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Commemorazione deportati Franco Tosi: l’intervento di Luigi Botta

Il discorso tenuto dal presidente Anpi alla cerimonia tenutasi al cimitero...

E’ per me motivo di commozione ricordare anche quest’anno, a nome dell’ANPI, i lavoratori della Franco Tosi che in quel lontano giorno di gennaio furono strappati alle loro famiglie e deportati in un viaggio senza più ritorno.

Ed è con deferenza che saluto le autorità, civili e militari, che oggi hanno presenziato alla manifestazione e con loro ringrazio le rappresentanze sindacali, i rappresentanti delle diverse associazioni, dei partiti politici, i presenti, tutti uniti per un atto di omaggio e di impegno civile. Un grazie alle forze del’ordine, alla polizia locale, che col loro impegno permettono a tutti noi di svolgere in serenità questa nostra commemorazione.

Un fraterno saluto l’ANPI lo rivolge ai lavoratori della Franco Tosi con l’augurio di un sereno prosieguo di attività nella loro nuova realtà lavorativa. Un abbraccio a Candido Poli, pensionato Tosi, ultimo legnanese superstite dei campi di sterminio (Mauthausen, Dachau, Bernau) la cui esistenza ricorda a tutti noi quanta sofferenza sia costato il bene della libertà di cui oggi noi beneficiamo.

Un ringraziamento infine alla segretaria nazionale della CGIL Susanna Camusso per la sua appassionata partecipazione alla nostra cerimonia. 2 In una fredda mattina del primo 800, il Foscolo contemplava gli avelli che in Santa Croce in Firenze racchiudono le spoglie di italiani illustri. Ed il suo animo di poeta, in una immaginaria corrispondenza con l’amico Ippolito Pindemonte, così si esprimeva: … a egregie cose l’animo accendono l’urne dei forti e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta…”, proiettati di due secoli in avanti nel tempo, anche noi oggi ci soffermiamo riverenti dinnanzi a queste lapidi di deportati,che si ergono da un fazzoletto di terra consacrata. Ed anche nel nostro animo sorgono alti sentimenti di rispetto, ammirazione e riconoscenza per questi nostri compagni lavoratori , che la barbarie nazifascista strappò ai comuni affetti della famiglia e privò del legittimo diritto all’esistenza.

Sotto queste lastre di freddo marmo non vi è tomba, non troviamo i loro resti che pietà vorrebbe consegnati al culto delle genti, perché l’ultimo anelito della loro vita si spense in terra straniera ed i loro corpi vennero inumati in fosse comuni sparse lontano dalla Patria. E’ stato scritto: Chi muore lontano dalla propria terra muore due volte. I nomi di questi nostri lavoratori li abbiamo sentiti oggi echeggiare sotto le ampie volte della Franco Tosi, la loro fabbrica. La loro tragica odissea, senza purtroppo un’Itaca all’approdo, è stata oggi ricordata con accenti ben più autorevoli di quanto io possa dire.

Tutti conosciamo i fatti. Ricordando il loro sacrificio estremo noi intendiamo rendere omaggio alla loro fede nella democrazia, nella giustizia, nella libertà , nella solidarietà. Ed è la fede in questi valori che ci obbliga oggi a fare memoria. A sentircene eredi, a farli nostri, a diffonderli.

Nelle case della Roma antica un angolo era riservato alla venerazione degli dei Mani, del Lari e dei Penati, dei familiari, spirito dei 3 trapassati, di coloro che li avevano preceduti. Sotto una piccola ara la scritta: deorum manium iura sancta sunto. “Sacre siano le promesse allo spirito dei morti”.

Sacro sentiamo l’impegno che rinnoviamo dinnanzi a queste tombe. Erano lavoratori, antifascisti, sindacalisti. E l’influenza che il mondo operaio e la realtà della fabbrica ha avuto su di loro li ha portati a quella passione inestinguibile per la libertà, che hanno pagato con il durissimo prezzo del sacrificio della propria vita. Sono stati il mondo del lavoro ed il sindacato a forgiare il loro carattere, rappresentando le speranze, gli ideali e la voglia di lottare proprie della classe operaia.

Erano consapevoli che lottando contro il fascismo, contro un regime totalitario, per la libertà di tutti, si ponevano le basi di una nuova società, dove la tutela dei diritti dei lavoratori e la tutela sociale dei cittadini avrebbero alla fine avuto il dovuto riconoscimento. Sono stati dalla parte giusta. Hanno lottato contro i nazifascisti per difendere la patria e per gli ideali di giustizia e di democrazia. Dall’altra parte sono state operate scelte scellerate, negatrici della dignità dell’essere umano.

Non vi può essere confusione tra queste due scelte: non è storicamente possibile confondere vittime e carnefici: il revisionismo, ancora oggi emergente, è negatore della memoria storica. Le responsabilità devono essere sempre chiare: da un lato il fascismo, dall’altro l’antifascismo. I caduti che oggi ricordiamo erano antifascisti.

E noi siamo con loro, nella pienezza del significato di questa parola. Si è antifascisti quando si rispetta “l’altro”, quando se ne riconosce la legittimità nell’atto stesso di contrastarlo, quando non si pretende di assimilarlo, di ridurre cioè il suo pensiero, la sua identità al nostro pensiero, alla nostra identità. l’antifascismo è l’ansia di intervenire contro l’ingiustizia, piccola o grande che sia, di intervenire contro ogni minaccia di libertà; è 4 pluralismo politico e sociale, legittimazione delle differenze; è la democrazia come partecipazione e non solo come garanzia per tutti.

Nella liturgia greco-bizantina, nella giornata del “grande venerdì ”, che corrisponde al nostro venerdì santo, nel momento in cui si sancisce la morte del Cristo uomo e lo si pone all’interno dell’ epitàfion, il celebrante ripete ad alta voce l’invocazione “agios athànatos“ . Il morto è definito immortale. Affermazione questa che può essere considerata un ossimoro, una contraddizione di termini. Ma non è così per la funzione ed il significato di una morte quando questa viene ad assumere per i vivi l’effetto di celebrazione ed assimilazione di quei valori per difendere i quali la morte stessa ne è stata conseguenza.

Così è per i nostri compagni deportati che oggi abbiamo ricordato. Sono morti, ma sono e li sentiamo vivi in mezzo a noi perché non è peritura l’eredità che ci hanno lasciata e che abbiamo fatto nostra. Essi rivivono in questa eredità, negli ideali che la compongono e che riconosciamo nelle grandi parole che la nostra Costituzione, nata dalla Lotta di Liberazione dal nazifascismo ha sancito: giustizia, libertà, democrazia.

E con i deportati della Franco Tosi voglio qui ricordare don Mauro Bonzi, sacerdote legnanese deportato a Dachau, morto poco dopo la liberazione per le angherie e le privazioni subite in campo di concentramento. Don Bonzi riposa in questo cimitero, qui, nella cappella del clero. Raccontando il suo calvario sul settimanale “Luce” dell’ 8 giugno 1945, don Mauro affermava: nel lager sapevo e sentivo di non essere colpevole che di aver desiderato e fatto qualcosa per non essere schiavi dello straniero …” Quel “qualcosa “ che, nella sua umiltà egli tende a minimizzare, fu invece una grande e generosa offerta di se stesso per la nostra libertà.

A questi uomini noi inchiniamo deferenti la nostra fronte.

Luigi Botta, presidente Anpi Legnano

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 19 Gennaio 2016
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