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riLegnano:«Al nostro territorio serve un inceneritore oppure no?»

La lista civica chiede di valutare la quantità reale di materiale che il nostro territorio produce e deve bruciare ...

Riceviamo e pubblichiamo la posizione della lista civica riLegnano sull'acceso dibattito di Accam.  Con una lunga riflessione il gruppo pone una domanda cruciale «Al nostro territorio serve un inceneritore oppure no?». E in attesa di ulteriori dati spiegano: «Se la quantità di materiale che il nostro territorio produce e deve bruciare coincidesse con la capacità del forno rinnovato (63 mila tonnellate l'anno), avrebbe ovviamente senso tenere il forno acceso. Se questo invece fosse inferiore a quella capacità, allora sarebbe insensato investire quasi 40 milioni dei cittadini in un'infrastruttura che rischia di constringerci a riciclare meno di quanto possiamo per i prossimi 20 anni». Qui l'articolo: Accam: Legnano tra ambiente e sostenibilità economica.

Di seguito il testo integrale


Si avvicina (è in programma il 22 dicembre) l'assemblea dei soci di ACCAM, la società che gestisce l'inceneritore di Borsano, e comprensibilmente si fanno più frequenti gli interventi di chi, a vario titolo, è coinvolto nella gestione dei rifiuti del nostro territorio.

La questione è estremamente complessa. Si mescolano infatti aspetti ambientali e aspetti economici; si mette in discussione il governo di un territorio molto ampio, che va da Pogliano Milanese ad Arsago Seprio; si intersecano le attività e gli interessi di molti attori pubblici (Comuni e loro aziende partecipate, Regione Lombardia) e privati (le molte realtà che lavorano nel recupero e smaltimento rifiuti). Il nostro Comune potrebbe inoltre sfruttare il calore provenienente dall'incenerimento dei riufiti per arginare le perdite economiche di AMGA legate all'investimento – quantomeno maldestro – fatto anni fa sull'impianto di teleriscaldamento. 

In queste situazioni è fondamentale mettere ordine e capire, anzitutto, qual è il cuore della questione. Fortunatamente, in questo caso è abbastanza facile individuare la domanda fondamentale: al nostro territorio serve un inceneritore oppure no? Ovviamente la risposta a questa domanda dipende da quanti rifiuti il nostro territorio ha bisogno di bruciare: sono essi sufficienti a giustificare un investimento di 37 milioni di Euro, necessari per adeguare l'inceneritore ai livelli tecnologici attuali? O sono invece essi così pochi che ha più senso, da un punto di vista sia ambientale che economico, portarli a qualche altro inceneritore vicino a noi, come ad esempio quello di Milano Figino?

La risposta a queste domande dipende chiaramente dalla nostra volontà politica. Se guardiamo alla situazione odierna, chiaramente abbiamo bisogno di un inceneritore. Attualmente il nostro territorio produce circa 74 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati (il sacco viola, per intenderci), che finiscono (quasi) tutti bruciati nel forno. L'inceneritore di ACCAM, una volta rinnovato, avrebbe una capacità di circa 63 mila tonnellate l'anno; quindi, addirittura, non basterebbe nemmeno per bruciare tutti i nostri scarti! E qui viene la volontà politica. Tutti questi numeri discendono dal fatto che il nostro territorio è bloccato intorno al 63% di raccolta differenziata da ormai molti anni: su 100 Kg di rifiuti prodotti, 63 finiscono nei contenitori per la plastica, la carta, il vetro, le lattine e l'umido, mentre 37 finiscono nel sacco viola. Grazie all'ottimo lavoro di AMGA, nel 2006 Legnano era il primo comune italiano sopra i 50 mila abitanti per l'efficienza della sua raccolta differenziata; da allora siamo cresciuti molto meno del resto del bel paese, e già nel 2010 stazionavamo solo al 101esimo posto tra i comuni del nord con più di 10 mila abitanti. Bisogna crescere. E ci sono le possibilità per farlo! Certo, pensare di non produrre alcun rifiuto da bruciare è, ad oggi, impossibile. La tecnologia non ci permette di riciclare completamente i nostri scarti; ma ci permette di avvicinarci a questo ideale molto più di qualche anno fa.

