedia dell’arte, e i loro modi eccessivamente marcati nei tratti ironici, sono oggetto di implicita critica di Goldoni, che proprio in quegli anni stava attuando la riforma teatrale. Con l’arrivo delle due donne nella locanda è ancor più evidente come la vera attrice sia in realtà Mirandolina, che, grazie alle sue molteplici facce, tiene in suo potere anche un altro uomo, Fabrizio, cameriere della locanda e giovane sinceramente innamorato d lei. Alla fine della vicenda Mirandolina decide di sposarlo, per convenienza, dopo aver a lungo sedotto il cavaliere di Ripafratta, che, dopo molte oscillazioni interiori, se cedere o no alla passione della donna, si fa vincere dall’impulso amoroso verso Mirandolina, pur andando contro i suoi principi dichiarati.
Il sipario si chiude con l’immagine di Mirandolina sola sulla scena, i riflettori abbassati sulla sua figura immersa nel buio, che è quello interiore della donna davanti al suo destino, abbandonata da tutti i suoi spasimanti e dopo essersi tolta ogni tipo di travestimento, atto ai suoi scopi seduttivi.
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