Stand Up for Palestina: curare sotto le bombe per restare umani
Allo spazio libero di Materia un incontro con le ong Emergency, Terre des Hommes e Soleterre per raccontare il lavoro a Gaza e in Cisgiordania. Diritti negati, vite da salvare, resistenza quotidiana contro la disumanizzazione

«Quando non riconosci più l’altro come persona, tutto diventa possibile. Anche eliminarlo». Ha ragione Paolo Ferrara di Terre des Hommes. Tra i tanti confini, quello è l’unico che va difeso ad ogni costo per evitare la fine, perché la negazione dell’essere umano è sempre l’inizio della catastrofe. «È già successo nella storia. In anni recenti lo abbiamo visto a Srebrenica» ricorda Marco Giovannelli, direttore di Varesenews.
Quel confine è stato ben tracciato e difeso allo Spazio libero di Materia a Castronno, dove si è svolto l’incontro “Stand Up for Palestina”, promosso con la collaborazione di Coop Lombardia. Una serata dedicata alla testimonianza diretta di chi opera a Gaza e nei territori palestinesi, tra crisi umanitaria, occupazione e guerra.
A confrontarsi, in dialogo con il numeroso pubblico presente, oltre a Paolo Ferrara, sono stati Alessandro Manno (Emergency) e Aldo Velardi (Soleterre), rappresentanti di Ong attive nei luoghi del conflitto, impegnate in ambito sanitario, psicosociale e umanitario.
In collegamento da Roma è intervenuta l’illustratrice Marcella Brancaforte, autrice della mostra Be my voice, esposta a Castronno. Il progetto è nato da uno scambio quotidiano con un giovane palestinese di Gaza, trasformato in diari illustrati che raccontano la quotidianità sotto i bombardamenti. «Ogni rosa che disegno è un’anima, ma anche un gesto di speranza. Un modo per dire: non siete soli» ha sottolineato l’artista. Ai piedi del palco di Materia campeggiava uno dei suoi disegni, intitolato “Madonna con bambina”, a testimonianza delle vittime innocenti del conflitto a Gaza.

LE VITTIME SONO I BAMBINI
I dati portati da Ferrara di Terres des hommes parlano da soli: «Il 31% delle vittime del conflitto sono minori. Il 97% dei bambini ha pensieri di morte. Non è più una guerra, è un attacco sistematico alla popolazione civile. Non possiamo accettarlo come normale».
«Qui il diritto primario a essere riconosciuti come persone sembra smarrirsi completamente», ricorda Marco Giovannelli ai relatori. A Gaza c’è un tema di diritti fondamentali violati, primo fra tutti il diritto all’esistenza, alla cura e alla sicurezza, che chiama in causa il mancato intervento di organizzazioni di diritto internazionale le quali in queste situazioni hanno il dovere di intervenire.

FARE IL POSSIBILE CON QUELLO CHE HAI
Le associazioni fanno tutto quello che possono. E quando si parla di sanità in contesti di guerra, adeguarsi al contesto, nel senso di continuare a dare aiuto alle popolazioni e presidiare quello spazio, anche in mancanza di farmaci e strumenti bloccati al confine con i territori sotto assedio, è un imperativo categorico. Emergency è presente a Gaza con una clinica essenziale per la medicina di base. «In un contesto dove gli ospedali sono al collasso, curiamo oltre 250 persone al giorno. Facciamo il possibile con quello che abbiamo. Ma esserci, ogni mattina, è già una risposta» spiega Manno.
A Gaza dove manca tutto per via dei blocchi del governo israeliano, si fa di necessità virtù. Sottolinea Ferrara: «Se non posso utilizzare un ecografo di ultima generazione, farò con qualcosa che ho a disposizione in quel contesto o proverò a fare come facevano i vecchi medici, userò il semplice esame tattile del paziente. Però non possiamo fermarci, non è assolutamente possibile».
CONTINUARE A CURARE
Soleterre, attiva nella Cisgiordania occupata, lavora nell’unico ospedale pubblico pediatrico per malati oncologici vicino a Betlemme. Velardi racconta come il supporto psicologico e medico sia fondamentale, ma anche difficile da garantire: «Bambini che si ammalano di cancro in una terra dove tutto crolla attorno. Come si cura chi non ha più speranza?».
A Gaza e in Cisgiordania, nonostante tutto, si continua a curare perché c’è la volontà di non lasciare sole le persone, soprattutto i bambini, che stanno soffrendo oltre l’indicibile. Prendersi cura dell’altro è l’unico vero antidoto alla disumanizzazione. Dice Manno di Emergency: «La peggiore cosa che io potrei fare ai miei colleghi, sarebbe chiamarli e dire: “Dobbiamo chiudere la missione e rientrare”. Questa sarebbe una cosa che non accetterebbero mai».
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