Giusto settimana scorsa, il consorzio attualmente leader in Italia per la raccolta differenziata (attivo nella Provincia di Treviso) è venuto a raccontare la sua esperienza in AMGA. Grazie all'introduzione della tariffa puntuale (che prevede, in estrema sintesi, che ciascuno paghi la tassa rifiuti proporzionalmente a quanti rifiuti indifferenziati produce) e a una serie di servizi aggiuntivi forniti ai cittadini, la percentuale di differenziata nel bacino servito (simile per dimensioni al nostro) è pari all'85%. La quota di sacco viola a cittadino è pari a 52 Kg l'anno; oggi il nostro territorio ha un valore di 122 Kg all'anno. E' quindi possibile — pur se, ovviamente, nello spazio di qualche anno — arrivare a produrre poco più di 31 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati l'anno (a fronte degli attuali 74 mila).

A questo va aggiunto un'importantissima innovazione tecnologica introdotta negli ultimi anni, conosciuta con il nome "sexy" di "fabbrica dei materiali". Essa è in sostanza un insieme di tecnologie che permettono di estrarre dal rifiuto indifferenziato tutto quanto può ancora essere riciclato; in sostanza, si tratta di un'ulteriore differenziazione fatta a valle sul nostro sacco viola. Anche qui, abbiamo esperienze virtuose in giro per l'Italia da cui prendere esempi e dati. La città di Reggio Emilia ha spento il proprio inceneritore l'anno scorso e sta per costruire una fabbrica dei materiali. Abbiamo applicato i numeri del loro progetto ai nostri dati: delle 30 mila tonnellate che entrerebbero in fabbrica dei materiali, circa 10 mila verrebbero recuperate al riciclo (ferro, plastica, ecc.), altre 11 mila diventerebbero materiale inerte, quindi non inquinante (tipicamente usato come materiale di copertura per le discariche), e soltanto 10 tonnellate mila finirebbero all'inceneritore.

Anche assumendo uno scenario meno ottimista – ma, ci chiediamo, perché non dovremmo credere in noi stessi e nelle potenzialità del nostro territorio? – i numeri rimangono abbastanza bassi. Assumendo una differenziata del 75% invece che dell'85%, avremmo 82 Kg l'anno per abitante di sacco viola, che fanno in totale 50 mila tonnellate l'anno. Come abbiamo visto sopra, se queste 50 tonnellate passano dalla fabbrica dei materiali, soltanto un terzo di esse deve essere bruciato, e cioè 17 mila tonnellate circa.

Qui la questione si complica un pochino, perchè nell'inceneritore non ci va soltanto il rifiuto residuo urbanoche abbiamo calcolato nei paragrafi precedenti. Finalmente, qualche giorno fa siamo venuti a conoscenza con precisione di quali altri rifiuti (e in quali quantità) finirebbero nel forno rinnovato. Ci sono anzitutto le componenti di scarto del passaggio dei rifiuti differenziati nella fabbrica dei materiali; questa infatti farebbe anche un lavoro di "purificazione" del materiale già differenziato dei cittadini. La stima su questa componente varia, nello scenario più virtuoso (80% di raccolta differenziata), tra 7 mila e 12 mila tonnellate. Ci sono poi circa 6 mila tonnellate che verrebbero dall'impianto di smaltimento della frazione umida: anche questa, ovviamente, non può essere smaltita interamente in modo naturale, circa il 15% della quantità in ingresso diventa materiale di scarto da bruciare. Infine, ci sarebbero circa 10 mila tonnellate di rifiuti speciali (quelli degli ospedali, per intenderci), e ulteriori 16 mila tonnellate di materiale di scarto proveniente dalle industrie che trattano il materiale effettivamente riciclato (carta e plastica, primariamente). Sommiamo tutte le componenti: 10-17 mila di indifferenziata post fabbrica dei materiali, più 7-12 mila tonnellate di differenziata post fabbrica dei materiali, 6 mila tonnellate di residuo dal trattamento dell'umido, più 10 mila tonnellate di rifiuti speciali, più 16 tonnellate di residuo post lavorazione di carta e plastica. In totale, 49-61 mila tonnellate all'anno di rifiuti da bruciare. La punta massima della stima coincide con la capacità dell'inceneritore rinnovato.

