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“UNA RICHIESTA DI PERDONO CHE FA SCHIFO!”

E la sentenza, commenta Livio Cancelliere, fratello di Stefania, fa male, toglie fiducia, serenità e non fa giustizia a tutte le vittime di femminicidio...

"Una sentenza che fa male, che toglie fiducia, serenità e speranza, che spalanca le porte ad ulteriori sofferenze". Così Livio Cancelliere, il fratello di Stefania massacrata e uccisa con un mattarello dall'ex marito Roberto Colombo, commenta la condanna in primo grado, emessa lunedì scorso.

Livio contesta, in una lunga lettera inviata alla nostra redazione, la decisione presa dal gup Roberta Nunnari, il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano che ha condannato il medico assassino a  17 anni di reclusione.

Di seguito le considerazioni dell'avvocato Livio Cancelleire, sulla vicenda.


A tre giorni dalla conclusione del processo di primo grado di mia sorella, sento la necessità di scrivere e puntualizzare quanto segue.

All’udienza del 15 aprile 2013, prima dell’arringa, i difensori dell’imputato hanno esibito al giudice n. 4 assegni a titolo risarcitorio a favore di noi familiari di Stefania (che sono stati rifiutati) e hanno prodotto al giudice una dichiarazione dell’imputato, in cui l’assassino si dice addolorato per quanto commesso e per le sofferenze arrecate ai cari di Stefania.

Una dichiarazione evidentemente sospetta, perché scritta al solo scopo di ottenere una punizione meno severa (che è poi arrivata!). I difensori dell’assassino hanno sottoposto la dichiarazione al nostro legale e poi l’hanno consegnata al Giudice, ritenendo evidentemente poco opportuno leggerla in aula, alla nostra presenza.

Io l’ho letta, e fa schifo! Non chiede PERDONO né a noi né ai bambini, ai quali non rivolge una sola parola. E’ una dichiarazione non solo tardiva, ma strumentale e insincera. I difensori hanno parlato per poco più di un’ora, chiedendo: quanto al capo a) dell’imputazione, di dichiarare insussistenti le aggravanti di cui all’art. 61 n. 4 c.p. (“aver commesso il fatto con sevizie”) e dello stalking; quanto al capo b), hanno chiesto l’assoluzione dal reato di stalking.

Hanno, altresì, chiesto di riconoscere l’infermità parziale di mente dell’imputato nel momento in cui ha commesso il fatto. Alle 15.30 è arrivata la decisione del Giudice: 17 anni di reclusione (il PM ne aveva chiesti 20), escludendo l’aggravante di cui all’art. 61 n. 4 c.p. e concedendo le attenuanti generiche equivalenti alle altre aggravanti contestate.

Occorre correggere quanto dichiarato dagli organi di stampa. Il giudice ha concesso una provvisionale pari a: euro 500.000,00 a favore del primo figlio di Stefania; euro 350.000,00 per ciascuno degli altri due figli; euro 100,00 per ciascuno dei genitori; euro 40.000,00 per ciascuno dei fratelli. Per un totale di euro 1.480.000 (di cui i 280.000 spettanti ai genitori e ai fratelli saranno comunque messi a disposizione dei bambini).

Sotto la supervisione del Giudice Tutelare (che ha anche potere di controllo sulla gestione svolta dal tutore relativamente alla gestione del patrimonio dei minori), le somme destinate ai minori saranno vincolate fino al raggiungimento della loro maggiore età.

Occorre anche sottolineare che l’assassino, sino ad oggi, si è rifiutato di versare ai due figli minori l’assegno di mantenimento disposto dal Tribunale dei Minorenni, pari a circa 2.000,00 euro ciascuno. Gli è stato notificato il relativo precetto, ma l’assassino ha proposto opposizione!

A questo punto, scusandomi da subito per la crudezza, riporto quanto segue perché si sappia e si comprenda maggiormente la nostra indignazione. Le Forze dell’Ordine intervenute sul posto nell’immediatezza dei fatti hanno scritto: “la donna era riversa per terra con il volto coperto di sangue che fuoriusciva copiosamente dalla testa mentre l’oggetto con il quale Colombo l’aveva ripetutamente percossa, un mattarello da cucina di grosse dimensioni (65 cm e diametro di 5 cm), coperto di sangue, era posizionato dietro al portone. Il mattarello presentava una lesione di 20 cm proprio nella parte sporca di sangue.” Ha colpito mia sorella per interminabili minuti con “colpi secchi” alla testa. “Ancora cosciente urlava aiuto, basta, pietà!”. Schizzi di sangue sulle pareti “sino all’altezza di 160 centimetri circa dal pavimento. Una pozza di sangue del diametro di 1.20 metri”. Dopo tanto accanimento sul corpo esanime di mia sorella, Colombo ha cercato di “nascondersi nella propria abitazione”.