Che fare, quindi? Mah, intanto bisognerebbe capire se il bilancio fatto nel paragrafo precedente è quello ambientalmente più sensato. Intendiamo dire: da dove arrivano i rifiuti speciali? Se sono tutti provenienti dagli ospedali della zona, bruciarli noi a Borsano è probabilmente la scelta più "verde" possibile. Ma se una quota consistente arrivasse da fuori territorio, forse avrebbe più senso che si rivolgessero a forni più vicini al luogo di origine del rifiuto. La stessa considerazione vale per gli scarti della lavorazione del materiale da riciclare: se le aziende di riciclo che producono le 16 mila tonnellate descritte sopra fossero tutte dell'Altomilanese, giusto prenderci cura noi stessi di quei rifiuti. Ma se invece i rifiuti arrivassero da luoghi più vicini ad un altro inceneritore, avrebbe più senso che fossero bruciati altrove. Insomma, vorremmo essere certi che bruceremo nel forno rinnovato solo ed esclusivamente ciò che deve essere bruciato, e ciò che ha senso sia bruciato qui. Su questo, mancano dei dati importanti, che ACCAM potrebbe fornire.

Infine, alcune considerazioni di tipo economico-finanziario. Da più parti si sente dire che comunque l'opzione spegnimento non è percorribile per ragioni economiche: la svalutazione patrimoniale legata alla perdita dei forni costringerebbe i Comune a ricapitalizzare ACCAM, e soldi da spendere in questo periodo non li ha nessun comune. Ci sarebbe poi il problema della bonifica e delle penali da pagare alle aziende che oggi detengono diritti sulla manutenzione del forno. Tutti problemi reali, e difficili da risolvere. Ma non impossibili, come qualcuno va dicendo. Ad esempio, la ricapitalizzazione di ACCAM è un problema solo se la fabbrica dei materiali la si fa sotto il suo cappello; se, ad esempio, a farsi carico dell'investimento fossero le realtà responsabili della raccolta (AMGA, AGESP e AMSC), in associazione temporanea di impresa o addirittura fondendosi in un unico soggetto, il problema non si porrebbe più. In alternativa, si potrebbe tenere in vita ACCAM, conferendole però i rami di azienda di AMGA, AGESP e AMSC che si occupano di raccolta dei rifiuti: questo conferimento ripatrimonializzerebbe ACCAM senza bisogno di nessun esborso di soldi da parte dei Comuni. Per quanto riguarda la bonifica, invece, si potrebbe cercare aiuto dalla Regione, che ha bisogno di chiudere inceneritori (giusto in questi giorni ha ottenuto qualche titolone sui giornali dicendo che sarebbe disposta a finanziare la bonifica), o valutare partnership con altri operatori del settore: tutti gli inceneritori esistenti hanno attualmente problemi di sovracapacità, per cui non è impossibile pensare di andare a bussare alla loro porta chiedendo aiuto per la bonifica in cambio di un conferimento di rifiuti garantito per i prossimi 20 anni.

Per chiudere, secondo noi tutte le strade sono possibili, è solo questione di valutarle tutte con il massimo impegno e la massima serietà, sempre considerando che per noi ACCAM non è un'azienda che deve "fare utile", ma un fondamentale strumento di governo del territorio nelle mani dei comuni soci. Il punto è capire bene quanto materiale il nostro territorio produce deve bruciare — e attenzione, deve, non può bruciare.

Se questo coincidesse con la capacità del forno rinnovato (63 mila tonnellate l'anno), avrebbe ovviamente senso tenere il forno acceso. Se questo invece fosse inferiore a quella capacità, allora sarebbe insensato investire quasi 40 milioni dei cittadini in un'infrastruttura che rischia di constringerci a riciclare meno di quanto possiamo per i prossimi 20 anni.

Valeria Arini
valeria.arini@legnanonews.com
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Pubblicato il 12 Dicembre 2014
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