Non solo codardo, per averla colpita alle spalle mentre aspettava il figlio, pure vigliacco. Ma, evidentemente, tutto questo non è bastato ai Magistrati, che lo hanno ritenuto meritevole delle attenuanti generiche! Ricoverata in arresto cardiaco (per emorragia da vasta ferita lacerocontusa della regione occipitale, ematoma del volto e della fronte e frattura occipitale) e rianimata tre volte, Stefania è stata dichiarata morta il giorno seguente, alle ore 11.45. Il 29 giugno sono stati prelevati, per la donazione, i seguenti organi e tessuti: cuore, cresta iliaca bilaterale, tendini tibiali e peronei, polmoni, fegato, pancreas e milza, reni e vasi. Il 5 luglio 2012, alle ore 8.00, presso l’obitorio comunale di Milano, mio padre e mia madre hanno proceduto al riconoscimento del cadavere.

Nell’interrogatorio dell’11 luglio 2012, l’assassino mente al P.M., dichiarando di aver casualmente incontrato Stefania nell’androne del palazzo e di aver avuto con lei una discussione. Falso: quel pomeriggio, Stefania e il suo primogenito escono di casa. Lei prende l’ascensore e il figlio scende per le scale. Ebbene, il bambino non fa in tempo a raggiungere il secondo piano ( cioè, dopo circa 10 secondi) che sente la madre urlare. Non vi è stata, dunque, alcuna discussione: Colombo si è posizionato dietro l’ascensore e, quando la vede uscire, la colpisce ripetutamente alle spalle. Lei urla e cerca di raggiungere il portone. Grida il nome del figlio, gli dice di scappare. Lui la raggiunge e prende il sopravvento. Colombo tenta, così, di giustificare il suo atto: “dopo un anno di tutte ‘ste menate qui, io a quel punto lì sono andato in … sono fuso. Stefania mi vede e mi fa “ma che cazzo fai qui”, capisce? C’è modo e modo di dire le cose no? Cioè, così, con un modo…”. Stefania gli avrebbe detto “ma che cazzo fai qui” (che non è assolutamente vero, perché lei era terrorizzata da lui e non avrebbe mai potuto provocarlo) e l’assassino, non apprezzando “il modo”, dopo tutte “’ste menate”, la massacra.

Dopo cotanta furia omicida, a soli 34 giorni dall’omicidio, Colombo esce dal carcere di S. Vittore. Il 31 luglio 2012 i difensori dell’assassino depositano l’istanza di sostituzione di misura cautelare e, nell’arco di poche ore, il P.M. esprime parere favorevole e il 1° agosto 2012 il G.I.P. ordina che l’indagato sia scarcerato e tradotto nella casa di cura, autorizzando allontanamenti “senza scorta” per necessità di ricovero (previo giudizio della direzione sanitaria della casa di cura). Il G.I.P. non ha disposto alcuna perizia sulle condizioni di salute dell’assassino, ha ritenuto sufficiente la documentazione medica proveniente dalla difesa dell’assassino stesso, da cui risulta che il Dr. Colombo è “sconvolto… ma non depresso al punto da togliersi la vita. Il trasferimento in una struttura psichiatrica esterna non può che giovargli…”.

L’assassino non è stato curato presso la stessa struttura carceraria di S. Vittore o in un ospedale psichiatrico giudiziario, ma, in un primo periodo, in un’accogliente clinica privata (con parco di 80.000 mq) ad Appiano Gentile (Co), ove lo stesso in passato aveva lavorato e, poi, in un’altra clinica a Varazze (Sv).

Adesso che il processo si è concluso, posso dire che il P.M. (di cui sopra) ha svolto una requisitoria banale, noiosa, indegna di un’aula di giustizia. Ha letto, stando seduto e in maniera confusa, alcune dichiarazioni dei testi escussi (perché lui non ha ascoltato personalmente alcun teste, neanche noi familiari). Si è fatto finanche sostituire per la lettura del dispositivo.

Per concludere, solo poche righe sulla decisione del Giudice, allontanatasi in fretta, a piccoli passi veloci, per sottrarsi ai commenti dei presenti. Una decisione offensiva! Speravo in questo giudice donna. Una speranza mal riposta, una sentenza che non fa giustizia, né a Stefania né a tutte le altre vittime di femminicidio. Una sentenza che fa male, che toglie fiducia, serenità e speranza, che spalanca le porte ad ulteriori sofferenze.

Continuano a ripetermi che “denari e amicizia rompono le braccia alla giustizia”. Io posso dire con amarezza che, in questo processo, è valso il detto: “la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale”.

E non è ancora finita!

Livio Cancelliere

Gea Somazzi
gea.somazzi@legnanonews.com
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Pubblicato il 18 Aprile 2013
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